16 Maggio 2024

"ANNO 2024 SEGNATO DALLE ELEZIONI"

Il 2024 è un anno elettorale da record. Decine di paesi andranno al voto, interessando la metà della popolazione globale. Dalle nazioni ricche a quelle in via di sviluppo, in pochi mesi si deciderà il destino del prossimo decennio.
Il Guardian ha efficacemente definito il “Super Bowl della democrazia”. Un numero record di elezioni, che alla fine potrebbero determinare un mondo più libero o al contrario un peggioramento delle democrazie globali.
Il 7 gennaio 2024 ci sono già state le elezioni generali in Bangladesh, dove non è cambiato nulla. Hasina è stata rieletta con elezioni truccate secondo i partiti di opposizione. Il dato ufficiale riporta una partecipazione al voto del 40 per cento circa.
Il 13 gennaio 2024 si è votato a Taiwan per le elezioni presidenziali e per il cambio del Parlamento. Un voto che condiziona inevitabilmente i rapporti con la Cina rimasti invariati dopo la riconferma del partito democratico che ha ottenuto la maggioranza relativa in una situazione politicamente difficile per la formazione di un nuovo governo ed il rischio di nuove elezioni anticipate.
Il 4 febbraio 2024, a El Salvador si voterà per il cambio del presidente e del Parlamento.
Il giorno 8 febbraio si voterà in Pakistan.
Il 14 febbraio 2024, in Indonesia si voterà per le elezioni presidenziali e per il cambio del Parlamento.
Il 24 febbraio 2024, si voterà anche in Bielorussia per le elezioni presidenziali, ma è quasi certa la rielezione di Aleksander Lukashenko.
Il primo marzo 2024, in Iran si voterà per il cambio del Parlamento, ma anche in questo caso non si aspettano grossi cambiamenti.
Il 10 marzo si vota in Portogallo con i socialisti in difficoltà.
Il 17 marzo 2024, anche la Russia va al voto, con esito praticamente scontato.
In primavera si voterà in India, la più grande democrazia del mondo. L'attuale presidente Narendra Modi punta alla sua rielezione.
Il 2 giugno 2024, il Messico andrà al voto per le elezioni presidenziali e per il cambio del Parlamento.
Il 9 giugno in Belgio si voterà in concomitanza con le elezioni del Parlamento europeo.
Tra il 6 e il 9 giugno 2024, ci saranno le tanto attese Elezioni Europee. Si dovranno nominare 720 rappresentanti, 15 in più rispetto all’ultima elezione europea.
Il 5 novembre 2024, gli Stati Uniti sono chiamati ad eleggere il nuovo Presidente e rinnovare il Congresso.
Non ancora decise le date per le elezioni in Austria (previste in autunno) e quelle in Gran Bretagna (entro l’anno) dove i laburisti potrebbero tornare al governo.
Sono questi gli appuntamenti più attesi per il 2024 in cui due miliardi di persone dovrebbero recarsi alle urne per decidere le sorti di oltre 75 paesi in cui vivono più di quattro miliardi di persone: la metà della popolazione mondiale. È difficile far finta che l’altra metà del mondo non sarà influenzata dai risultati elettorali che emergeranno e che plasmeranno almeno la fine del decennio, se non l’intera metà del secolo.
Ci sono elezioni ed elezioni. Circa 40 paesi, che rappresentano il 42 per cento della popolazione, terranno quelle nazionali, mentre negli altri sono previste tornate locali come in Italia. Ci sono anche quelle transnazionali, come le europee. Paesi ricchi o in via di sviluppo, democratici e non. Perché è vero che si andrà a votare, ma in alcuni contesti le competizioni elettorali saranno tutt‘altro che libere.
Secondo quanto riporta l’Economist, infatti, elezioni veramente eque si svolgeranno solo in 43 dei 76 paesi, pari al 55 per cento. Una percentuale che suffraga la narrazione di un mondo diviso tra democrazie e autocrazie o, in alcuni casi, regimi.
Nel caso dell’Iran, dove sarà rinnovato il parlamento, non sono previste svolte significative in un paese in cui negli ultimi anni la repressione feroce si è confermata contro opposizioni e spinte innovative, tuttavia rimane la possibilità di intravedere qualche segnale lanciato nei confronti delle autorità politiche e religiose, con il boicottaggio e l’astensionismo.
Sempre a marzo, andrà al voto pure la Federazione Russa di Vladimir Putin, che ha annunciato a dicembre la sua scontata rielezione in una scontata competizione. Le figure che hanno sfidato Putin sono fuori dai giochi, i candidati in lizza che si discostano da lui sono deboli e il sospetto che siano in corsa solo per dare una parvenza di competizione seria è reale.
Per l’attuale presidente il dubbio è solamente la percentuale che riuscirà a ottenere, lecitamente o meno. Anche in questo caso, difficile pensare a un miglioramento delle condizioni democratiche della Russia, con la guerra in Ucraina che continuerà e con Putin pronto a rimanere al potere fino al 2036.
Un discorso simile può valere anche per la Bielorussia, le cui elezioni parlamentari sono a febbraio del 2024 mentre le presidenziali l’anno successivo. Aleksander Lukashenko, da 30 anni alla guida del paese, continuerà a governare reprimendo le opposizioni, con queste ultime che hanno già deciso di boicottare le urne a febbraio, motivo per cui non si attendono cambi di scenario.
In Ucraina ancora non è chiaro se si svolgeranno le elezioni a causa della guerra. Il presidente Volodymyr Zelensky ha allontanato al momento l’ipotesi. Ma le pressioni interne ed esterne non saranno facili da gestire per molto, e con tutte le criticità del caso, si potrebbe aprire la possibilità di vedere gli ucraini in fila a votare sotto le bombe russe, trionfo plastico della democrazia.
Rimanendo nel territorio europeo andranno al voto Portogallo, Romania, Austria, Belgio, Croazia, Lituania. La Finlandia per le presidenziali, così come la Slovacchia. Discorso a parte per il Regno Unito dove la data delle elezioni non è fissata ma il premier, Rishi Sunak, ha confermato la sua intenzione di chiamare i cittadini a votare nel 2024. Dopo 14 anni di governo conservatore, i britannici sarebbero pronti a voltar pagina scegliendo i laburisti.
Per tutti i paesi dove le fondamenta della democrazia non sono in pericolo, l’ipotesi forse peggiore è quella di un generale spostamento del baricentro verso l’estrema destra, per esempio in Portogallo o Austria. Nulla però che non possa essere istituzionalizzato, come già visto in altre parti, Italia compresa.
Spostamento a destra previsto anche alle elezioni europee, con i 400 milioni di elettori in tutta l’Unione che andranno al voto per rimodellare le istituzioni di Bruxelles. I risultati di questa elezione transnazionale avranno un peso specifico notevole perché dallo scontro tra sovranisti ed europeisti probabilmente nasceranno riforme strutturali che plasmeranno la prossima Unione europea.
Se il 2024 sarà un anno record per le urne, però, molto è dovuto all’India e ai suoi 900 milioni di elettori che tra aprile e maggio voteranno. Nel paese asiatico, potenza in via di sviluppo per fattori demografici ed economici, il grande consenso attorno a Narendra Modi fa prevedere un successo del suo partito, Bharatiya Janata Party (Bjp), e un rafforzamento di quel nazionalismo indù che nel primo mandato ha premiato Modi, nonostante le accuse di repressione dei dissidenti politici e di minoranze musulmane. Le opposizioni, per la prima volta unite dietro la sigla ‘India’, rincorrono ma scontano la mancanza di una leadership credibile e l’ampia eterogeneità.
Che l’India sia a un punto di svolta, come ha detto Modi stesso, è fuor di dubbio, vista la sua ascesa tra le grandi nazioni e il suo possibile ruolo nella competizione tra Stati Uniti d’America e Cina. Ma il punto di svolta è rappresentato anche dalle tentazioni che spingono l’attuale primo ministro verso un autoritarismo più marcato. La direzione che il paese prenderà dopo le elezioni chiarirà se l’India potrà ancora essere soprannominata la “democrazia più grande del mondo”. Le elezioni generali nella nazione più popolosa e nella più grande democrazia del mondo (Il Paese conta 1,4 miliardi di persone e ha 950 milioni di votanti registrati) si svolgeranno nell'arco di diverse settimane tra aprile e maggio. Il primo ministro Narendra Modi e il suo Bharatiya Janata Party (BJP) cercheranno di ottenere il terzo mandato quinquennale consecutivo. Il premier, 73 anni, continua a godere di un'ampia popolarità, in forza malgrado il crescente nazionalismo indù e i successi economici, mentre l'opposizione fatica a conquistare spazio. Nel tentativo di lanciare una sfida efficace al BJP, una ventina di partiti hanno formato un'alleanza chiamata INDIA, acronimo di Indian National Developmental Inclusive Alliance. Il cartello include il Congresso Nazionale Indiano, il partito dei Gandhi, che spera di tornare al suo periodo di massimo splendore. Tuttavia, i recenti segnali non sono stati incoraggianti per gli sfidanti di Modi.
A febbraio andrà alle urne anche il Pakistan. L’ex premier Imran Khan è in prigione, accusato di corruzione, ha ancora peso nel partito e ha deciso di correre nonostante la detenzione. Al voto in Asia, dove si voterà anche in Indonesia.
In Africa le elezioni si svolgeranno in Algeria, Tunisia, Ghana, Ruanda, Namibia, Mozambico, Senegal, Togo, Sud Sudan e Sud Africa, in alcuni casi con ombre importanti su libertà e imparzialità.
Nel continente americano, invece, le urne saranno aperte in Messico, dove a contendersi il potere sono due donne: Claudia Sheinbaum Pardo e Xóchitl Gálvez. Fino ad arrivare agli Stati Uniti, in bilico tra la conferma di un Joe Biden in difficoltà interna e il pericoloso ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca.
Nel 2022, secondo Freedom House, la libertà nel mondo è calata per il 17° anno consecutivo, 35 paesi hanno registrato una riduzione nelle libertà civili e nei diritti politici, mentre 34 hanno visto dei miglioramenti. Ecco perché il 2024 sarà un anno cruciale, un “turning point” che potrebbe cambiare sensibilmente l’indice delle democrazie nel mondo.
Le urne dell’isola di Smeraldo, Taiwan, sono ancora bollenti, con un elettorato in flessione, vedono comunque una riconferma della democrazia filo statunitense anche se con segnali di indebolimento.
Già da gennaio si intravede la piega di un indebolimento della democrazia nel mondo, ma anche di una insofferenza dei popoli che subiscono governi autoritari con elezioni finte ed alti astensionismi.
Se si considerano anche le consultazioni amministrative e locali, gli Stati salgono a 76. Purtroppo, non sempre le procedure elettorali sono democratiche ma i risultati avranno comunque importanti ripercussioni non solo nei singoli Stati, ma anche sul proscenio della geopolitica.
Più di 200 milioni di persone hanno diritto a votare per le elezioni indonesiane del 14 febbraio, il più grande voto presidenziale diretto al mondo, nel più popoloso Paese musulmano, in cui la tradizionale tolleranza religiosa e culturale, inserita nella Costituzione, ha subito recenti colpi. Tre candidati, il ministro della Difesa Prabowo Subianto, l'ex governatore di Giava Centrale Ganjar Pranowo e l'ex governatore di Giacarta Anies Baswedan, sono in lizza per sostituire il presidente per due mandati Joko Widodo. Secondo molti osservatori, le elezioni riguarderanno il futuro della democrazia e della cultura politica in Indonesia. Ad esempio, avranno influenza sul modo in cui il potere viene conquistato, sui diritti umani e sulla libertà di espressione.
Tra il 15 e il 17 marzo Vladimir Putin tenterà di allungare il suo mandato al 2030. Lo Zar siede al Cremlino come presidente della Russia dal 31 dicembre 1999, con una pausa di 4 anni dal 2008 al 2012, quando è stato “solo” primo ministro. La Costituzione non gli vieterebbe poi di ricandidarsi fino al 2036. Rivali credibili all’orizzonte, ovviamente, non se ne vedono. Sulla scheda ci saranno una trentina di nomi, per dare una parvenza di democrazia alla procedura. Anche tra costoro, comunque, chi può infastidire viene preventivamente escluso. È il caso della pacifista Ekaterina Duntsova, ex giornalista e consigliera comunale, attivista per la democrazia e la fine dell'offensiva in Ucraina, che è stata bocciata dalla Commissione elettorale centrale, per "errori nei documenti presentati”. Ma si sa che l’unico reale sfidante potenziale, il dissidente Alexei Navalny, è rinchiuso da anni con accuse inconsistenti: da poco è stato trasferito in una colonia penale oltre il Circolo polare artico, da dove non può infastidire.
Due donne, Claudia Sheinbaum e Xóchitl Gálvez, saranno in lizza in Messico il prossimo 2 giugno per succedere al presidente Andrés Manuel López Obrador. Il candidato della coalizione Morena di López Obrador, Continuiamo a fare la storia (Seguimos Haciendo Historia), è l'ex sindaco di Città del Messico Sheinbaum (in vantaggio nei sondaggi). Dovrà vedersela con la senatrice Gálvez, candidato del Fronte Ampio per il Messico (Frente Amplio por México/FAM), la principale alleanza di opposizione, composta dal Partito d'Azione Nazionale (PAN), dal Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI) e dal Partito della Rivoluzione Democratica (PRD). Quasi 100 milioni di elettori sono chiamati a conferire un mandato di sei anni a una leader che dovrà affrontare i principali problemi del Paese, legati alla violenza dei cartelli del narcotraffico, alla corruzione e ai flussi migratori verso gli Stati Uniti.
Tra il 6 e il 9 giugno saranno 400 milioni gli europei chiamati alle urne per eleggere il nuovo Parlamento di Strasburgo. È l’unico caso in cui non si vota per gli organi di una nazione, ma di un’Unione di Stati (27, in attesa di un prossimo allargamento). La prima forza uscente è il Partito popolare, alleato con i socialisti, e i liberali nella cosiddetta (in Italia) maggioranza Ursula, che ha portato alla presidenza della Commissione la popolare tedesca Von der Leyen. Le previsioni danno una crescita di forze euroscettiche o sovraniste, ma i risultati recenti in Spagna, Polonia e Olanda hanno fornito indicazioni contrastanti sulle tendenze generali. C’è inoltre la possibilità che vi sia un rimescolamento nella composizione delle famiglie politiche, compresi gli scenari che vedono lo spostamento del partito Fidesz dell’ungherese Viktor Orbán, uscito dal Ppe. Non è nemmeno esclusa una nuova maggioranza tra popolari e conservatori, dove Fratelli d’Italia svolgerebbe un ruolo chiave. Riflettori puntati anche sui risultati in singoli Paesi, come la Germania e la Francia, con test importanti per i rispettivi governi, insidiati dalle opposizioni di centro-destra.
In Italia: Abruzzo, Basilicata, Piemonte, Sardegna e Umbria sono le regioni che andranno al voto il prossimo anno. In Italia si svolgeranno anche le amministrative che coinvolgeranno circa 3.700 comuni. Tra i capoluoghi in cui verranno eletti sindaco e consiglio comunale ci sono Bari, Cagliari, Campobasso, Firenze, Perugia e Potenza. Si profila un successo di Fratelli d’Italia con il Centro Destra e di una sonora sconfitta del PD e del M5S con incertezze di tenuta per Italia Viva e Azione.
Il 5 novembre si svolgerà il 60esimo voto della storia degli Stati Uniti per eleggere il presidente, che resterà in carica alla Casa Bianca per quattro anni, dal gennaio 2025. Si annuncia come una delle elezioni più infuocate e dagli esiti imprevedibili della storia americana, nelle quali l’affluenza (solitamente bassa) avrà un peso rilevante. L’incognita non è tanto per la scelta tra i due candidati, il leader uscente, il democratico Joe Biden, e lo sfidante repubblicano Donald Trump, quanto per gli effetti di una vittoria di quest’ultimo. Il tycoon, plurinquisito e processato, potrebbe assumere decisioni dirompenti sia sul piano interno sia a livello internazionale, creando una frattura domestica e rimescolamenti degli equilibri globali. La guerra in Ucraina, il conflitto in Medio Oriente, il braccio di ferro su Taiwan, i rapporti con l’Unione europea, le politiche climatiche sono i fronti caldi sui quali l’elezione di Trump avrebbe effetti importanti e forse anche rivoluzionari, come la ventilata uscita degli Usa dalla Nato.
I sondaggi al momento premiano quest’ultimo sia alle primarie repubblicane sia nella corsa contro il presidente democratico, nonostante le possibili condanne dopo i fatti di Capitol Hill. Come afferma lo studioso Mario Del Pero, la recente decisione della Corte suprema del Colorado sembra un tentativo della democrazia americana di proteggere sé stessa: “Una forma di legittima difesa contro un soggetto che nelle settimane successive al voto del 2020 ha promosso un’azione eversiva finalizzata a impedire la transizione pacifica dei poteri e il riconoscimento del risultato elettorale”.
L’ipotesi al momento concreta di un’elezione di Trump, con possibili derive autoritarie, avrebbe ripercussioni ad oggi imprevedibili sulla democrazia americana, che appare stanca e mai così fragile. Poi, le ripercussioni sulla geopolitica non sono da sottovalutare in una dimensione peggiorativa per le libertà e la giustizia sociale dell’umanità.
Secondo il Financial Times, ormai sono diversi gli esempi in cui le immagini sono generate usando un tool di intelligenza artificiale che permette di creare filmati con avatar artificiali a soli 24 dollari al mese per influenzare i risultati elettorali. È stato anche citato il caso di video deepfake contro l’opposizione pubblicati su Facebook, compreso uno in cui il leader in esilio di un partito suggerirebbe di “restare in silenzio” su Gaza per non irritare gli Stati Uniti, un tema particolarmente sentito nel Paese dove sono forti le simpatie a favore della Palestina. Il contenuto sarebbe poi stato rimosso da Meta.
Secondo il Financial Times, nel Bangladesh si sarebbe già verificato quello che i policy-makers in tutto il mondo temono: la disinformazione creata con l’intelligenza artificiale messa in campo per ingannare gli elettori ed esacerbare le divisioni in vista di elezioni molto importanti nel prossimo futuro.
Il caso del Bangladesh ha aumentato l’attenzione sui potenziali pericoli posti dall’uso dell’intelligenza artificiale per generare e diffondere disinformazione. Ancora secondo il Financial Times, sta crescendo la pressione sulle grandi aziende tech in vista di importanti elezioni del 2024 tra cui il voto per il Parlamento europeo a giugno e le presidenziali negli Stati Uniti a novembre. Google e Meta, le società che controllano Instagram e Facebook, hanno già annunciato che imporranno alle campagne elettorali di specificare se i contenuti sono stati generati o modificati dall’IA. Importante, dunque, la legge sull’intelligenza artificiale prodotta dall’Unione europea per prima in tutto il mondo.
Quando si hanno a disposizione tecnologie e strumenti come l’intelligenza artificiale, che permettono di produrre disinformazione in grande quantità, si può immaginare quale minaccia questo possa rappresentare.
Uno dei problemi principali in questo campo è la mancanza di strumenti affidabili per identificare la disinformazione prodotta con l’intelligenza artificiale. I prodotti già disponibili non sarebbero infatti particolarmente efficaci nell’individuare contenuti non in inglese. E c’è poi un’altra possibile minaccia causata dalla diffusione di questo tipo di contenuti, che i politici e altri personaggi influenti possano bollare come ‘deepfake’, e così screditare, informazioni reali che li metterebbero in cattive luce. E’ facile per un politico dire è un deepfake, è stato creato con l’intelligenza artificiale, e alimentare la confusione.
Gli Stati Uniti hanno persino preso la decisione di imporre restrizioni sui visti a coloro che hanno dimostrato di aver interferito e minato il processo democratico. Queste mosse denunciano giustamente qualsiasi alternativa alle elezioni democratiche ma non sono abbastanza efficaci per fermarle.
Ecco perchè c’è bisogno strutturare la democrazia economica che attraverso la distribuzione dei poteri possa controllare alle origini il corretto uso delle nuove tecnologie senza mettere in crisi i principi democratici. In tal senso, la via del socialismo liberale è la strada maestra per la libertà, la giustizia sociale e la dignità dell’umanità intera.






Fonte: di Salvatore Rondello
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