"TANTO TUONO’…………"
22-06-2022 - IL CORSIVO
Eh sì, i tuoni si erano sentiti e con essi i voti, i tanti voti incredibilmente raccolti nel 2018, avevano cominciato a evaporare con costanza e regolarità. E poi è piovuto e il Movimento 5Stelle si è scisso. Luigi Di Maio se n'è ghiuto portandosi via ben 62 parlamentari tra Camera e Senato. Facendosi scudo del forte ruolo ministeriale, della guerra e mostrandosi come un individuo emancipato dal populismo e “istituzionalizzato” quando ha capito che stava per entrare nel tritello che lo avrebbe macerato, ha preso baracca e burattini e se ne è andato sancendo la fine del Movimento che è stato il fenomeno più baraccone dell'Italia post prima Repubblica. Beh, il discorso di addio non è stato alto né tantomeno è stata la recita di un sincero e critico “mea culpa”. Tutt'uno con il governo e ben posizionato all'ombra di Mario Draghi, con un ceffone solo ha colpito il garante, il presidente del Movimento e quello della Camera che, unica carica istituzionale, si è dimostrato ancora una volta non all'altezza dell'incarico: un presidente per caso.
Appare evidente che Di Maio non ha una linea politica autonoma – il governo è altro – da proporre al Paese e sempre meno ce l'hanno i suoi avversari; populismo era e populismo rimane. Tutti pieni di parole di litigi, ma tutti per varie e talora comuni ragioni, necessitati a stare nel governo. Nessuno – Lega compresa – può permettersi di metterlo in crisi e così, paradossalmente Mario Draghi esce da questo turbinio forse meno sereno, ma certo più forte di prima come si è dimostrato nel recente passaggio parlamentare sulle armi all'Ucraina.
Cosa farà il Pd del “campo largo” non lo sanno nemmeno loro figuriamoci se possiamo saperlo noi. L'unica cosa che ci sembra si possa dire è che la rottura dei 5Stelle non segna la fine del populismo, ma forse la sua moltiplicazione. Tutti i presupposti su cui si era fondato il Movimento rimangono in piedi; anzi talora sembra ci sia una specie di rilancio. I fatti, tuttavia, hanno smentito il dato primo: la storia d'Italia non cominciava con Grillo e Casaleggio. Le preoccupazioni per la democrazia rimangono tutte in piedi. Quello che si può, però, chiaramente dire che, chi di Vaffa ferisce, di Vaffa perisce.
Appare evidente che Di Maio non ha una linea politica autonoma – il governo è altro – da proporre al Paese e sempre meno ce l'hanno i suoi avversari; populismo era e populismo rimane. Tutti pieni di parole di litigi, ma tutti per varie e talora comuni ragioni, necessitati a stare nel governo. Nessuno – Lega compresa – può permettersi di metterlo in crisi e così, paradossalmente Mario Draghi esce da questo turbinio forse meno sereno, ma certo più forte di prima come si è dimostrato nel recente passaggio parlamentare sulle armi all'Ucraina.
Cosa farà il Pd del “campo largo” non lo sanno nemmeno loro figuriamoci se possiamo saperlo noi. L'unica cosa che ci sembra si possa dire è che la rottura dei 5Stelle non segna la fine del populismo, ma forse la sua moltiplicazione. Tutti i presupposti su cui si era fondato il Movimento rimangono in piedi; anzi talora sembra ci sia una specie di rilancio. I fatti, tuttavia, hanno smentito il dato primo: la storia d'Italia non cominciava con Grillo e Casaleggio. Le preoccupazioni per la democrazia rimangono tutte in piedi. Quello che si può, però, chiaramente dire che, chi di Vaffa ferisce, di Vaffa perisce.
p.b