SCENA MUTA E MATURITÀ: UNA TRAGEDIA O UNA SPERANZA? di Luciana Bellatalla
di Luciana Bellatalla
20-07-2025 - AGORA'
Quest'anno le cronache del rito dell'esame di maturità invece che appuntarsi, come si consueto, sul bestiario delle risposte degli studenti e talora, ahimè, anche dei docenti, hanno puntato il loro focus sul gruppetto di studenti e studentesse – ne ho contati 4 o 5 ma il numero pare possa aumentare – che hanno inscenato una clamorosa protesta contro la Scuola. E non a caso scrivo la parola con l'iniziale maiuscola, per significare che la protesta riguarda l'istituzione scolastica nel suo complesso e non solo il momento dell'esame di diploma.
La faccenda è nota: alcuni studenti, che hanno superato brillantemente le prove scritte e potevano contare su un numero cospicuo di crediti grazie alla loro carriera scolastica tanto da raggiungere già la promozione prima della prova orale, hanno deciso di rinunciare appunto a questa prova per mettere in luce la degenerazione dell'attuale sistema scolastico del nostro Paese.
Ricordiamo che il sistema dei crediti fu introdotto per evitare, come spesso era accaduto nel passato, che studenti e studentesse brillanti durante il percorso scolastico venissero penalizzati per una prova occasionale – come quella d'esame – non positiva, vuoi per stress vuoi perché (come spesso capita agli atleti) una giornata storta viene a tutti, mentre, per un caso fortuito, uno scaldabanco veniva premiato.
Ma come sempre di buone intenzioni è lastricato l'inferno. Questa misura, dettata da ragioni ideali di equità, ha conflagrato con altre misure che i vari ministri succedutisi alla Minerva hanno adottato in ossequio, per un verso al progetto di aziendalizzazione della scuola, e, per l'altro, ad un didatticismo spurio, fatto di prove e valutazioni oggettive, di insistenza sulla performance e sull'idea di un insegnante sempre più simile ad un erogatore di dati che ad un “tafano” delle menti e delle coscienze.
La scuola di oggi somiglia sempre di più alla scuola del passato: lo studente è uno che “a domanda risponde”; l'insegnante un valutatore di prove in cui viene premiata solo la risposta giusta; il registro elettronico fa in autonomia le medie finali. Lo studente viene etichettato dal voto e il voto ne delinea carattere e soprattutto valore. Poco conta che la maggior parte dei nostri studenti escano da scuola con un diploma in tasca, ma vittime di “dispersione implicita”, ben peggiore dell'abbandono prima del tempo del corso di studi. Questa dispersione, infatti, si riferisce a quegli studenti, che alla fine del loro percorso, non hanno maturato né le conoscenze pari al titolo di studio conseguito né le competenze necessarie per entrare nel mondo del lavoro e/o dell'Università. E ciò spesso a dispetto della votazione finale.
Ebbene, lo sparuto gruppo di studenti che ha rifiutato di sottoporsi alla prova orale, ha denunciato il paradosso di una scuola che dovrebbe istruire ed educare, mentre si preoccupa solo di calcolare voti e valutare, senza di fatto mai valutare se stessa o riflettere sui suoi veri compiti.
Si può discutere sulla forma della protesta, sottolineare che questa protesta è stata individuale, non coordinata e non concordata, notare che questi ragazzi hanno prima di tutto leso se stessi. Ma certo non si può non apprezzare che con il loro comportamento abbiano scoperchiato il marcio che c'è in una scuola tarata solo sulla corrispondenza delle pratiche didattiche alle norme ed alle richieste della burocrazia. Una scuola in cui, per essere promossi, si può anche non studiare o non sottoporsi alle prove pur di aver completato la raccolta punti, come al supermercato, è davvero una scuola?
Per rispondere a questi ragazzi non ci sono scorciatoie di sorta né serve, come fa Valditara, mostrare i muscoli promettendo bocciature future, tanto ventilate quanto impossibili: ragazzi che hanno scelto di diplomarsi con un voto mediocre per denunciare il degrado della nostra scuola, mentre potevano aspirare al massimo dei voti, non si lasciano certo intimidire dalla voce grossa di un ministro.
Ora il problema è che queste forze giovani e sanamente critiche riescano ad incontrarsi e a coordinarsi. Io lo spero perché, mentre Valditara ed i suoi guardano sempre indietro senza alcuna immaginazione, questi giovani guardano avanti, hanno sogni, forze e speranze. Ed è così che il futuro può diventare presente.
La faccenda è nota: alcuni studenti, che hanno superato brillantemente le prove scritte e potevano contare su un numero cospicuo di crediti grazie alla loro carriera scolastica tanto da raggiungere già la promozione prima della prova orale, hanno deciso di rinunciare appunto a questa prova per mettere in luce la degenerazione dell'attuale sistema scolastico del nostro Paese.
Ricordiamo che il sistema dei crediti fu introdotto per evitare, come spesso era accaduto nel passato, che studenti e studentesse brillanti durante il percorso scolastico venissero penalizzati per una prova occasionale – come quella d'esame – non positiva, vuoi per stress vuoi perché (come spesso capita agli atleti) una giornata storta viene a tutti, mentre, per un caso fortuito, uno scaldabanco veniva premiato.
Ma come sempre di buone intenzioni è lastricato l'inferno. Questa misura, dettata da ragioni ideali di equità, ha conflagrato con altre misure che i vari ministri succedutisi alla Minerva hanno adottato in ossequio, per un verso al progetto di aziendalizzazione della scuola, e, per l'altro, ad un didatticismo spurio, fatto di prove e valutazioni oggettive, di insistenza sulla performance e sull'idea di un insegnante sempre più simile ad un erogatore di dati che ad un “tafano” delle menti e delle coscienze.
La scuola di oggi somiglia sempre di più alla scuola del passato: lo studente è uno che “a domanda risponde”; l'insegnante un valutatore di prove in cui viene premiata solo la risposta giusta; il registro elettronico fa in autonomia le medie finali. Lo studente viene etichettato dal voto e il voto ne delinea carattere e soprattutto valore. Poco conta che la maggior parte dei nostri studenti escano da scuola con un diploma in tasca, ma vittime di “dispersione implicita”, ben peggiore dell'abbandono prima del tempo del corso di studi. Questa dispersione, infatti, si riferisce a quegli studenti, che alla fine del loro percorso, non hanno maturato né le conoscenze pari al titolo di studio conseguito né le competenze necessarie per entrare nel mondo del lavoro e/o dell'Università. E ciò spesso a dispetto della votazione finale.
Ebbene, lo sparuto gruppo di studenti che ha rifiutato di sottoporsi alla prova orale, ha denunciato il paradosso di una scuola che dovrebbe istruire ed educare, mentre si preoccupa solo di calcolare voti e valutare, senza di fatto mai valutare se stessa o riflettere sui suoi veri compiti.
Si può discutere sulla forma della protesta, sottolineare che questa protesta è stata individuale, non coordinata e non concordata, notare che questi ragazzi hanno prima di tutto leso se stessi. Ma certo non si può non apprezzare che con il loro comportamento abbiano scoperchiato il marcio che c'è in una scuola tarata solo sulla corrispondenza delle pratiche didattiche alle norme ed alle richieste della burocrazia. Una scuola in cui, per essere promossi, si può anche non studiare o non sottoporsi alle prove pur di aver completato la raccolta punti, come al supermercato, è davvero una scuola?
Per rispondere a questi ragazzi non ci sono scorciatoie di sorta né serve, come fa Valditara, mostrare i muscoli promettendo bocciature future, tanto ventilate quanto impossibili: ragazzi che hanno scelto di diplomarsi con un voto mediocre per denunciare il degrado della nostra scuola, mentre potevano aspirare al massimo dei voti, non si lasciano certo intimidire dalla voce grossa di un ministro.
Ora il problema è che queste forze giovani e sanamente critiche riescano ad incontrarsi e a coordinarsi. Io lo spero perché, mentre Valditara ed i suoi guardano sempre indietro senza alcuna immaginazione, questi giovani guardano avanti, hanno sogni, forze e speranze. Ed è così che il futuro può diventare presente.
Fonte: di Luciana Bellatalla