ITALIA CIVILE
23-12-2019 - ITALIA CIVILE
"FERRUCCIO PARRI, INDIPENDENTE"
Era da tempo che alla televisione pubblica non si sentiva parlare di Ferruccio Parri. È avvenuto recentemente; grazie a Paolo Mieli e alla sua rubrica “Passato e presente”. Dobbiamo essergliene grati. Per molti Ferruccio Parri sarà stata una scoperta; per altri – quelli che sapevano già chi fosse – un piacevole e significativo reincontro, ma anche una delusione poiché, alla fine, in nulla di sbagliato – intendiamoci – i sensi veri della sua testimonianza morale, patriottica, civile e politica non sono venuti fuori. La sensazione che abbiamo avuto, senza nulla togliere all'autorevolezza culturale di Paolo Mieli e di Giovanni Sabbatucci che dialogavano la trasmissione, è che nemmeno loro ne sapessero molto. Oggi, di Parri, si è persa quasi del tutto la memoria. Eppure egli è stato uno degli italiani più grandi del Novecento. L'Italia, o meglio l'Italia di senso comune, non l'ha amato. Lo ha, anzi, deriso; è arrivata a ribattezzarlo, per farlo sembrare quello che non era, ossia debole e insignificante, addirittura Fessuccio Parmi come lo ribattezzò un giornalista abbastanza di nome. Sono questioni da pollaio di un Paese da pollaio; di un Paese che, se invece di averne uno solo di uomini come Ferruccio Parri, ne avesse avuti tanti, sarebbe stato sicuramente migliore. Il fatto è che il nostro Paese non ama gli italiani che hanno tempra morale vera; che credono nella storia come impegno responsabile per affermare valori concreti; che sono disposti a pagare per quello in cui credono senza rimettere il conto del proprio operare; che hanno, in altri termini, il senso vissuto del dovere. Ferruccio Parri è uno di questi italiani. Era un piemontese dalla tempra robusta; un uomo, come disse un altro grande italiano suo compagno di lotta, Riccardo Bauer, «che dava senso alle cose». Sulla sua figura e su quanto ha segnato nella storia nazionale – è lui che marca la congiunzione tra l'Italia del Risorgimento e quella della Resistenza - ci sarebbe tanto da dire oltre la storiografia che gli è stata dedicata. In una stagione, quale quella che stiamo vivendo, in cui il ricorso al “popolo” è continuo e improprio, va ricordato che Parri di esso ebbe un senso positivamente concepito. Il popolo, per lui, era la base concreta e spirituale della nazione italiana; il soggetto fondante e responsabile della moralità generale che dava significato allo Stato e alla politica, alla democrazia e ai suoi valori. Ci azzardiamo a dire che Parri è stato, se diamo uno sguardo generale alla nostra storia fuori da ogni retorica o strumentalismo, sicuramente l'unico vero interprete dello spirito mazziniano; dell'intendere il popolo in termini mazziniani. Ossia, come soggetto collettivo e non sommatoria delle naturali differenze esistenti; il depositario di un sentire unico, ”nazionale”, italiano, patriottico. Per tali motivi fu sempre allergico alle logiche dei partiti, ai riti della politica in quanto, al di là delle naturali divisioni, esisteva per lui un insieme unitario che aveva bisogno di essere e rimanere tale per dare senso alla “patria”. Con ciò, non fu al di fuori della mischia. Antifascista da subito, giellista prima, azionista poi, leader con Tristano Codignola del Movimento di Unità Popolare, non volle mai tessere di partito e perseguì politiche in quanto ideali. Sempre indipendente e sempre nel campo di difesa della democrazia; sempre alieno a ogni opportunismo personale e anche alla visione della società concepita per comparti partitizzati. Compresa l'Italia partigiana e, infatti, nel 1949 ruppe con l'Anpi e dette vita alla Federazione Italiana Associazioni Partigiane. Fu un militante della democrazia sia in Gl, sia nel PdA, sia nel PRI, che abbandonò quando i repubblicani scelsero di schierarsi a favore della legge truffa. Indipendente da senatore eletto nelle file del PSI e, poi, da senatore a vita, quale riferimento della Sinistra Indipendente promossa dal PCI. Un'operazione equivoca per molti aspetti. Infatti, mentre per il PCI essa voleva significare l'apertura del partito verso ceti intellettuali degni di attenzione perché delusi o dalla politica socialista o perché, in quanto cattolici, funzionali a una linea strategica di dialogo e di incontro che i comunisti perseguivano in fedeltà al togliattismo, per Parri essa significò la chiamata alla responsabilità diretta nelle istituzioni di personalità, appunto, ”indipendenti”; un lievito di rinnovamento e di libera militanza democratica. È un'esperienza, quella della Sinistra Indipendente, che si può valutare anche con forti accenti critici da varie angolazioni, ma in essa si ritrova, a benvedere, il Parri delle origini, dell'intellettuale formatosi sulle pagine della “Voce” di Prezzolini; la rivista che chiamava gli intellettuali alla militanza delle responsabilità civili. Il senso di cosa sia il popolo nella lotta di un Paese per la propria indipendenza e libertà lo ritroviamo nella recensione che fa al libro su Carlo Pisacane di Nello Rosselli del 1932. Parri credeva che la libertà, per essere realizzata e difesa, richiedesse un popolo in armi. Così la pensava anche Carlo Cattaneo. Finché gli fu possibile, durante i venti mesi della Resistenza di cui è da tutti riconosciuto essere il vero capo e simbolo, si oppose alla partitizzazione delle formazioni. Insomma, rimase sempre fedele ai propri ideali e all'ideale mazziniano dell'Italia che lo animava. Nella fedeltà agli ideali che lo animavano risolveva, pure, le proprie scelte politiche: sempre nel segno della libertà. Su Parri, naturalmente, ci sarebbe tanto, ma tanto altro da dire. Ci dispiace che la sua figura sia così poco ricordata. Quando lo si fa, tuttavia, pensiamo lo si potrebbe fare meglio. Con ciò, siamo grati a chi, pur nello spazio di un servizio giornalistico, lo ha voluto riproporre agli italiani.
di Paolo Bagnoli
da NONMOLLARE quindicinale post azionista | 054 | 16 dicembre 2019, pp 8-9
Fonte: di Paolo Bagnoli - da NONMOLLARE | 054 | 16-12-2019