19 Aprile 2024

"STORIA DELL’UGUAGLIANZA È STORIA DEL SOCIALISMO"

L'articolo di seguito non fa riferimento esplicito all'articolo di Marco Cianca, ma vi si ricollega culturalmente e politicamente dando forza alla "necessità del socialismo." (P.B.)


Thomas Piketty, Una breve storia dell'uguaglianza, La nave di Teseo, 2021

La Ripartizione sociale delle risorse dipende da scelte politiche fatte dagli uomini e, quindi, sono reversibili. Storia dell'uguaglianza coincide con la storia del socialismo.

“In concreto – scrive Piketty a p. 29 – vedremo come la marcia verso l'uguaglianza abbia beneficiato, dalla fine del XVIII secolo, dello sviluppo di un certo numero di dispositivi istituzionali specifici , da studiare in quanto tali: l'uguaglianza giuridica; il suffragio universale e la democrazia parlamentare; l'istruzione gratuita e obbligatoria; l'assicurazione sanitaria universale; l'imposta progressiva sul reddito, sull'eredità e sulla proprietà; la cogestione e il diritto sindacale; la libertà di stampa; il diritto internazionale; e via di seguito”.

Dopo aver letto e recensito il libro di Pier Luigi Ciocca sulla storia millenaria della diseguaglianza, questo di Piketty potrebbe sembrare il contrappasso ma non è così perché i rapporti di forza che determinano la ripartizione delle risorse, non devono essere né trascurati né sacralizzati come è avvenuto per millenni e la marcia verso l'uguaglianza è una battaglia che può essere vinta. Naturalmente non sarà facile in questa fase storica in cui l‘umanità non vive in armonia neanche con la natura. Crisi ambientale e crisi sociale sono interdipendenti come sono interdipendenti tutti i paesi e le economie del mondo per via della globalizzazione (non governata).

Sull'ambiente e su altri temi, non di rado, i governi annunciano grossi piani di investimenti che, ad un esame più attento, si rivelano interessare non un solo anno ma più decenni spesso riducendo l'incidenza degli investimenti a piccole percentuali del loro reddito nazionale e/o del PIL (52). Anche se certe valutazioni statistiche di stretta contabilità nazionale sono imperfette e non hanno la pretesa di stabilire la verità. Al riguardo Piketty preferisce l'indice di sviluppo umano messo a punto da una Commissione ONU e il GPI (Genuine Progress Indicator) sviluppato dall'ecologo ed economista Tim Jackson.

Dopo aver definito le Compagnie (britannica e olandese) delle Indie orientali vere e proprie imprese di brigantaggio militarizzato e transnazionale e dopo aver richiamato la Prima (1839) e Seconda ( 1856-1860) Guerra dell'Oppio costringendo la Cina ad un alto indebitamento e, quindi, ad uno scenario coloniale classico di coercizione attraverso il debito pubblico, non manca di notare che la Cina sta facendo con i Paesi africani quello che essa stessa ha subito nel corso del XIX secolo: “sta imitando la politica colonialista dei Paesi europei” (105). Secondo valutazioni attendibili la Cina detiene il 50% del debito pubblico dei Paesi africani e questo significa che detti Paesi hanno perso parte significativa della loro sovranità fiscale.

Dopo aver fatto una rassegna della letteratura internazionale sulla nascita degli Stati nazionali, del capitalismo moderno nonché della dottrina religiosa, politica e proprietarista della Chiesa Cattolica, mirata a perpetuare la propria organizzazione, Piketty individua le cause fondamentali della diseguaglianza nella divisione internazionale del lavoro e nello sfruttamento incontrollato delle risorse naturali ed umane del pianeta (112).

Dedica quindi tutto il capitolo IV alla giustizia riparativa osservando che nel caso dell'abolizione della schiavitù, gli Stati che la promossero, adottarono le riparazioni ma queste furono pagate non direttamente agli ex-schiavi ma ai loro proprietari. Rimane quindi aperto un problema storico di riparazioni per la tratta degli schiavi e, più in generale, per i danni prodotti dal colonialismo. C'è anche un problema contemporaneo di riparazione dei danni prodotti dalle imprese multinazionali, dalla finanza rapace, dalle imprese high tech e per quanto i paesi ricchi riescono ad estrarre dai paesi poveri limitandone lo sviluppo e la crescita in assenza di controlli efficienti ed efficaci. C'è analogo problema a livello interno dei singoli paesi in cui le classi sociali forti riescono ad avvantaggiarsi non solo in maniera diseguale dei benefici della spesa pubblica ma anche in termini di iniquità nella distribuzione degli oneri tributari.

Ecco perché Piketty citando dati pertinenti scrive della favola della diffusione dell'eguaglianza giuridica. In realtà quella proclamata nel XVIII secolo è uguaglianza proprietarista e capitalista degli uomini bianchi e, in special modo, a favore della nobiltà e del clero. In termini quantitativi la diseguaglianza si riduce di poco tra il 1.780 e il 1800; aumenta tra il 1800 e il 1910; per il 50% più della popolazione il progresso è stato quasi nullo (163). Più in generale in Europa e nella Svezia prevale il voto censitario. Bisognerà arrivare agli anni '20 del ventesimo secolo per vedere la rivoluzione legislativa dei socialdemocratici che utilizzano catasti e registri immobiliari per prelevare imposte progressive. Seguono il crollo di Wall Street (ottobre 1929), la Grande depressione e la rivoluzione keynesiana.

Proiettandosi su tutto il XX secolo e considerando l'affermazione in Europa del welfare state, tutto ciò non impedisce l'affermazione della democrazia del denaro, la metamorfosi dei privilegi. È il potere economico e finanziario che domina e guida quello politico. Costituzioni e tribunali dei paesi liberal democratici tutelano con fermezza l'ordine costituito e impediscono una revisione ambiziosa del sistema della proprietà privata. Ma in un mondo di forti diseguaglianze - afferma Piketty: 184 – il diritto deve essere uno strumento di emancipazione e non di conservazione delle posizioni di potere. Stato sociale e imposte progressive sono strumenti fondamentali per la trasformazione del capitalismo.

Cap. 6. La “grande redistribuzione, 1914-1980 interessa i paesi occidentali Inghilterra, Francia, Germania, USA, Svezia ecc., dall'altro lato del mondo, Giappone, Russia, Cina ed India (197-240). In questo capitolo Piketty si occupa dei paesi occidentali. Individua i motori di questo processo nell'espansione dello stato sociale dovuta alla forte spinta impressa dalla mobilitazione promossa dal movimento socialista e sindacale anche per combattere la grande depressione intervenuta tra le due guerre mondiali. Il secondo motore è la crescita delle imposte progressive sul reddito e sulle eredità necessarie per finanziare lo stato sociale in un processo che cambia notevolmente il rapporto tra lavoro e capitale con conseguente desacralizzazione delle proprietà privata verso un nuovo contratto sociale.

Ovviamente non solo le imposte progressive ma anche la spesa sociale che esse finanziano contribuiscono a ridurre le diseguaglianze sociali, alias, la concentrazione dei redditi e dei patrimoni. Oggi succede il contrario per via dei 40 anni (vergognosi) di neoliberismo che riduce il ruolo dello stato e si affida prevalentemente alle presunte virtù taumaturgiche del mercato (219).

Piketty sottolinea come le imposte sulle eredità – vedi oggi la proposta di una eredità universale – possono influire sensibilmente sull'attuazione del principio delle pari opportunità come anche forme di cogestione delle imprese che possono incidere sensibilmente sulla distribuzione primaria del reddito (223). Infatti lasciata al mercato questa funzione, in presenza di alta disoccupazione e di sindacati deboli, la distribuzione primaria tende a produrre basse retribuzioni e, nel suo insieme, la riduzione della quota di reddito nazionale che va al lavoro.

Il 3° fattore di grande redistribuzione è stata la liquidazione delle attività (asset) coloniali e la liquidazione del debito pubblico di alcuni paesi usciti sconfitti dalla II guerra Mondiale (226). Il riferimento va alla doppia cancellazione del debito pubblico tedesco interno nel 1952 e di quello estero dopo la Conferenza di Londra del 1953 e, analogamente, di quello giapponese. Queste operazioni liberano questi paesi dai debiti del passato e consentono loro un forte rilancio delle loro economie (238).

Cap. 7 Democrazia, socialismo e imposta progressiva.

Afferma Piketty che “senza un cambiamento autentico delle imposte progressive non si può configurare nessuna nuova tappa nella costruzione dello Stato sociale su base universale e nel processo storico di smantellamento dell'economia di mercato” (252). Opportunamente Egli distingue tra distribuzione primaria e redistribuzione o distribuzione secondaria messa in atto dall'operatore pubblico quando gli esiti della prima non sono socialmente accettabili. Non c'è dubbio che se si vogliono ridurre le diseguaglianze bisogna agire simultaneamente su entrambi i versanti. Sul versante della spesa che non deve favorire solo o per lo più gli abbienti e sul versante delle entrate con alcune imposte che devono essere progressive tenendo ben presente che la progressività correttamente va attuata in entrambi i versanti e che il discorso va esteso oltre il sistema fiscale tecnicamente definito (253). Infatti bisogna affrontare anche il problema della parità di accesso alla formazione e del potere negoziale dei lavoratori e dei loro rappresentanti (254). Non ultimo, propone di accompagnare il reddito di base con un sistema di garanzia del posto di lavoro, riprendendo analoga proposta di A. Atkinson (255). La proposta è fondata sulla constatazione che il 50% più povero della popolazione è proprietario di nulla e da qui la proposta di eredità e/o dotazione minima di capitale: da versare a tutti al compimento del 25° anno di età; una somma pari al 60% del patrimonio medio per adulto in Francia pari a 120.000 € (256). Spiega che cosa intende per potere negoziale di quelli che non possiedono nulla e il nuovo modello che propone: imposte progressive sul reddito, sulle successioni e sul patrimonio; la dotazione universale di capitale; garanzie per il posto di lavoro; reddito di base; riforma del sistema pensionistico (259). Il programma sembrerebbe radicale ma alla luce delle cifre puramente illustrative - alias, ordini di grandezza - si resterebbe comunque molto lontani dall'uguaglianza delle pari opportunità (260). Piketty non è un estremista: è un riformista autentico; ripete continuamente che molte delle sue proposte sono state attuate nel passato. In buona sostanza, propone un aggiornamento e un migliore coordinamento delle medesime. Egli è consapevole che la redistribuzione della proprietà non è sufficiente a superare il capitalismo; ci vuole ben altro. Anche io penso che promuovere la proprietà dell'alloggio, della terra e di alcuni titoli finanziari può consolidare l'accettazione del sistema – come è stato fatto in Italia nel II dopoguerra con il grande piano casa prima e la riforma agraria dopo.

PQM la redistribuzione – secondo Piketty – va accompagnata a sistemi di reddito di base, garanzia del posto di lavoro, eredità per tutti con l'obiettivo dello smantellamento graduale dell'economia di mercato, ossia con l'offerta pubblica di beni e servizi fondamentali, come l'istruzione, sanità, la cultura, i trasporti, l'energia, la protezione dell'ambiente. Questi servizi devono essere prodotti da imprese pubbliche e/o allargando il settore non profit – cosa ben diversa delle PPP (public private partnership) volute dell'UE. Queste fin qui hanno avallato l'ingresso del privato nella produzione dei beni pubblici apoditticamente, cioè, senza uno straccio di analisi costi-benefici, alias, senza una verifica ex ante se l'operazione riducesse o aumentasse i costi di produzione di detti beni (263). Per le imprese Egli propone un socialismo partecipativo di cogestione al 50/50 nelle imprese con più di 10 dipendenti. Riprende anche lui il piano dello svedese Meidner (1971) ripreso e riproposto negli USA da Bernie Sanders e da Alexandra Ocasio Cortes: in sintesi si proponeva di contenere la concentrazione della proprietà dei mezzi di produzione e la riduzione delle differenze salariali prevedendo anche fondi di investimento di proprietà dei lavoratori; un socialismo democratico fondato sull'autogestione e sul decentramento (266). Prevede una tutela supplementare del modello nell'obbligo di utilizzare il gettito dell'imposte progressive sulle proprietà e sulle successioni in un fondo per finanziare le eredità di tutti, alias, fondo per il “socialismo salariale” (268). Ma per potere attuare un tale modello occorre intervenire nel contesto più ampio, ossia, bisogna superare la libera circolazione dei capitali senza regole e il nuovo potere censitario (272). A questo riguardo, cita e critica il cedimento francese alle pressioni della CDU tedesca a favore della libera circolazione dei capitali 1984-85; in vista del mercato unico il patto franco-tedesco si è tradotto nella direttiva del 1988; poi trascritta nel Trattato di Maastricht; a sua volta ripresa da OCSE e FMI che la fanno diventare standard mondiale, vedi bibliografia citata alle pp. 273-274-275.

Cap. 8 L'uguaglianza reale contro le discriminazioni.

Qui Piketty esamina il grave problema della giustizia nel settore dell'istruzione strumento fondamentale per promuovere l'uguaglianza; giustizia sempre proclamata dai politici ma mai attuata; resta la necessità di tener conto non solo del merito ma anche di altri criteri sociali; occorre intervenire sulle scuole inferiori e secondarie; al riguardo Piketty cita dati riguardanti la Francia (280). Per l'Italia vedi l'ultimo libro di Paola Mastrocola e Luca Ricolfi, Il danno scolastico. La scuola progressista come macchina della disuguaglianza, La nave di Teseo, 2021. Più recentemente sulla questione è intervenuta Kate Pichett su Socialeurope che conferma dati analoghi che riguardano il Regno Unito. Tutti quelli che si occupano del problema concordano che intervenire all'Università è troppo tardi.

Cap. 9 Uscire dal neocolonialismo.

C'è una crescita diseguale nella distribuzione della ricchezza tra i paesi ricchi e quelli poveri nel corso degli ultimi tre secoli con due periodi nettamente distinti: 1820-1950 con forte crescita dele diseguaglianze dovuta all'acquisito controllo dell'economia mondiale da parte delle potenze coloniali dell'Occidente (1910-1950); un secondo periodo di stabilizzazione che coincide con i Trente Glorieuses (1950-1980) nel quale i paesi del Nord sviluppano lo Stato sociale mentre nei Paesi del Sud è in corso un'accelerata fase di “decolonizzazione”, più esattamente di attuazione di processi indipendentisti. Poi la seconda fase è seguita da un terzo periodo che alcuni di noi definiscono i 40 vergognosi (1980-2020) non ancora superato. Alcuni dati molto sintetici elaborati da Piketty ci dicono che “nel 1820 il 10% della popolazione mondiale dei paesi più ricchi del mondo aveva un reddito medio poco più di tre volte superiore a quello del 50% che abitava nei paesi più poveri. Non si trattava dell'uguaglianza completa, ma rispecchiava un mondo in cui le disparità tra i diversi paesi si erano relativamente ridotte (e dove il reddito medio dell'insieme della popolazione mondiale era molto basso). Nel 1960 la scala dei redditi mondiali si allunga a 1 a 16. Malgrado un netto calo dopo il 1980, nel 2020 la scala continua a oscillare tra 1 a più 8”.

Il neocolonialismo si fonda sul liberismo commerciale (alias libertà di commercio) e i paradisi fiscali. Le attività detenute in queste località offshore si stimano nell'ordine tra il 10-12% dei portafogli europei e dell'America Latina; tra il 30-50% nei portafogli dei residenti africani, dell'Asia del Sud, dei Paesi petroliferi (Russia e petromonarchie); e per i portafogli dei più ricchi la quota detenuta nei paradisi fiscali potrebbe essere ancora più elevata (333 vedi articoli citati nella nota n. 11). Ne consegue che in molti paesi in via di sviluppo con entrate fiscali tra il 6-8% del PIL si è no ci si finanzia l'ordine pubblico e qualche infrastruttura; se vuoi fare qualcosa di significativo in materia di istruzione e sanità, devi prevedere di andare oltre su livelli molto più elevati.

A questo riguardo, Piketty presenta un confronto interessante tra quanto avviene a livello globale con gli aiuti pubblici allo sviluppo (APS) tra i paesi più ricchi e quelli poveri; le uscite di capitali in termini di profitti delle multinazionali e fughe di capitali risultano tre volte più elevate degli APS in entrata. Analogo fenomeno avviene nella Unione Europea; è stato calcolato che tra il 2010-2018, per Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e la Slovacchia, i trasferimenti pubblici netti sono stati tra il 2-4% del PIL mentre i flussi privati in uscita (profitti, dividendi e altri redditi di capitale) sono stati il doppio tra il 4-8% del PIL (335). Questi dati confermano che il livello dei salari e dei profitti dipende da una quantità di meccanismi e istituzioni giuridiche che non hanno niente di naturale. Sono costruzioni umane e/o di governi che riflettono i rapporti di forza tra le classi sociali all'interno dei vari paesi e del mondo (337). Sul punto vedi Katharina Pistor, Il codice del capitale. Come il diritto crea ricchezza e diseguaglianza, LUISS, 2021.

Piketty propone che una quota del gettito di una imposta sui profitti delle multinazionali e dei più grandi miliardari dovrebbe essere destinata ai paesi poveri; stima che il 2% sui patrimoni > di 10 milioni di € frutterebbe circa mille miliardi l'anno pari all'1% del PIL mondiale e altre varianti (339). Critica anche il progetto BEPS dell'OCSE/G20 (base erosion and profit shifting) . Come noto, detto progetto è stato elaborato per contenere l'erosione delle basi imponibili e il trasferimento dei residui profitti in paesi a bassa fiscalità – anche dentro l'UE – con mere interposizioni fittizie. In questo modo il meccanismo di suddivisione del gettito proposto finirebbe con l'assegnare il 95% del gettito ai paesi ricchi (340). E questo avviene perché l'ideologia o la teoria sottostante gli APS assume in premessa che l'equilibrio di mercato sia fondamentalmente giusto…. Mentre la storia economica dimostra che l'arricchimento dei paesi occidentali dopo la rivoluzione industriale dipende: 1) dalla divisione internazionale del lavoro; 2) e dallo sfruttamento senza freni delle risorse umane e naturali attraverso il neocolonialismo (341).

Per questi motivi Piketty ritorna a sottolineare l'importanza di intervenire sul contesto generale sbagliato costituito da: 1) piena libertà di circolazione dei capitali e paradisi fiscali in ogni dove che alimenta la concorrenza fiscale a livello mondiale fuori e dentro l'UE; 2) scelte fiscali “assolutamente nazionali”; assunto del tutto infondato spacciato come massima espressione del sovranismo. Si tratta di due postulati illogici su cui poggia il neocolonialismo che si coniuga facilmente con il libero scambio che favorisce il lato più forte del mercato (344).

A partire dagli 80 è iniziata la commercializzazione della sovranità dello Stato e la rifioritura dei paradisi fiscali. Assistiamo al trionfo della concorrenza fiscale che viene utilizzata strumentalmente per “affamare la bestia”, ossia, per far venire meno le entrate nella speranza che i governi taglino la spesa pubblica. In fatto molti di questi tentativi sono falliti in diversi paesi e il risultato è stato un aumento del debito pubblico i cui interessi sono tassati con aliquote di favore quando non esentati del tutto. Il debito pubblico viene per lo più sottoscritto dai ricchi e questo meccanismo perverso va ad alimentare le rendite finanziarie e la crescita delle disuguaglianze. In realtà assistiamo al trionfo dell'ingiustizia fiscale descritta da Saez e Zucman negli USA. Ipocritamente alla concorrenza fiscale non si oppone alcun serio tentativo di tornare all'armonizzazione fiscale e/o coordinamento né a livello internazionale né all'interno dell'UE. All'OCSE si studiano e si producono buoni documenti anche in materia di erosione e armonizzazione delle basi imponibili delle imposte sulle società, trasferimento dei profitti in paesi a bassa fiscalità, ecc. ma non si parla di armonizzare le aliquote d'imposta. Anche in questo caso è necessario intervenire su entrambe. In fatto le organizzazioni internazionali specializzate delle Nazioni Unite non fanno niente o non abbastanza per combattere i paradisi fiscali. In fatto appoggiano o proteggono le forze non democratiche dietro di essi. Naturalmente a questi problemi non si può trovare una soluzione efficace a livello di singoli paesi per quanto grandi né di aggregazioni più o meno ampie come l'UE.

Da qui la necessità di passare dallo Stato social nazionale a quello social federale – tendenzialmente a base universale; ovviamente non è soluzione attuabile nel breve e medio periodo ma, in concreto, per superare il neocolonialismo, Piketty propone intanto di sostituire gli attuali Trattati sul commercio con più equi Trattati di co-sviluppo. “oggi come ieri, solo con progetti di sviluppo equi ed obiettivi credibili di giustizia sociale a vocazione universale si potranno sconfiggere derive identitarie e totalitarie” (355). Torna sulla sua proposta di iniziare a costruire un catasto pubblico mondiale (Global Financial Register) con il quale individuare e misurare la ricchezza mobiliare ed immobiliare e i suoi proprietari. Solo in questo modo si può rendere effettivo il principio della tassazione del reddito e del patrimonio su base mondiale, ridurre la concorrenza fiscale, controllare i paradisi fiscali e istituire una Tax Autority mondiale secondo la proposta di Vito Tanzi, a lungo capo del dipartimento fiscale del Fondo monetario internazionale. Al riguardo in nota 29 p. 350 segnala il libro di L. Chancel, Measuring Progress Towards Tax Justice, wid.world, 2019.

Cap. 10 Verso un socialismo democratico, ecologico e meticcio

Nell'introduzione Piketty afferma che a fronte delle “sfide poste dalla potente ascesa del ‘socialismo cinese' un modello statalista centralizzato e autoritario completamente opposto al socialismo democratico e decentralizzato” da lui difeso…. La vera alternativa è il socialismo democratico, partecipativo e federale, ecologico e meticcio, il quale, in fondo, non è che un logico prolungamento di un movimento a lungo termine verso l'uguaglianza iniziato alla fine del XVIII secolo”. Occupandosi del socialismo cinese afferma che, con un settore pubblico pari al 30% del totale (70% nel 1978 all'inizio delle riforme di Deng), la Cina è già un'economia mista come quelle occidentali; ma, se si tiene conto dei dati differenziali di crescita e se preservati, la Cina è destinata a diventare nel XXI secolo la massima potenza economica del mondo. Da molti è già individuata come la “fabbrica del mondo”.

Devo osservare che il successo della Cina è dovuto anche alla grande capacità dei leader cinesi di gestire bene la transizione da una economia “socialista” in via di sviluppo ad una avanzata che compete con quella americana anche sul terreno delle tecnologie più avanzate. Mentre i leader russi da Yeltzin a Putin non hanno saputo fare niente di simile privatizzando a tutto spiano e in gran parte sperperando uno dei più grandi patrimoni pubblici della storia.

Il neoliberismo si basa sul mercato, sulla destrutturazione della cooperazione economica internazionale e il nazionalismo e quest'ultimo vi risponde con la reificazione della nazione e della solidarietà etnico-nazionalista (373). Per contro il socialismo promuove l'emancipazione universalistica tramite l'istruzione, il sapere e la condivisione del potere. “Per varie ragioni – sostiene Piketty 374 – è più che possibile che gli scontri ideologici del futuro finiscano per somigliare più ad una battaglia tra socialismi che alla guerra tra capitalismi spesso evocata. Più in generale, va posto l'accento soprattutto alla grandissima diversità dei modelli economici osservati nel tempo e nello spazio, in particolare dei sistemi che si richiamano al capitalismo oppure al socialismo….. il socialismo di cui Egli parla si pone in linea di continuità con le eccezionali trasformazioni già compiute in passato che lo hanno differenziato sostanzialmente dal capitalismo autoritario e coloniale del 1910”. Servono una riflessione sui sistemi economici in una prospettiva di lungo termine e il dialogo tra i diversi modelli. “se i paesi occidentali o una parte di essi, rinunciassero alle posture capitalistiche e nazionalistiche abituali – auspica Piketty 375 - e adottassero un modello fondato sul socialismo democratico e sull'uscita dal neocolonialismo …… sarebbe allora possibile non solo guadagnare credibilità nei confronti del Sud del mondo, ma anche indurre il socialismo autoritario cinese a una revisione interna in termini di trasparenza e di democrazia. Su questioni cruciali come l'ecologia, il patriarcato o la xenofobia, la verità è che nessuno dei sistemi attuali ha, al momento, lezioni abbastanza convincenti da dare agli altri. Solo il dialogo tra sistemi e una sana emulazione possono aiutare a sperare in un qualche progresso”.

Non ultimo, voglio citare Axel Honneth e il suo libro del 2016 sul socialismo un sogno necessario. Succeduto ad Habermas alla direzione della Scuola di ricerche sociali di Francoforte il nostro ha scritto un libro molto bello (anche se complesso) che ricostruisce la storia tormentata del movimento socialista fin dalle sue origini nei suoi pregi e nelle sue lacune; arriva a parlare di fallimento storico del trittico della Rivoluzione francese. In una fase storica dominata dai mercati e dal credo neo liberale che mettono a rischio la democrazia. Messo da parte il determinismo storico ed economico, Honneth indica la strada per una riconciliazione dei principi fondamentali della Rivoluzione francese: libertà, fraternità, uguaglianza. Passando dalla libertà individuale a quella sociale è possibile conciliazione tra libertà e fraternità e/o solidarietà. Non più l'uno contro l'altro ma l'uno con e per l'altro. Pur partendo da premesse diverse vedo un forte parallelismo tra il lavoro di Honneth e quello di Piketty che da economista e statistico di vaglia propone soluzioni operative che sono state sperimentate e che potrebbero meglio funzionare da qui al 2050. Non è utopia né distopia. A me sembra un percorso realistico verso la libertà di parola, di religione, dal bisogno e dalla paura, alias, la libertà sociale e giustizia sociale. Un sogno che potrebbe diventare realtà.



  1. Ciocca P. L., Ricchi e poveri. Storia della diseguaglianza, Einaudi stile libero, 2021;
  2. Axel Honneth, L'idea di socialismo. Un sogno necessario, Campi del sapere, Feltrinelli, 2016;
  3. Kate Pichett, in https://socialeurope.eu/equality-favours-democracy;
  4. Emmanuel Saez e Gabriel Zucman, The Triumph of injustice. How the rich dodge taxes and how to make them pay, W. W. Norton & Company, 2019.


Fonte: di Vincenzo Russo
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