DONALD TRUMP - PERCHÉ LA CALIFORNIA di Giulietta Rovera
di Giulietta Rovera
23-06-2025 - IL SOCIALISMO NEL MONDO
Il 6 giugno, gli agenti dell'ICE - Immigration and Customs Enforcement (agenzia statunitense per l'immigrazione e le dogane) - hanno dato inizio alla stagione della caccia all’immigrato clandestino in tutti gli Stati Uniti, ma soprattutto in California. I primi a reagire sono gli abitanti di Los Angeles. Le proteste sono per lo più pacifiche e si limitano a pochi isolati, ma si verificano anche episodi di violenza: lancio di bottiglie, auto date alle fiamme... Truppe in assetto tattico reagiscono con gas lacrimogeni, granate stordenti, mazze di legno, proiettili di gomma. Mentre documenta le proteste e le reazioni violente della polizia, la giornalista australiana Lauren Tomasi viene colpita più volte dalla polizia con proiettili “non letali”. La scena, unitamente alle immagini drammatiche di auto in fiamme, di edifici ricoperti di graffiti, di sventolio di bandiere messicane, è ripresa dalla TV e trasmessa in tutto il mondo. Trump le usa per convalidare i suoi ordini. Definisce i manifestanti "animali", avamposti di un’”invasione straniera". E promette di "liberare Los Angeles".
Per “liberare Los Angeles” il Presidente ordina l’intervento di 4.000 riservisti della Guardia Nazionale e 700 marines in servizio attivo senza consultare Gavin Newsom e, di fatto, sfidando la volontà del governatore della California. Il che contribuisce a far crescere le proteste di intensità e dimensioni. Poiché il dispiegamento è effettuato in contrasto con quanto richiesto dal governatore, altro non è che una sfida alle autorità statali e locali in una dimostrazione di forza militare che non si vedeva negli Stati Uniti dall'era dei diritti civili. Non solo. Per la prima volta negli Stati Uniti viene federalizzata la Guardia Nazionale in modo preventivo, viene cioè autorizzato l’uso dell'esercito in caso di proteste previste.
Da un giorno all’altro la città è invasa da militari, veicoli blindati, uomini e donne in borghese che indossano mascherine per nascondere la loro identità i quali, senza mostrare documenti di riconoscimento, arrestano e deportano centinaia di immigrati senza precedenti penali facendo irruzione nei luoghi di lavoro, nelle udienze sull'immigrazione, nelle scuole elementari, nelle abitazioni. L’ICE afferma di arrestare solo criminali, ma confonde volutamente lo status di clandestino con la criminalità. Negli Stati Uniti essere senza documenti, infatti, non è reato. È un illecito civile e amministrativo.
Con questa mossa, Trump ottiene un doppio risultato. Inviando l'ICE onora la promessa elettorale a proposito dell’immigrazione, impiega le forze armate per reprimere il dissenso e impone l'autorità del governo federale nello stato roccaforte del Partito Democratico. Ma soprattutto riesce a distogliere l’attenzione dalla sua faida con il miliardario della tecnologia Elon Musk e dalle divisioni repubblicane sulla sua legge su tasse e spesa per concentrarla sullo spettacolo da lui creato in California.
La California, il più grande stato democratico del Paese, è da tempo il principale oggetto delle ire di Trump. Trump e i suoi alleati l’hanno definita una minaccia esistenziale per il resto d'America. E’ vero che la California in generale, e Los Angeles in particolare, ospitano la più grande comunità di immigrati irregolari degli Stati Uniti. Ma è anche vero che la California ha il prodotto interno lordo nominale più alto di tutti gli Stati Uniti. Ha superato il Giappone, diventando la quarta economia più grande del mondo, con un PIL di 4,1 trilioni di dollari inferiore solo a quello di Stati Uniti, Cina e Germania. Questa superpotenza è impegnata in un'aspra lotta di potere con Washington DC. Perché simboleggia la tolleranza, la diversità, in sintesi: 39 milioni di persone provenienti da ogni parte del mondo, di etnie, religioni, retroterra socioeconomici diversi. Non solo. Nel 2018 la California è diventata il primo "stato santuario" della nazione, quando il suo parlamento ha promulgato una legge che limita la collaborazione tra funzionari locali e statali e le autorità federali per l'immigrazione.
La California rappresenta l'opposto del trumpismo, il baluardo supremo dei valori progressisti. Non a caso in California Trump ha sempre perso le elezioni. Inoltre c’è animosità personale e rivalità politica tra Trump e Newsom, potenziale candidato democratico alla presidenza nel 2028. Trump ha usato un linguaggio dispregiativo come "Newscum" e ha persino chiesto l’arresto di Newsom per interferenza con l'applicazione delle leggi federali sull'immigrazione. Al che Newsom ha risposto intentando causa all'amministrazione Trump per lo schieramento di truppe, sostenendo che è illegale, immorale e incostituzionale.
Anziché placarsi, con il passare dei giorni le proteste contro i raid dell'immigrazione si estendono ad altre città: New York, Chicago, Las Vegas, Austin… Per culminare il 14 giugno in una grande manifestazione anti-Trump organizzata da gruppi liberal denominata “No Kings”. Si stima che vi abbiano partecipato non meno di 5 milioni di persone in 2.100 località degli Stati Uniti, dalle grandi città ai piccoli centri, ma non a Washington DC, dove in contemporanea Donald Trump assisteva a una parata militare per celebrare il 250° anniversario dell’esercito americano programmata, non a caso, il giorno del suo 79° compleanno. Le immagini di posti vuoti sulle tribune lungo il percorso della parata testimoniano che l'affluenza non è stata così alta come sperato.
Dall’inizio del suo secondo mandato, il tasso di gradimento di Trump è diminuito, le proteste sono aumentate e di conseguenza l’uso della forza nei confronti dei contestatori è cresciuto, non risparmiando neppure politici dell'opposizione, tra cui il senatore statunitense Alex Padilla, e il candidato sindaco di New York City Brad Lander. Tutti costoro sono stati ammanettati e arrestati dalle forze dell'ordine per aver messo in discussione l'autorità o espresso dissenso.
In campagna elettorale Trump aveva promesso che nel suo secondo mandato “in un giorno” avrebbe “fermato tutte le guerre”. A cinque mesi dal suo insediamento, il conflitto russo-ucraino è più brutale che mai, a Gaza il massacro del popolo palestinese continua, e dal 13 giugno Israele ha dato il via a massicci attacchi aerei contro le infrastrutture nucleari e le aree residenziali iraniane aprendo in tal modo un nuovo fronte di guerra. Il 22 giugno gli USA sono entrati ufficialmente nel conflitto sganciando le superbombe “bunker buster” sui siti nucleari in Iran.
Per “liberare Los Angeles” il Presidente ordina l’intervento di 4.000 riservisti della Guardia Nazionale e 700 marines in servizio attivo senza consultare Gavin Newsom e, di fatto, sfidando la volontà del governatore della California. Il che contribuisce a far crescere le proteste di intensità e dimensioni. Poiché il dispiegamento è effettuato in contrasto con quanto richiesto dal governatore, altro non è che una sfida alle autorità statali e locali in una dimostrazione di forza militare che non si vedeva negli Stati Uniti dall'era dei diritti civili. Non solo. Per la prima volta negli Stati Uniti viene federalizzata la Guardia Nazionale in modo preventivo, viene cioè autorizzato l’uso dell'esercito in caso di proteste previste.
Da un giorno all’altro la città è invasa da militari, veicoli blindati, uomini e donne in borghese che indossano mascherine per nascondere la loro identità i quali, senza mostrare documenti di riconoscimento, arrestano e deportano centinaia di immigrati senza precedenti penali facendo irruzione nei luoghi di lavoro, nelle udienze sull'immigrazione, nelle scuole elementari, nelle abitazioni. L’ICE afferma di arrestare solo criminali, ma confonde volutamente lo status di clandestino con la criminalità. Negli Stati Uniti essere senza documenti, infatti, non è reato. È un illecito civile e amministrativo.
Con questa mossa, Trump ottiene un doppio risultato. Inviando l'ICE onora la promessa elettorale a proposito dell’immigrazione, impiega le forze armate per reprimere il dissenso e impone l'autorità del governo federale nello stato roccaforte del Partito Democratico. Ma soprattutto riesce a distogliere l’attenzione dalla sua faida con il miliardario della tecnologia Elon Musk e dalle divisioni repubblicane sulla sua legge su tasse e spesa per concentrarla sullo spettacolo da lui creato in California.
La California, il più grande stato democratico del Paese, è da tempo il principale oggetto delle ire di Trump. Trump e i suoi alleati l’hanno definita una minaccia esistenziale per il resto d'America. E’ vero che la California in generale, e Los Angeles in particolare, ospitano la più grande comunità di immigrati irregolari degli Stati Uniti. Ma è anche vero che la California ha il prodotto interno lordo nominale più alto di tutti gli Stati Uniti. Ha superato il Giappone, diventando la quarta economia più grande del mondo, con un PIL di 4,1 trilioni di dollari inferiore solo a quello di Stati Uniti, Cina e Germania. Questa superpotenza è impegnata in un'aspra lotta di potere con Washington DC. Perché simboleggia la tolleranza, la diversità, in sintesi: 39 milioni di persone provenienti da ogni parte del mondo, di etnie, religioni, retroterra socioeconomici diversi. Non solo. Nel 2018 la California è diventata il primo "stato santuario" della nazione, quando il suo parlamento ha promulgato una legge che limita la collaborazione tra funzionari locali e statali e le autorità federali per l'immigrazione.
La California rappresenta l'opposto del trumpismo, il baluardo supremo dei valori progressisti. Non a caso in California Trump ha sempre perso le elezioni. Inoltre c’è animosità personale e rivalità politica tra Trump e Newsom, potenziale candidato democratico alla presidenza nel 2028. Trump ha usato un linguaggio dispregiativo come "Newscum" e ha persino chiesto l’arresto di Newsom per interferenza con l'applicazione delle leggi federali sull'immigrazione. Al che Newsom ha risposto intentando causa all'amministrazione Trump per lo schieramento di truppe, sostenendo che è illegale, immorale e incostituzionale.
Anziché placarsi, con il passare dei giorni le proteste contro i raid dell'immigrazione si estendono ad altre città: New York, Chicago, Las Vegas, Austin… Per culminare il 14 giugno in una grande manifestazione anti-Trump organizzata da gruppi liberal denominata “No Kings”. Si stima che vi abbiano partecipato non meno di 5 milioni di persone in 2.100 località degli Stati Uniti, dalle grandi città ai piccoli centri, ma non a Washington DC, dove in contemporanea Donald Trump assisteva a una parata militare per celebrare il 250° anniversario dell’esercito americano programmata, non a caso, il giorno del suo 79° compleanno. Le immagini di posti vuoti sulle tribune lungo il percorso della parata testimoniano che l'affluenza non è stata così alta come sperato.
Dall’inizio del suo secondo mandato, il tasso di gradimento di Trump è diminuito, le proteste sono aumentate e di conseguenza l’uso della forza nei confronti dei contestatori è cresciuto, non risparmiando neppure politici dell'opposizione, tra cui il senatore statunitense Alex Padilla, e il candidato sindaco di New York City Brad Lander. Tutti costoro sono stati ammanettati e arrestati dalle forze dell'ordine per aver messo in discussione l'autorità o espresso dissenso.
In campagna elettorale Trump aveva promesso che nel suo secondo mandato “in un giorno” avrebbe “fermato tutte le guerre”. A cinque mesi dal suo insediamento, il conflitto russo-ucraino è più brutale che mai, a Gaza il massacro del popolo palestinese continua, e dal 13 giugno Israele ha dato il via a massicci attacchi aerei contro le infrastrutture nucleari e le aree residenziali iraniane aprendo in tal modo un nuovo fronte di guerra. Il 22 giugno gli USA sono entrati ufficialmente nel conflitto sganciando le superbombe “bunker buster” sui siti nucleari in Iran.
Fonte: di Giulietta Rovera