17 Aprile 2024

"NUOVO ORDINE MONDIALE"

Dopo la guerra in Ucraina ci sarà un nuovo ordine mondiale. Il G20 a Bali segna l’inizio di un dialogo per costruire il nuovo equilibrio geopolitico basato su un nuovo duopolio. Con la caduta del muro di Berlino, trentatre anni fa, e la fine della guerra fredda, cessavano gli accordi di Yalta, che vedevano il mondo diviso in due.

Dopo lo scioglimento dell’URSS, l’Unione europea si espande ad oriente. In campo internazionale non ci sono più regole fisse, la politica economica è dettata dal neoliberismo di Milton Friedman, mentre per le relazioni internazionali si avvia il multilateralismo negoziale. G7 e G20 diventano organismi regolatori degli equilibri multilaterali al di fuori dell’Onu, escludendo tutti gli altri Paesi più poveri. Nel frattempo, paesi emergenti come Cina ed India hanno assunto un peso economico e politico rilevante.

La Russia con Putin rivendica un ruolo più ampio sullo scenario mondiale dove fa pesare le risorse energetiche e la potenza militare con gli arsenali pieni di armi nucleari, senza riuscire a realizzare al suo interno uno sviluppo economico avanzato sulle nuove tecnologie.

L’arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca nel 2021segna una svolta nella politica estera degli Stati Uniti, dopo quella discutibile della presidenza di Donald Trump che ha cercato di privilegiare il bilateralismo in contrapposizione al multilateralismo.

L’invasione russa dell’Ucraina inizia dopo un anno circa dall’insediamento di Biden nella Casa Bianca. Fino a poco tempo fa, si attendevano sfide complesse ma allo stesso tempo, a lungo termine si ponevano indefinibili enigmi.

La guerra, al di là delle varie opinioni e motivazioni, è crudele, sicuramente ingiusta, ed era certamente evitabile; ma soprattutto cancella quei progressi morali e quelle speranze sorte con la fine della ‘guerra fredda’ che divideva il mondo in due blocchi. Ma cancella anche i protocolli di equilibrio negoziale, applicati nella pratica delle relazioni internazionali con un’economia globalizzata non governabile ma che condiziona fortemente la politica a livello globale.

Da questo conflitto emerge una regressione generalizzata della qualità e dell’Etica dei rapporti internazionali, ed ha rimesso in gioco anche l’estrema soluzione. La regressione coinvolge emotivamente per l’uso delle armi, per le vittime e per gli esodi. La “morale” è talmente degradata che riemergono, dal fondo di una umanità in agonia, quei sentimenti guerrafondai, nazionalisti e xenofobi, caratteristici di una società morente.

Dopo la fine della Seconda guerra mondiale le “divergenze internazionali” sono state caratterizzate dalla preoccupazione dei ciclopi del Pianeta, non solo come dimensione ma anche come “acuità visiva”, di evitare qualsiasi confronto diretto; canali di comunicazione e regole hanno disciplinato questo modus vivendi. Ora, la mancanza di scrupoli del presidente Vladimir Putin ha messo tutto questo in discussione. La maggior parte dei trattati sul controllo degli armamenti, oggi, sono stati infranti, abbandonati e realmente caduti in disuso. Dall’invasione dell’Ucraina le strategie russe hanno proposto nuovi profili nella geopolitica. L’Europa si sta riarmando, si stanno utilizzando e sperimentando nuove armi non “regolamentate”. La macabra partita giocata da Putin con la Nato sta facendo precipitare la Russia e la coalizione antagonista nell’incertezza, e nuove fratture emergono al di fuori del blocco occidentale. Il presidente russo, autorizzando l’invasione e il bombardamento, prima nella regione del Donbass, oltre a uccidere anche molti ucraini filorussi, ha sorpreso la maggior parte degli osservatori, compreso il presidente cinese Xi Jinping. Ma anche la fermezza dell’Europa e dell’Occidente non è stata meno sorprendente nelle sue risposte economico-finanziarie contro il Cremlino, tanto che la moderazione degli ultimi anni aveva suscitato timori di una certa “morbidezza” degli occidentali.

Sullo scacchiere geopolitico alcune “pedine” sono già in movimento. Emmanuel Macron e il cancelliere tedesco Olaf Scholz ne hanno consapevolezza. Ambedue hanno parlato di una “nuova era”, dove la prima a entrarci è stata la Russia. Il ciclo dei tre decenni dalla caduta dell’Unione Sovietica (1991) e dalla fine della Guerra fredda è inesorabilmente terminato. Ora si prospetta, probabilmente, un lungo periodo di ostilità con Mosca, a meno che Putin non venga eliminato dall’interno, cosa non impossibile.

Il Venezuela è una di quelle pedine che già si stanno spostando in altri quadri dello scacchiere geopolitico. L’8 marzo, due cittadini statunitensi, funzionari dell’industria petrolifera, sono stati rilasciati dalle carceri venezuelane. Un episodio apparentemente poco rilevante, ma che emerge a valle sia dello shock causato dall’invasione dell’Ucraina, sia del riavvicinamento tra Caracas e Washington avvenuto i primi di marzo, quando una delegazione statunitense si è incontrata con il presidente venezuelano, Nicolás Maduro, nel palazzo Miraflores, sede presidenziale. I colloqui sono stati giudicati da Maduro “rispettosi, cordiali e molto diplomatici”. Donald Trump ha tentato, fallendo, di rovesciare il regime di Maduro, che è notoriamente il principale alleato di Mosca in America Latina. Va considerato che il Venezuela è anche un importante produttore di petrolio e che tale prodotto veniva raffinato negli Stati Uniti prima che il Paese fosse narcotizzato dall’antimperialismo espresso dall’ex presidente Hugo Chávez, il quale ha trascinato l’economia nel baratro di una devastate crisi. Adesso, con la guerra in Ucraina in atto e l’embargo sul petrolio russo decretato l’8 marzo dall’Amministrazione di Joe Biden, molte paratie ideologiche stanno franando. Così, anche lo scacchiere del mercato petrolifero è da rivedere, e il Venezuela è una delle pedine più importanti da spostare in vista di un nuovo ordine mondiale, visto il disordine globale in atto. È il minimo che ci si possa auspicare, magari superando le visioni complottiste demo-pluto-giudaico-massoniche di un periodo storico poco felice.

Dopo anni di caos, il mondo sembra avviarsi verso un nuovo ordine. Negli Stati Uniti, le elezioni di mid-term hanno rafforzato Joe Biden. Il ritorno del Brasile tra i protagonisti globali con l’elezione di Lula, lo stallo del conflitto ucraino-russo e la continuità al potere di Xi Jinping in Cina lasciano intuire che sta iniziando una nuova fase nel tormentato scenario internazionale, messo a dura prova dalla pandemia e dal ritorno dei conflitti che coinvolgono potenze nucleari.

Il tutto si può sintetizzare nel discorso che Biden ha pronunciato davanti al leader cinese a margine del G20 di Bali, quando ha affermato: “Come leader delle principali economie del mondo, dobbiamo gestire la competizione dei due nostri Paesi”. Da un lato, si è appellato alla Cina perché cessi la competizione, ormai arrivata sull’orlo della guerra commerciale, che in realtà è stata iniziata da Donald Trump. Dall’altro, ha riconosciuto a Pechino lo status di unica potenza mondiale con la quale gli Stati Uniti si devono misurare.

Si potrebbe dunque concludere che un nuovo bipolarismo sia alle porte, ma bisogna essere cauti. Anzitutto, qui non si parla di equilibrio militare: su quel piano, la Cina è ancora molto distante da poter essere considerata un vero rischio per gli Stati Uniti, come invece lo fu l’Unione Sovietica. Soprattutto, Cina e USA sono fortemente legati tra loro da rapporti commerciali e finanziari costruiti nei decenni precedenti. Nella lunga storia delle potenze mondiali, mai si erano visti due Paesi così vicini economicamente e così lontani politicamente. Ma questa è la complessità e la contraddizione dell’odierna globalizzazione. Pur restando politicamente molto distanti si può vendere e comprare lo stesso, e consumare lo stesso. Proprio questo è stato il quadro definito dal discorso di Xi Jinping durante l’incontro con Biden: “Possiamo essere soci commerciali, possiamo anche lavorare per la pace nel mondo e cercare insieme una soluzione ai cambiamenti climatici, ma non sono permesse critiche né intromissioni nella politica interna di ciascuno”. Questo significa che Washington non deve interferire su Hong Kong, deve dimenticare gli uiguri che Pechino “rieduca” in campi di concentramento e non spingere Taiwan sulla via dell’indipendenza, perché l’isola prima o poi tornerà nella madrepatria.

Xi Jinping propone quindi una rilettura aggiornata dei rapporti tra statunitensi e sovietici durante la Guerra Fredda. All’epoca, quando le due potenze discutevano di disarmo, non parlavano di ideologie, ma solo di missili. Pechino vorrebbe ora che, quando Stati Uniti e Cina parlano di commercio, si discutesse solo di dazi e non di diritti umani. Questa impostazione pragmatica contraddice però la linea perseguita negli ultimi anni dalla politica estera di Washington. Se verrà accettata, come lascia intuire il discorso di Biden, si toglierà dal tavolo il tema, o meglio, l’alibi, finora usato per fare pressione sulla Cina, quello dei diritti umani. La questione dei diritti, infatti, non interessava più di tanto nemmeno prima, ma serviva a rafforzare la posizione negoziale americana. Se i rapporti tra i due Paesi saranno schietti, come chiesto da Xi Jinping, sulle violazioni cinesi dei diritti umani calerà un velo di silenzio, in patria e all’estero. Non è certo una bella cosa, anche se eliminerebbe l’uso ipocrita del tema, brandito contro l’avversario come una clava ma rispettato solo a giorni alterni.

Il nuovo ordine internazionale che potrebbe nascere dall’indiscutibile supremazia di Stati Uniti e Cina nega, per la prima volta, un ruolo da protagonista all’Europa, aggrovigliata nei suoi problemi, mentre è destinato ad accrescere il peso di alcune potenze come Turchia, Indonesia, Brasile e, malgrado il conflitto, Russia. Si può ipotizzare che il nuovo equilibrio avrà due poli centrali, Cina e Stati Uniti, e una serie di satelliti anche tra i Paesi del G20. Sarà l’ultima tappa del declino dell’Occidente, al quale resteranno solo gli Stati Uniti come simbolo, in un contesto globale più plurale da tutti i punti di vista: la pretesa superiorità di una parte del mondo rispetto all’altra sarà una questione del passato, relegata nei manuali di storia. Un passaggio che potrebbe essere necessario per costruire la Patria dell’Umanità?

Tra Occidente ed Oriente c’è il Medio Oriente. In Iran, Ali Khamenei torna ad attaccare l’Occidente dichiarando che le potenze occidentali sono in declino, soffermandosi in particolare sugli Stati Uniti, mentre in Iran continuano le proteste contro il regime degli ayatollah. Nel timore che queste si trasformino in una vera e propria sfida al potere del regime, Khamenei fa una narrazione differente e punta sul sostegno di Paesi come Cina e Russia. Infatti, su Twitter ha scritto: “Oggi le potenze occidentali stanno gradualmente perdendo il loro dominio politico, scientifico, culturale ed economico, che sarà trasferito dall’Occidente all’Asia nel nuovo ordine mondiale”. Per Khamenei gli equilibri geopolitici stanno cambiando sensibilmente: “L’Asia diventerà il centro della scienza e dell’economia, e anche il potere politico e militare del mondo”.

Per il corrispondente Seth J. Frantzman del Jerusalem Post si tratta di una svolta importante. Durante la rivoluzione iraniana, infatti, i teocrati religiosi che la guidavano sostenevano di offrire al mondo un’alternativa al blocco statunitense e sovietico. Ma ora il regime iraniano sembra consapevole di non poter offrire questa alternativa.

Quindi, l’Iran ha deciso di schierarsi al fianco di Cina e Russia in contrapposizione all’ Occidente. L’obiettivo, però, non cambia: creare un nuovo ordine mondiale, non guidato dagli Stati Uniti, ma da quelli asiatici. Per farlo l’Iran, secondo Frantzman, da un lato punta a indebolire i Paesi del Medio Oriente che oppongono “resistenza”, come Iraq, Yemen, Siria e Libano, mentre dall’altro auspica un isolamento dell’Occidente. Non è un caso se Teheran ha ammesso di fornire droni alla Russia per la guerra in Ucraina. Questo per Frantzman conferma che non teme le sanzioni occidentali come prima, anzi potrebbe presto abbandonare del tutto l’accordo sul nucleare del 2015. Ma dimostra anche la convinzione dell’Iran che l’ordine mondiale stia davvero cambiando. Questo potrebbe portarla a confrontarsi con Arabia Saudita, Israele e Stati Uniti in maniera più diretta. Pertanto, le dichiarazioni aperte dell’Iran sul cambiamento dell’ordine mondiale si intrecciano con le minacce al Golfo e convergono con gli obiettivi e convinzioni della Russia. Il rischio allora è che l’Iran sia un’altra grande minaccia, a meno che non diventi satellite privilegiato della Cina.

La Germania è diventata un satellite economico della Nuova Guerra Fredda americana contro la Russia, la Cina e il resto dell’Eurasia. Alla Germania e agli altri Paesi della NATO è stato detto di imporre sanzioni sul commercio e sugli investimenti che dureranno più a lungo dell’attuale guerra per procura in Ucraina.

Il Presidente degli Stati Uniti Biden e i suoi portavoce del Dipartimento di Stato hanno spiegato che l’Ucraina è solo l’inizio di una dinamica molto più ampia che sta dividendo il mondo in due alleanze economiche contrapposte. Questa frattura globale potrebbe portare ad uno scontro della durata di dieci o vent’anni per determinare se l’economia mondiale sarà un’economia unipolare centrata sul dollaro statunitense o un mondo multipolare e multi valutario incentrato nel cuore dell’Eurasia con economie miste (pubbliche/private).

Il Presidente Biden l’ha caratterizzata come una divisione tra democrazie e autocrazie. La terminologia è un tipico doppio senso orwelliano. Per “democrazie” egli intende gli Stati Uniti e le oligarchie finanziarie occidentali alleate. Il loro obiettivo è spostare la pianificazione economica dalle mani dei governi eletti e trasferirla a Wall Street e agli altri centri finanziari sotto il controllo degli Stati Uniti. I diplomatici statunitensi utilizzano il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale per chiedere la privatizzazione delle infrastrutture mondiali e la dipendenza dalla tecnologia, dal petrolio e dalle esportazioni alimentari statunitensi.

Per “autocrazia”, Biden intende i Paesi che resistono a questa finanziarizzazione e privatizzazione. In pratica, la retorica statunitense significa promuovere la propria crescita economica e i propri standard di vita, mantenendo la finanza e le banche come servizi pubblici. In sostanza, si tratta di decidere se le economie saranno pianificate dai centri bancari per creare ricchezza finanziaria, privatizzando le infrastrutture di base, i servizi pubblici e i servizi sociali, come l’assistenza sanitaria, trasformandoli in monopoli, o se invece aumenteranno gli standard di vita e la prosperità mantenendo in mani pubbliche le banche e la creazione di denaro, la sanità pubblica, l’istruzione, i trasporti e le comunicazioni.

Il Paese che subisce i maggiori “danni collaterali” in questa frattura globale è la Germania. Essendo l’economia industriale più avanzata d’Europa, l’acciaio, i prodotti chimici, i macchinari, le automobili e altri beni di consumo tedeschi sono i più dipendenti dalle importazioni di gas, petrolio e metalli russi, dall’alluminio al titanio e al palladio. Eppure, nonostante i due gasdotti Nord Stream costruiti per fornire alla Germania energia a basso prezzo, alla Germania è stato detto di isolarsi dal gas russo e di deindustrializzarsi. Questo significa la fine della sua preminenza economica ed accade quando c’è un governo a guida socialdemocratico. La chiave della crescita del PIL in Germania, come in altri Paesi, è il consumo di energia per lavoratore.

Queste sanzioni anti-russe rendono l’attuale Nuova Guerra Fredda intrinsecamente anti-tedesca. Il Segretario di Stato americano Anthony Blinken ha dichiarato che la Germania dovrebbe sostituire il gas russo a basso prezzo dei gasdotti con il molto più costoso gas GNL statunitense. Per importare questo gas, la Germania dovrà spendere rapidamente oltre 5 miliardi di dollari per costruire le attrezzature portuali per la gestione delle navi metaniere. L’effetto sarà quello di rendere l’industria tedesca non competitiva. I fallimenti aumenteranno, l’occupazione diminuirà e i leader tedeschi favorevoli alla NATO imporranno alla nazione una depressione cronica e un calo del tenore di vita. Le conseguenze saranno quelle di una spinta dell’elettorato verso la destra.

La maggior parte delle teorie politiche presuppone che le nazioni agiscano nel loro interesse personale. Altrimenti sono Paesi satellite, non in grado di controllare il proprio destino. La Germania sta subordinando la propria industria e il proprio tenore di vita ai dettami della diplomazia statunitense e all’interesse personale del settore petrolifero e del gas americano. Lo fa volontariamente, non grazie alla forza militare, ma per la convinzione ideologica che l’economia mondiale debba essere gestita dai pianificatori statunitensi della Nuova Guerra Fredda.

A volte è più facile capire le dinamiche odierne allontanandosi dalla propria situazione immediata per guardare ad esempi storici del tipo di diplomazia politica che sta dividendo il mondo di oggi. Il parallelo più vicino che si può trovare è la lotta nell’Europa medievale tra il papato romano, i re tedeschi, i Sacri Romani Imperatori, nel XIII secolo. Quel conflitto aveva diviso l’Europa lungo linee molto simili a quelle odierne. Una serie di papi avevano scomunicato Federico II e gli altri re tedeschi e formato un’alleanza per combattere contro la Germania e il suo controllo dell’Italia meridionale e della Sicilia.

L’antagonismo occidentale contro l’Oriente era stato incitato dalle Crociate (1095-1291), proprio come l’odierna Guerra Fredda è una crociata contro le economie che minacciano il dominio degli Stati Uniti sul mondo. La guerra medievale contro la Germania verteva su chi dovesse controllare l’Europa cristiana: il papato, con i papi che diventavano imperatori mondani, o i governanti secolari dei singoli regni, rivendicando il potere di legittimarli e accettarli moralmente.

L’analogo dell’Europa medievale alla Nuova Guerra Fredda americana contro Cina e Russia era stato il Grande Scisma del 1054. Pretendendo un controllo unipolare sulla cristianità, Leone IX aveva scomunicato la Chiesa ortodossa con sede a Costantinopoli e l’intera popolazione cristiana che vi apparteneva. Un unico vescovato, Roma, si era isolato dall’intero mondo cristiano dell’epoca, compresi gli antichi patriarcati di Alessandria, Antiochia, Costantinopoli e Gerusalemme.

Questa separazione aveva creato un problema politico per la diplomazia romana: come tenere sotto il proprio controllo tutti i regni dell’Europa occidentale e rivendicare da essi il diritto di ricevere sussidi finanziari? Questo obiettivo richiedeva la subordinazione dei re secolari all’autorità religiosa papale. Nel 1074, Gregorio VII (Ildebrando di Soana), aveva proclamato 27 Dettati papali che delineavano la strategia amministrativa con cui Roma avrebbe potuto consolidare il suo potere sull’Europa.

Queste richieste papali assomigliavano in modo sorprendente all’odierna diplomazia statunitense. In entrambi i casi gli interessi militari e mondani richiedono di essere sublimati e trasformati in uno spirito di crociata ideologica per cementare il senso di solidarietà richiesto da ogni sistema di dominio imperiale. La logica è senza tempo e universale.

I Dettati papali erano radicali soprattutto in due modi. Innanzitutto, elevavano il vescovo di Roma al di sopra di tutti gli altri vescovati, creando il papato moderno. La clausola 3 stabiliva che solo il Papa aveva il potere di nominare i vescovi , deporli o reintegrarli. A conferma di ciò, la clausola 25 attribuiva al Papa e non ai governanti locali il diritto di nominare (o deporre) i vescovi. La clausola 12 conferiva al Papa il diritto di deporre gli imperatori, seguendo la clausola 9 che obbligava “tutti i principi a baciare i piedi solo del Papa” per essere considerati legittimi governanti.

Allo stesso modo oggi i diplomatici statunitensi si arrogano il diritto di nominare chi debba essere riconosciuto come capo di Stato di una nazione. Nel 1953 avevano rovesciato il leader eletto dell’Iran e lo avevano sostituito con la dittatura militare dello Scià. Questo principio dà ai diplomatici statunitensi il diritto di sponsorizzare “rivoluzioni colorate” per il cambio di regime, come il sostegno alle dittature militari latino-americane che creano oligarchie clientelari per servire gli interessi aziendali e finanziari degli Stati Uniti.

Questo “diritto” di scegliere i capi di governo è stato una costante della politica degli Stati Uniti nel corso della loro lunga storia di ingerenza politica negli affari politici europei a partire dalla Seconda Guerra Mondiale.

La seconda caratteristica radicale dei Dettati papali era stata l’esclusione di ogni ideologia e politica che divergesse dall’autorità papale. La clausola 2 affermava che solo il Papa poteva essere definito “universale”. Qualsiasi disaccordo era, per definizione, eretico. La clausola 17 affermava che nessun capitolo o libro poteva essere considerato canonico senza l’autorità papale.

Una richiesta simile a quella avanzata dall’ideologia odierna, sponsorizzata dagli Stati Uniti, del “libero mercato” finanziarizzato e privatizzato, che significa il divieto per i governi dei paesi satelliti di plasmare le loro economie secondo interessi diversi da quelli delle élite finanziarie e corporative degli Stati Uniti.

La richiesta di universalità nella Nuova Guerra Fredda odierna è ammantata dal linguaggio della “democrazia”. Ma la definizione di democrazia in questa Nuova Guerra Fredda è semplicemente “a favore degli Stati Uniti” e in particolare della privatizzazione neoliberale come nuova religione economica sponsorizzata dagli Stati Uniti. Questo è l’eufemismo moderno per l’economia spazzatura neoliberista della Scuola di Chicago, i programmi di austerità del FMI e il favoritismo fiscale per i ricchi.

I Dettati papali avevano delineato una strategia per mantenere il controllo unipolare sui regni secolari. Affermavano la precedenza papale sui re del mondo, soprattutto sui Sacri Romani Imperatori tedeschi. La clausola 26 dava ai papi l’autorità di scomunicare chiunque non fosse “in pace con la Chiesa Romana”. Questo principio, a sua volta, implicava la clausola conclusiva 27, che permetteva al papa di “assolvere i sudditi dal loro obbligo di fedeltà a uomini malvagi”. La versione medievale delle “rivoluzioni colorate” per ottenere un cambiamento di regime.

Ciò che univa i vari Paesi in una forma di solidarietà era l’antagonismo verso le società non soggette al controllo papale centralizzato: gli infedeli musulmani che occupavano Gerusalemme, i Catari francesi e chiunque altro fosse considerato eretico. Soprattutto c’era ostilità verso le regioni abbastanza forti da resistere alle richieste papali di tributi finanziari.

Secondo l’opinione di alcuni, le controparti odierne di questo potere ideologico di scomunicare gli eretici che resistono alle richieste di obbedienza e tributo sono l’Organizzazione Mondiale del Commercio, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale che dettano le pratiche economiche e stabiliscono le “condizioni” che tutti i governi membri devono seguire, pena l’applicazione di sanzioni da parte degli Stati Uniti, la versione moderna della scomunica per quei Paesi che non accettano la sovranità degli Stati Uniti.

La clausola 19 dei Dettati stabiliva che il Papa non poteva essere giudicato da nessuno, proprio come oggi gli Stati Uniti si rifiutano di sottoporre le proprie azioni alle sentenze della Corte Mondiale. Allo stesso modo, oggi, ci si aspetta che i satelliti statunitensi seguano senza discutere i dettami degli Stati Uniti, obbligati dalla NATO e da altre istituzioni (come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale). Come aveva detto Margaret Thatcher a proposito della privatizzazione neoliberale che aveva distrutto il settore pubblico britannico, There Is No Alternative (TINA).

Secondo alcuni studiosi, ci sarebbe analogia con le odierne sanzioni degli Stati Uniti contro tutti i Paesi che non obbediscono alle loro richieste diplomatiche. Le sanzioni commerciali sarebbero una forma di scomunica e invertirebbero il principio del Trattato di Westfalia del 1648 che rendeva ogni Paese e i suoi governanti indipendenti dalle ingerenze straniere.

Il Presidente Biden caratterizza l’interferenza statunitense come una garanzia della sua nuova antitesi tra “democrazia” e “autocrazia”. Ma se per democrazia si intende un’oligarchia clientelare sotto il controllo degli Stati Uniti, che crea ricchezza finanziaria riducendo gli standard di vita dei lavoratori, in contrapposizione alle economie miste pubblico-private che mirano a promuovere gli standard di vita e la solidarietà sociale, sorge qualche problema e l’uso della parola democrazia diventa demagogico e strumentale per qualcosa che di fatto non risponde ai principi di democrazia che significa potere del popolo.

Scomunicando la Chiesa ortodossa di Costantinopoli e la sua popolazione cristiana, il Grande Scisma aveva creato la fatidica linea di demarcazione religiosa che ha diviso “l’Occidente dall’Oriente” negli ultimi mille anni. Questa divisione è stata così importante che Vladimir Putin l’ha citata nel suo discorso del 30 settembre 2022, descrivendo l’odierno distacco dalle economie occidentali centrate sugli Stati Uniti e sulla NATO. Una motivazione storica non di poco conto che però non giustifica l’esplosione della barbarie dei nostri giorni.

I secoli XII e XIII avevano visto i conquistatori normanni di Inghilterra, Francia e altri Paesi, insieme ai re tedeschi, protestare ripetutamente, essere scomunicati ripetutamente, ma, alla fine, soccombere alle richieste papali. Nel XVI secolo che Martin Lutero, Zwingli ed Enrico VIII avevano creato un’alternativa protestante a Roma, rendendo la cristianità occidentale multipolare.

Le Crociate avevano fornito un pretesto ideologico e organizzativo con la contrapposizione dei buoni contro i cattivi. S riscontra l’analogia medievale nella Nuova Guerra Fredda di oggi tra Oriente e Occidente. Le Crociate avevano creato un fulcro spirituale di “riforma morale”, mobilitando l’odio contro “l’altro”, l’Oriente musulmano e, sempre più spesso, contro gli Ebrei e i Cristiani europei che non accettavano il controllo di Roma. Logiche discriminatorie che vediamo negli Stati Uniti prima con la guerra dei bianchi contro gli indiani e poi dei bianchi contro i neri.

Partendo dall’analogo pensiero scaturito dal detto latino dividi et impera, si arriva alle odierne dottrine neoliberiste del “libero mercato” dell’oligarchia finanziaria americana e della sua ostilità nei confronti di Cina, Russia e delle altre nazioni che non seguono questa ideologia. Tuttavia, la logica della contrapposizione fu molto efficace nella seconda guerra mondiale per combattere le atrocità del nazi-fascismo.

Nella Nuova Guerra Fredda di oggi, la politica del governo Biden mobilita la paura e l’odio verso “l’altro”, lanciando una crociata contro i “regimi autocratici e illiberali” di cui non possiamo ignorare l’esistenza. Il razzismo vero e proprio è promosso nei confronti di interi popoli, come è evidente contro gli Uiguri in Cina o con la cultura dell’annullamento e dell’oppressione degli oppositori esercitato dai governi dittatoriali diffusi ancora oggi in tutto il mondo (Russia, Bangladesh, Egitto, Iran, etc.).

Il risultato è che il mondo si sta dividendo in due campi: la NATO incentrata sugli Stati Uniti e che include tutti i Paesi dell’Unione europea e l’emergente coalizione eurasiatica denominata SCO (Shanghai Cooperation Organisation). Una conseguenza di questa dinamica è stata l’impossibilità per la Germania di perseguire una politica economica di relazioni commerciali e di investimento reciprocamente vantaggiosa con la Russia (e forse anche con la Cina). Il cancelliere tedesco Olaf Sholz si è recato in Cina per chiedere che il Paese smantelli il proprio settore pubblico e smetta di sovvenzionare la propria economia, altrimenti la Germania e l’Europa imporranno sanzioni sul commercio con la Cina. Non c’è modo che la Cina possa soddisfare questa ridicola richiesta, sarebbe come dire che gli Stati Uniti (o una qualsiasi altra economia industriale) dovrebbero smettere di sovvenzionare la propria industria dei chip per computer e altri settori chiave. Il Consiglio tedesco per le relazioni estere è un braccio neoliberale “libertario” della NATO che chiede la deindustrializzazione della Germania e la sua dipendenza dagli Stati Uniti per il commercio, escludendo Cina, Russia e i loro alleati. Questo potrebbe essere l’epilogo per la fine del potere economico della Germania ma anche dell’Unione europea.

Un altro derivato della Nuova Guerra Fredda americana è stato quello di porre fine a qualsiasi piano internazionale per arginare il riscaldamento globale. Una delle chiavi di volta della diplomazia economica degli Stati Uniti è il controllo da parte delle compagnie petrolifere e degli alleati della NATO delle forniture mondiali di petrolio e gas, ovvero l’opposizione ai tentativi di ridurre la dipendenza dai combustibili a base di carbonio. La guerra della NATO in Iraq, Libia, Siria, Afghanistan e Ucraina riguardava gli Stati Uniti (e i loro alleati francesi, britannici e olandesi) per mantenere il controllo del petrolio. Non si tratta soltanto di una questione meramente ideale di lotta per le democrazie contro le autocrazie. Si tratta della capacità degli Stati Uniti di esercitare un effetto domino sugli altri Paesi alleati condizionando il loro accesso all’energia e ad altri bisogni primari.

Senza la narrazione della Nuova Guerra Fredda “bene contro male,” le sanzioni statunitensi perderanno la loro ragion d’essere in questo attacco degli Stati Uniti alla protezione dell’ambiente e al commercio reciproco tra Europa occidentale, Russia e Cina. Questo è il contesto della lotta odierna in Ucraina, che è solo il primo passo di una lotta ventennale che gli Stati Uniti dovranno intraprendere per impedire che il mondo diventi multipolare. Questo processo porterebbe la Germania e l’Europa a dipendere dalle forniture statunitensi di gas naturale liquefatto. Pertanto bisogna utilizzare e incrementare nuove forme di autonomia energetica. Un esempio per l’Italia è la geotermia di cui se ne parla pochissimo o che viene persino ignorata.

Ma c’è anche il problema di una dipendenza di Germania ed Unione europea dagli Stati Uniti per la sicurezza militare.

Come possono i negoziati “porre fine” ad una guerra che non ha una dichiarazione di guerra e che è una strategia a lungo termine per un totale dominio unipolare del mondo?

La risposta non può essere la visione neoliberista incentrata sulle banche, secondo cui le economie dovrebbero essere privatizzate con una pianificazione centrale da parte dei centri finanziari.

Rosa Luxemburg aveva descritto la scelta tra socialismo e barbarie. Michael Hudson, nel suo recente libro, “Il destino della civiltà”, ha delineato le dinamiche politiche di una possibile alternativa messa in campo.

Rispettando il pensiero dell’economista americano, tuttavia non ritengo che un nuovo bipolarismo o un nuovo multilateralismo possano essere soluzioni idonee a risolvere i problemi dell’umanità, che verrebbero attutiti con un nuovo equilibrio geopolitico la cui durata potrebbe essere relativamente breve o lunga. Di fatto, resterebbero immutate le annose logiche di dominio economico e politico. Un vero cambiamento potrebbe avvenire quando si metteranno da parte gli assurdi egoismi di potere economico e politico e ci sarà la volontà di dare una Patria all’umanità. Finché l’umanità sarà divisa, ogni equilibrio geopolitico è precario perché viziato dagli egoismi di potere. Questo spiegherebbe anche perché la funzione dell’Onu è limitata.






Fonte: di Salvatore Rondello
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