"LEONI E VOLPI NELLA POLITICA"
24-10-2022 - UNO SGUARDO SUL MONDO di Salvatore Rondello
In una rilettura del ‘Trattato di Sociologia Generale’ di Vilfredo Pareto, alcuni potrebbero trovare molto interessante ed attuale l’idea “politica” di Pareto. Nella sua opera si esprime l’idea che vi sia sempre una minoranza che governa e una maggioranza che è governata ma ciò non comporta che i sistemi politici siano indifferenziati fra loro. Secondo Pareto, la loro classificazione si deve basare su criteri empiricamente verificabili ossia i mezzi con cui la classe di governo esercita il potere e i modi in cui essi vengono applicati e le conseguenze economiche e politiche prodotte. Pareto suddivide i sistemi politici in quelli che operano essenzialmente attraverso l’astuzia, la frode, la corruzione (l’élite delle volpi) e quelli che operano attraverso la forza e la coercizione (l’élite dei leoni). L’élite delle volpi, che usa principalmente l’arte e l’astuzia e che rifugge la violenza, può agire sui sentimenti e sulle illusioni popolari ricorrendo all’inganno, alla manipolazione e alla costruzione di miti; ma può anche agire sugli interessi adoperando i metodi della clientela politica, della protezione e della corruzione. Il dilemma di Pareto è se sia più opportuno, per mantenersi al potere e per garantire la stabilità sociale, ricorrere al mezzo dell’astuzia o a quello della forza. Inoltre, si chiede se sia possibile esprimere una preferenza riguardo a una delle due élite di governo. Pareto scrive: “Se si osserva che cadono i governi i quali non sanno o non possono servirsi della forza, si osserva altresì che nessun governo dura facendo esclusivamente uso della forza. Se si governasse solo coll’astuzia, la furberia, le combinazioni, il potere della classe sarebbe lunghissimo; ma per governare occorre pure la forza. La carenza, nell’élite di governo, della forza o dell’astuzia contribuisce a rendere instabile il sistema sociale e a renderlo soggetto a repentini cambiamenti”.
Se si applica l’analisi paretiana all’Italia potremmo dire che a un periodo della forza (durato un ventennio) è seguito un periodo delle volpi che sta durando da più di 70 anni. Ma la mancanza della componente “leonina” è sempre più avvertita. Se è vera l’analisi di Pareto, la massa si è stancata dell’élite delle volpi. Non ne può più di una classe politica che utilizza per governare i sentimenti e le illusioni popolari ricorrendo all’inganno, alla manipolazione e alla costruzione di miti e i metodi della clientela politica e della corruzione. La massa sta chiedendo sempre di più a gran voce il “leone”, ossia una forza purificatrice che spazzi via la classe corrotta sedimentata da 70 anni ininterrotti di governo delle volpi. Questa per Pareto è la naturale dinamica che regola le forme di governo. Sarà vera questa analisi? Se sì, il “leone” Salvini non sarà una meteora come la “volpe” Renzi. Basta solo aspettare qualche anno per capire se Pareto aveva visto giusto o se “leoni” e “volpi” avranno nomi diversi da Salvini e Renzi.
L’analisi di Pareto tuttavia è molto limitata, perché la fauna politica non è fatta solo di “volpi” e “leoni”, ma anche da tanti altri animali che si lasciano dominare dagli egoismi del potere, dimenticando (come è avvenuto nel PD) la missione di “servire il popolo” di gramsciana memoria.
In passato si sono distinti anche i “cavalli di razza”, che, se ce ne fossero ancora alcuni, si potrebbero trovare abbandonati nelle scuderie di qualche maneggio sperduto. Invece, più numerosi ed attivi sono i camaleonti che si moltiplicano facilmente nelle foreste dei populismi e dei sovranismi. Poi, non dimentichiamo la pletora di parassiti, sempre più attaccati alla vegetazione del potere politico per succhiarne la linfa finché potranno.
L’allegoria faunistica utilizzata negli scritti di Pareto, si può riscontrare in modo più esteso e con una retorica diversa negli scritti di Orwell (La fattoria degli animali) che segnalo ai lettori per un approfondimento.
Tuttavia, non dobbiamo dimenticare la presenza politica dell’uomo nella politica. In questo, è molto d’aiuto il pensiero educativo di Guido Calogero che, con ‘La scuola dell’uomo’, afferma: “Nella vera educazione l’educatore non pensa soltanto a rispettare la libertà e il diritto dell’educando, ma vuole anche che questi impari a rispettare la libertà e il diritto degli altri”.
L’attuale momento storico, caratterizzato da difficoltà socio-economiche, accentua i rischi di eversione. Un esempio italiano oggetto di indagini giudiziarie, è quello dell’associazione eversiva di estrema destra Unione Forze Identitarie, che istiga all’odio razziale e che aveva fissato in periodo compreso tra il 2022 e il 2023 il momento utile per rovesciare le istituzioni e instaurare un nuovo governo che avrebbe operato attraverso articolazioni territoriali. Per i giudici del riesame sulle misure cautelari, sebbene l’indagato non fosse un soggetto di primo piano del gruppo nazifascista, si giustificano proprio con l’esigenza di prevenire il rischio che venisse attuato il progetto eversivo, in vista del quale erano state acquisite anche delle armi.
Come hanno evidenziato i giudici della sentenza: “Un pericolo reso più evidente anche dalla peculiarità del momento storico caratterizzato da difficoltà socio economiche”.
Hanno pesato anche le manifestazioni di piazza degenerate in scontri e l’approssimarsi del D-day fissato dal numero uno dell’Ufi, un’associazione tra tante caratterizzata da vocazione ideologica di estrema destra, volta non solo ad azioni eversive, come si legge nella sentenza, ma anche alla propaganda di idee xenofobe ed antisemite, oltre che all’incitamento, alla discriminazione razziale, etnica e religiosa, con particolare attivismo nella divulgazione di idee di contenuto suprematista della razza bianca, di xenofobia e negazionismo della Shoah.
Quanto all’antisemitismo il riesame giudiziario aveva individuato alcuni interventi nei quali il ricorrente esprimeva le proprie idee antisemite. Convinzioni che certo non rientrano nella libera manifestazione delle proprie opinioni ma si inquadrano nell’incitamento all’odio razziale. Una propaganda on-line, fatta sui siti di internet, in grado di raggiungere un numero indeterminato di persone. Questi argomenti, da soli, sono stati sufficienti ai giudici della Cassazione per respingere il ricorso.
Oggi siamo di fronte a una duplice situazione di crisi che riguarda un po’ tutto il mondo e in particolare le nostre società cosiddette democratiche. Questa immagine sulla nostra epoca è stata diagnosticata da Giorgio Galli nel suo ultimo libro Scacco alla superclass. La nuova oligarchia che governa il mondo e i metodi per limitarne lo strapotere, Mimesis 2016, scritto in collaborazione con il giurista Francesco Bochicchio.
Una duplice crisi segnalata ancor prima dell’arrivo della pandemia del covid e della successiva guerra in Ucraina. Da un lato, la crisi economico-finanziaria, la più seria tra quelle seguite dopo la crisi del 1929, con effetti sociali pesanti sulle condizioni di vita di centinaia di milioni di persone, che ha accelerato la crescita delle diseguaglianze socio-economiche e politiche, dell’esclusione sociale a danno dei ceti medi e delle fasce più deboli della popolazione, anche nel ricco mondo occidentale. Dall’altro, una crisi politica che si manifesta in una molteplicità di fenomeni: primo fra tutti quello dell’aumento esponenziale, nel corso degli ultimi decenni, del tasso di astensionismo elettorale, laddove le elezioni sono il baricentro delle nostre democrazie rappresentative e, appunto, “elettorali”; ma anche un disorientamento dei valori e un processo di svuotamento del ruolo decisionale delle istituzioni politiche democratiche a favore della sfera economico-finanziaria, della sua logica di mercato e di quello che il sociologo britannico Colin Crouch ha recentemente definito “il potere dei giganti economici”, con la collaterale sostanziale perdita di peso politico del voto democratico dei cittadini, un tempo “popolo sovrano” come indicato nella nostra Costituzione. Sovranità esautorata dalla legge elettorale anticostituzionale utilizzata per le recenti elezioni dei rappresentanti parlamentari. Risultato che, parafrasando Pareto, ha portato al potere una leonessa (Meloni) sostenuta però da tanti lupacchiotti (ministri, sottosegretari e presidenti di Camera e Senato) che forse avranno perso il pelo, ma possiamo dubitare sulla perdita del vizio.
Non solo in Italia, tutto ciò avviene all’interno dei singoli Stati-nazione e ancor di più a livello di Unione Europea o dei processi di allocazione delle risorse su scala globale.
In questi, e in altri collegati fenomeni, possiamo intravedere l’”altra faccia”, quella critica, del successo economico e politico del neo-liberalismo (Milton Friedman e la scuola di Chicago) inteso come ideologia (visione del mondo o cultura politica) e come modello di organizzazione/regolazione dei processi sociali e della nostra vita in modo automatico escludendo l’intervento della politica che viene esautorata nella sua funzione.
Dentro questo quadro si colloca l’analisi di Galli, considerato uno dei padri della scienza politica italiana dal secondo dopoguerra ad oggi, ma anche un attento osservatore e studioso dei fenomeni politici, ispirato da una “visione” di ampio respiro sui problemi del mondo contemporaneo, che sono sempre più difficili da rintracciare nella pregressa letteratura delle scienze sociali.
Procedendo con un approccio interdisciplinare che accosta prospettive e strumenti di analisi politologici, sociologici, storiografici e di storia delle dottrine politiche, Galli ha elaborato una ricostruzione e una diagnosi riguardanti le tendenze e i mutamenti degli ultimi 70 anni nel mondo occidentale. Imperniata su questa analisi, Galli offre anche una proposta: un’idea sulla quale vale la pena riflettere nel tentativo di trovare rimedio alle condizioni di crisi in cui versano le nostre società e la loro struttura politica liberal-democratica. Galli fa sua quella tesi storiografica, presente negli studi politici, che periodizza le tendenze che hanno segnato il mondo occidentale dal secondo dopoguerra ad oggi distinguendo due principali fasi, quasi antitetiche tra loro. La prima, fino agli anni ’70, caratterizzata da un arricchimento dei diritti di cittadinanza e da un miglioramento del benessere anche delle fasce sociali più deboli (l’età del “compromesso social-democratico” in cui venivano applicate le teorie keynesiane). La seconda, che arriva ai nostri giorni, caratterizzata da un progressivo aumento delle diseguaglianze che hanno penalizzato le fasce economiche più deboli, il ceto medio e la vecchia classe politica (l’epoca dominata dal “neo-liberalismo”). La crisi economico-finanziaria esplosa nel 2007, ha acuito questa situazione aggiungendo alla persistente diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza una diseguaglianza nella distribuzione dei “costi della crisi”, sul piano dei diritti e delle tutele, dell’occupazione, dei redditi e del benessere dei ceti medio-bassi.
Questa analisi di Galli è condivisa anche da Pizzorno (un altro “grande vecchio” delle scienze sociali italiane), il quale ha messo anche in rilievo come il regime politico dentro cui si è sviluppata la crisi socio-economica è quello della democrazia: anch’essa precipitata in una delicata crisi. Pizzorno, si chiede se vi sia un rapporto tra le due crisi. Galli risponde affermativamente a ragion veduta.
Di solito, quando ci si interroga sui problemi più gravi o più urgenti dei nostri giorni, a svettare sugli altri sono, tipicamente, la disoccupazione, l’immigrazione, il deperimento dell’ambiente naturale, gli squilibri demografici planetari, la crescita economica, la disunione europea, l’offensiva “populista”, e via dicendo. Ma questi fenomeni sono solo le conseguenze. Concordo con la visione di Galli sulla preoccupazione che sta a monte di tutti gli altri problemi, cioè il crescente potere decisionale delle multinazionali.
In altri termini, il trionfo di quel “capitalismo finanziario” già intuito a inizio del ‘900 dal teorico social-democratico Rudolf Hilferding: quello che oggi qualcuno chiama “turbocapitalismo” (Edward Luttwak) o “capitalismo d’azzardo” (Susan Strange), dove i protagonisti assoluti nei processi di allocazione delle risorse, materiali e immateriali, sono imprese, banche, società finanziarie, organizzazioni e network internazionali, il cui potere, le cui azioni e il cui “capitale sociale” non sono sempre facilmente osservabili. D’altra parte oggi pare più difficile che mai negare il potere anche politico assunto da questi soggetti e che trova espressione, ad esempio, nelle attività di lobbying presso le istituzioni politiche, legislative ed esecutive, nella loro capacità di scegliere su scala mondiale dove localizzare i propri investimenti e produzioni e dove alimentare i propri mercati di consumo, optando per i regimi giuridici e fiscali più favorevoli. A ciò va aggiunta la crescente tendenza delle istituzioni democratiche ad “appaltare” molte delle loro attività e competenze ad organizzazioni private, che così diventano, anche per questo, soggetti pienamente coinvolti (non sempre in modo trasparente) nella definizione delle politiche pubbliche. Così le politiche pubbliche sono diventate sempre più sottoposte a finalità e logiche tipiche della produzione/distribuzione dei “beni privati” (liberalizzazione, privatizzazione, deregolamentazione, mercatizzazione), marginalizzando finalità e logiche tipiche dei “beni pubblici” o dei “beni comuni”. Come ha sintetizzato Crouch,: “I giganti dell’economia e della finanza non sono più solo centri di pressione potenti, ma partecipano al processo politico dall’interno”.
Questo loro mutamento di status e di ruolo ha modificato in profondità significato e funzionamento del regime democratico.
Dall’analisi sviluppata da Galli emerge che oggi è in ginocchio la stessa politica democratica, e i suoi interpreti istituzionali tradizionali, novecenteschi. Siamo ad un passo dal fallimento della democrazia rappresentativa, che dagli anni ’80 in poi non riesce più a mantenere le sue promesse e a perseguire le sue aspirazioni fondamentali: allargamento dei diritti, miglioramento delle condizioni di vita, sviluppo delle libertà, riduzione delle diseguaglianze, dignità umana e vita decente per tutti. Sulle terapie da attuare sorgono alcune critiche.
Secondo il liberal-democratico Serio, Galli, attento alle genuine ragioni del socialismo (democratico), indica nel rafforzamento delle istituzioni della democrazia rappresentativa, oggi malandate, la cura per contribuire a rispondere alle promesse e aspirazioni democratiche, affinché la crisi economico-finanziaria e gli acuti problemi del modello neo-liberale non vedano come vittima sacrificale proprio la democrazia, i suoi principi e le sue pratiche di base: i cittadini sono detentori del potere legittimo chiamato a produrre decisioni collettive autoritative, valide erga omnes ed espressive dei valori costitutivi della democrazia; i cittadini, tramite il voto, delegano formalmente ai loro rappresentanti l’esercizio di questo potere.
Come ricordava tempo fa il politologo Rokkan: “Ma i voti, oltre a contarsi, “hanno un peso”. Oggi il “peso” del voto dei cittadini è molto debole (tecnicamente si può parlare di “voto a bassa portata”), dato che esso porta alla composizione di istituzioni politiche (prime tra tutti i parlamenti o i consigli regionali o comunali) il cui potere decisionale effettivo si è gradualmente affievolito sotto la pressione dei giganti economico-finanziari e più in generale dei gruppi privati di interesse.
Nell’orizzonte politico di Galli, la democrazia rappresentativa resta imprescindibile. Pertanto propone: “Per trovare rimedio all’attuale crisi politico-democratica è necessaria una mossa dall’alto, che ridisegni meccanismi e canali della rappresentanza democratica: estendere e potenziare il voto dei cittadini prevedendo per essi il diritto ad eleggere una parte del consiglio di amministrazione delle multinazionali, poiché è questa oggi la sede in cui si esercita in ampia misura il potere decisionale e si definiscono i grandi indirizzi delle scelte pubbliche. Ritengo che questa mossa dall’alto da sola non basti. Deve essere accompagnata da una mossa dal basso: iniezioni nella democrazia rappresentativa di meccanismi di democrazia diretta e partecipativa, di democrazia territoriale e localizzata, secondo i principi della sussidiarietà, al fine di rivitalizzare l’impegno civico del cittadino”.
Nondimeno, la proposta di Galli deve sollecitare la riflessione del cittadino, delle forze politiche istituzionali e delle scienze sociali che oggi appaiono poco attrezzate, prive di idee in grado di guidare l’analisi della politica nei nostri giorni e di mettere a fuoco i problemi che sorgono quando grandi soggetti economico-finanziari e interessi privati entrano con peso determinante nel processo decisionale politico e autoritativo, sfigurando il significato e le pratiche di quel regime che continuiamo a chiamare democratico per pigrizia d’intelletto o per motivi forse anche peggiori.
Al di là della praticabilità immediata della proposta di Giorgio Galli, la sfida è rivolta alla nostra capacità di pensare e ripensare, in modo anche radicale, le istituzioni democratiche che ci governano. E a modificare i nostri quadri concettuali, prendendo in considerazione un’idea che implica la revisione dei “confini” tradizionali della politica: un’idea peraltro messa a punto già mezzo secolo fa da un politologo americano ingiustamente sottovalutato e troppo presto dimenticato. Lascio alla curiosità del lettore andare alla ricerca del nome di questo studioso, ed anche la lettura del libro di Galli e l’approfondimento dei temi e delle analisi che egli ha elaborato.
Oggi, la fauna politica parafrasata da Pareto non agisce più liberamente perché è palesemente addomesticata da domatori invisibili.
Guardando più lontano, oltre alle indicazioni di Giorgio Galli, dovremmo esaminare anche la possibilità di dare una Patria dell’Umanità dove poter attuare quelle forme di democrazia economica che troviamo anche nel socialismo liberale ipotizzato da Carlo Rosselli, tra cui la cogestione, ma anche per il mantenimento di una democrazia reale duratura dove i governi siano espressione di libere scelte popolari.
Se si applica l’analisi paretiana all’Italia potremmo dire che a un periodo della forza (durato un ventennio) è seguito un periodo delle volpi che sta durando da più di 70 anni. Ma la mancanza della componente “leonina” è sempre più avvertita. Se è vera l’analisi di Pareto, la massa si è stancata dell’élite delle volpi. Non ne può più di una classe politica che utilizza per governare i sentimenti e le illusioni popolari ricorrendo all’inganno, alla manipolazione e alla costruzione di miti e i metodi della clientela politica e della corruzione. La massa sta chiedendo sempre di più a gran voce il “leone”, ossia una forza purificatrice che spazzi via la classe corrotta sedimentata da 70 anni ininterrotti di governo delle volpi. Questa per Pareto è la naturale dinamica che regola le forme di governo. Sarà vera questa analisi? Se sì, il “leone” Salvini non sarà una meteora come la “volpe” Renzi. Basta solo aspettare qualche anno per capire se Pareto aveva visto giusto o se “leoni” e “volpi” avranno nomi diversi da Salvini e Renzi.
L’analisi di Pareto tuttavia è molto limitata, perché la fauna politica non è fatta solo di “volpi” e “leoni”, ma anche da tanti altri animali che si lasciano dominare dagli egoismi del potere, dimenticando (come è avvenuto nel PD) la missione di “servire il popolo” di gramsciana memoria.
In passato si sono distinti anche i “cavalli di razza”, che, se ce ne fossero ancora alcuni, si potrebbero trovare abbandonati nelle scuderie di qualche maneggio sperduto. Invece, più numerosi ed attivi sono i camaleonti che si moltiplicano facilmente nelle foreste dei populismi e dei sovranismi. Poi, non dimentichiamo la pletora di parassiti, sempre più attaccati alla vegetazione del potere politico per succhiarne la linfa finché potranno.
L’allegoria faunistica utilizzata negli scritti di Pareto, si può riscontrare in modo più esteso e con una retorica diversa negli scritti di Orwell (La fattoria degli animali) che segnalo ai lettori per un approfondimento.
Tuttavia, non dobbiamo dimenticare la presenza politica dell’uomo nella politica. In questo, è molto d’aiuto il pensiero educativo di Guido Calogero che, con ‘La scuola dell’uomo’, afferma: “Nella vera educazione l’educatore non pensa soltanto a rispettare la libertà e il diritto dell’educando, ma vuole anche che questi impari a rispettare la libertà e il diritto degli altri”.
L’attuale momento storico, caratterizzato da difficoltà socio-economiche, accentua i rischi di eversione. Un esempio italiano oggetto di indagini giudiziarie, è quello dell’associazione eversiva di estrema destra Unione Forze Identitarie, che istiga all’odio razziale e che aveva fissato in periodo compreso tra il 2022 e il 2023 il momento utile per rovesciare le istituzioni e instaurare un nuovo governo che avrebbe operato attraverso articolazioni territoriali. Per i giudici del riesame sulle misure cautelari, sebbene l’indagato non fosse un soggetto di primo piano del gruppo nazifascista, si giustificano proprio con l’esigenza di prevenire il rischio che venisse attuato il progetto eversivo, in vista del quale erano state acquisite anche delle armi.
Come hanno evidenziato i giudici della sentenza: “Un pericolo reso più evidente anche dalla peculiarità del momento storico caratterizzato da difficoltà socio economiche”.
Hanno pesato anche le manifestazioni di piazza degenerate in scontri e l’approssimarsi del D-day fissato dal numero uno dell’Ufi, un’associazione tra tante caratterizzata da vocazione ideologica di estrema destra, volta non solo ad azioni eversive, come si legge nella sentenza, ma anche alla propaganda di idee xenofobe ed antisemite, oltre che all’incitamento, alla discriminazione razziale, etnica e religiosa, con particolare attivismo nella divulgazione di idee di contenuto suprematista della razza bianca, di xenofobia e negazionismo della Shoah.
Quanto all’antisemitismo il riesame giudiziario aveva individuato alcuni interventi nei quali il ricorrente esprimeva le proprie idee antisemite. Convinzioni che certo non rientrano nella libera manifestazione delle proprie opinioni ma si inquadrano nell’incitamento all’odio razziale. Una propaganda on-line, fatta sui siti di internet, in grado di raggiungere un numero indeterminato di persone. Questi argomenti, da soli, sono stati sufficienti ai giudici della Cassazione per respingere il ricorso.
Oggi siamo di fronte a una duplice situazione di crisi che riguarda un po’ tutto il mondo e in particolare le nostre società cosiddette democratiche. Questa immagine sulla nostra epoca è stata diagnosticata da Giorgio Galli nel suo ultimo libro Scacco alla superclass. La nuova oligarchia che governa il mondo e i metodi per limitarne lo strapotere, Mimesis 2016, scritto in collaborazione con il giurista Francesco Bochicchio.
Una duplice crisi segnalata ancor prima dell’arrivo della pandemia del covid e della successiva guerra in Ucraina. Da un lato, la crisi economico-finanziaria, la più seria tra quelle seguite dopo la crisi del 1929, con effetti sociali pesanti sulle condizioni di vita di centinaia di milioni di persone, che ha accelerato la crescita delle diseguaglianze socio-economiche e politiche, dell’esclusione sociale a danno dei ceti medi e delle fasce più deboli della popolazione, anche nel ricco mondo occidentale. Dall’altro, una crisi politica che si manifesta in una molteplicità di fenomeni: primo fra tutti quello dell’aumento esponenziale, nel corso degli ultimi decenni, del tasso di astensionismo elettorale, laddove le elezioni sono il baricentro delle nostre democrazie rappresentative e, appunto, “elettorali”; ma anche un disorientamento dei valori e un processo di svuotamento del ruolo decisionale delle istituzioni politiche democratiche a favore della sfera economico-finanziaria, della sua logica di mercato e di quello che il sociologo britannico Colin Crouch ha recentemente definito “il potere dei giganti economici”, con la collaterale sostanziale perdita di peso politico del voto democratico dei cittadini, un tempo “popolo sovrano” come indicato nella nostra Costituzione. Sovranità esautorata dalla legge elettorale anticostituzionale utilizzata per le recenti elezioni dei rappresentanti parlamentari. Risultato che, parafrasando Pareto, ha portato al potere una leonessa (Meloni) sostenuta però da tanti lupacchiotti (ministri, sottosegretari e presidenti di Camera e Senato) che forse avranno perso il pelo, ma possiamo dubitare sulla perdita del vizio.
Non solo in Italia, tutto ciò avviene all’interno dei singoli Stati-nazione e ancor di più a livello di Unione Europea o dei processi di allocazione delle risorse su scala globale.
In questi, e in altri collegati fenomeni, possiamo intravedere l’”altra faccia”, quella critica, del successo economico e politico del neo-liberalismo (Milton Friedman e la scuola di Chicago) inteso come ideologia (visione del mondo o cultura politica) e come modello di organizzazione/regolazione dei processi sociali e della nostra vita in modo automatico escludendo l’intervento della politica che viene esautorata nella sua funzione.
Dentro questo quadro si colloca l’analisi di Galli, considerato uno dei padri della scienza politica italiana dal secondo dopoguerra ad oggi, ma anche un attento osservatore e studioso dei fenomeni politici, ispirato da una “visione” di ampio respiro sui problemi del mondo contemporaneo, che sono sempre più difficili da rintracciare nella pregressa letteratura delle scienze sociali.
Procedendo con un approccio interdisciplinare che accosta prospettive e strumenti di analisi politologici, sociologici, storiografici e di storia delle dottrine politiche, Galli ha elaborato una ricostruzione e una diagnosi riguardanti le tendenze e i mutamenti degli ultimi 70 anni nel mondo occidentale. Imperniata su questa analisi, Galli offre anche una proposta: un’idea sulla quale vale la pena riflettere nel tentativo di trovare rimedio alle condizioni di crisi in cui versano le nostre società e la loro struttura politica liberal-democratica. Galli fa sua quella tesi storiografica, presente negli studi politici, che periodizza le tendenze che hanno segnato il mondo occidentale dal secondo dopoguerra ad oggi distinguendo due principali fasi, quasi antitetiche tra loro. La prima, fino agli anni ’70, caratterizzata da un arricchimento dei diritti di cittadinanza e da un miglioramento del benessere anche delle fasce sociali più deboli (l’età del “compromesso social-democratico” in cui venivano applicate le teorie keynesiane). La seconda, che arriva ai nostri giorni, caratterizzata da un progressivo aumento delle diseguaglianze che hanno penalizzato le fasce economiche più deboli, il ceto medio e la vecchia classe politica (l’epoca dominata dal “neo-liberalismo”). La crisi economico-finanziaria esplosa nel 2007, ha acuito questa situazione aggiungendo alla persistente diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza una diseguaglianza nella distribuzione dei “costi della crisi”, sul piano dei diritti e delle tutele, dell’occupazione, dei redditi e del benessere dei ceti medio-bassi.
Questa analisi di Galli è condivisa anche da Pizzorno (un altro “grande vecchio” delle scienze sociali italiane), il quale ha messo anche in rilievo come il regime politico dentro cui si è sviluppata la crisi socio-economica è quello della democrazia: anch’essa precipitata in una delicata crisi. Pizzorno, si chiede se vi sia un rapporto tra le due crisi. Galli risponde affermativamente a ragion veduta.
Di solito, quando ci si interroga sui problemi più gravi o più urgenti dei nostri giorni, a svettare sugli altri sono, tipicamente, la disoccupazione, l’immigrazione, il deperimento dell’ambiente naturale, gli squilibri demografici planetari, la crescita economica, la disunione europea, l’offensiva “populista”, e via dicendo. Ma questi fenomeni sono solo le conseguenze. Concordo con la visione di Galli sulla preoccupazione che sta a monte di tutti gli altri problemi, cioè il crescente potere decisionale delle multinazionali.
In altri termini, il trionfo di quel “capitalismo finanziario” già intuito a inizio del ‘900 dal teorico social-democratico Rudolf Hilferding: quello che oggi qualcuno chiama “turbocapitalismo” (Edward Luttwak) o “capitalismo d’azzardo” (Susan Strange), dove i protagonisti assoluti nei processi di allocazione delle risorse, materiali e immateriali, sono imprese, banche, società finanziarie, organizzazioni e network internazionali, il cui potere, le cui azioni e il cui “capitale sociale” non sono sempre facilmente osservabili. D’altra parte oggi pare più difficile che mai negare il potere anche politico assunto da questi soggetti e che trova espressione, ad esempio, nelle attività di lobbying presso le istituzioni politiche, legislative ed esecutive, nella loro capacità di scegliere su scala mondiale dove localizzare i propri investimenti e produzioni e dove alimentare i propri mercati di consumo, optando per i regimi giuridici e fiscali più favorevoli. A ciò va aggiunta la crescente tendenza delle istituzioni democratiche ad “appaltare” molte delle loro attività e competenze ad organizzazioni private, che così diventano, anche per questo, soggetti pienamente coinvolti (non sempre in modo trasparente) nella definizione delle politiche pubbliche. Così le politiche pubbliche sono diventate sempre più sottoposte a finalità e logiche tipiche della produzione/distribuzione dei “beni privati” (liberalizzazione, privatizzazione, deregolamentazione, mercatizzazione), marginalizzando finalità e logiche tipiche dei “beni pubblici” o dei “beni comuni”. Come ha sintetizzato Crouch,: “I giganti dell’economia e della finanza non sono più solo centri di pressione potenti, ma partecipano al processo politico dall’interno”.
Questo loro mutamento di status e di ruolo ha modificato in profondità significato e funzionamento del regime democratico.
Dall’analisi sviluppata da Galli emerge che oggi è in ginocchio la stessa politica democratica, e i suoi interpreti istituzionali tradizionali, novecenteschi. Siamo ad un passo dal fallimento della democrazia rappresentativa, che dagli anni ’80 in poi non riesce più a mantenere le sue promesse e a perseguire le sue aspirazioni fondamentali: allargamento dei diritti, miglioramento delle condizioni di vita, sviluppo delle libertà, riduzione delle diseguaglianze, dignità umana e vita decente per tutti. Sulle terapie da attuare sorgono alcune critiche.
Secondo il liberal-democratico Serio, Galli, attento alle genuine ragioni del socialismo (democratico), indica nel rafforzamento delle istituzioni della democrazia rappresentativa, oggi malandate, la cura per contribuire a rispondere alle promesse e aspirazioni democratiche, affinché la crisi economico-finanziaria e gli acuti problemi del modello neo-liberale non vedano come vittima sacrificale proprio la democrazia, i suoi principi e le sue pratiche di base: i cittadini sono detentori del potere legittimo chiamato a produrre decisioni collettive autoritative, valide erga omnes ed espressive dei valori costitutivi della democrazia; i cittadini, tramite il voto, delegano formalmente ai loro rappresentanti l’esercizio di questo potere.
Come ricordava tempo fa il politologo Rokkan: “Ma i voti, oltre a contarsi, “hanno un peso”. Oggi il “peso” del voto dei cittadini è molto debole (tecnicamente si può parlare di “voto a bassa portata”), dato che esso porta alla composizione di istituzioni politiche (prime tra tutti i parlamenti o i consigli regionali o comunali) il cui potere decisionale effettivo si è gradualmente affievolito sotto la pressione dei giganti economico-finanziari e più in generale dei gruppi privati di interesse.
Nell’orizzonte politico di Galli, la democrazia rappresentativa resta imprescindibile. Pertanto propone: “Per trovare rimedio all’attuale crisi politico-democratica è necessaria una mossa dall’alto, che ridisegni meccanismi e canali della rappresentanza democratica: estendere e potenziare il voto dei cittadini prevedendo per essi il diritto ad eleggere una parte del consiglio di amministrazione delle multinazionali, poiché è questa oggi la sede in cui si esercita in ampia misura il potere decisionale e si definiscono i grandi indirizzi delle scelte pubbliche. Ritengo che questa mossa dall’alto da sola non basti. Deve essere accompagnata da una mossa dal basso: iniezioni nella democrazia rappresentativa di meccanismi di democrazia diretta e partecipativa, di democrazia territoriale e localizzata, secondo i principi della sussidiarietà, al fine di rivitalizzare l’impegno civico del cittadino”.
Nondimeno, la proposta di Galli deve sollecitare la riflessione del cittadino, delle forze politiche istituzionali e delle scienze sociali che oggi appaiono poco attrezzate, prive di idee in grado di guidare l’analisi della politica nei nostri giorni e di mettere a fuoco i problemi che sorgono quando grandi soggetti economico-finanziari e interessi privati entrano con peso determinante nel processo decisionale politico e autoritativo, sfigurando il significato e le pratiche di quel regime che continuiamo a chiamare democratico per pigrizia d’intelletto o per motivi forse anche peggiori.
Al di là della praticabilità immediata della proposta di Giorgio Galli, la sfida è rivolta alla nostra capacità di pensare e ripensare, in modo anche radicale, le istituzioni democratiche che ci governano. E a modificare i nostri quadri concettuali, prendendo in considerazione un’idea che implica la revisione dei “confini” tradizionali della politica: un’idea peraltro messa a punto già mezzo secolo fa da un politologo americano ingiustamente sottovalutato e troppo presto dimenticato. Lascio alla curiosità del lettore andare alla ricerca del nome di questo studioso, ed anche la lettura del libro di Galli e l’approfondimento dei temi e delle analisi che egli ha elaborato.
Oggi, la fauna politica parafrasata da Pareto non agisce più liberamente perché è palesemente addomesticata da domatori invisibili.
Guardando più lontano, oltre alle indicazioni di Giorgio Galli, dovremmo esaminare anche la possibilità di dare una Patria dell’Umanità dove poter attuare quelle forme di democrazia economica che troviamo anche nel socialismo liberale ipotizzato da Carlo Rosselli, tra cui la cogestione, ma anche per il mantenimento di una democrazia reale duratura dove i governi siano espressione di libere scelte popolari.
Fonte: di Salvatore Rondello