PAKISTAN: IL DETENUTO NUMERO 804
19-02-2024 - IL SOCIALISMO NEL MONDO
Il detenuto numero 804 rinchiuso nel carcere di Rawalpindi non è un delinquente comune. E' Imran Khan, 72 anni, ex presidente del Pakistan, ex idolo del cricket, sposato tre volte, diventato pio musulmano e simpatizzante dei talebani, condannato senza processo a 24 anni di carcere per corruzione, divulgazione di segreti di stato, incitazione alla violenza, “matrimonio illegale e non islamico” e vendita illegali di doni statali. Accuse da lui definite infondate e politicamente pilotate. Era arrivato ai vertici del potere nel 2018 sostenuto dal suo partito Tehreek-e-Insaf (Movimento per la Giustizia) con un programma che prevedeva la fine della politica dinastica e della corruzione, l'installazione dello stato di diritto e l'assistenza sanitaria alle masse povere. Sembrava una chimera donchisciottesca per uno dei paesi più pericolosi, violenti e corrotti della terra, una nazione di 240 milioni di persone in condizione quasi medievale di povertà dotata di armi nucleari.
Ma nei quattro anni durante i quali rimane al potere, Khan riesce ad attuare l'inattuabile: pone un freno alla corruzione, costruisce ospedali per il cancro, introduce una “tessera sanitaria” universale, fornendo per la prima volta assistenza medica gratuita ai pakistani poveri. Al vertice della popolarità, credendosi ormai onnipotente, commette due errori. Inasprisce le relazioni con Washington, recandosi in visita a Mosca due giorni dopo l'invasione russa dell'Ucraina, e rifiutando poi la richiesta degli Stati Uniti di votare contro Mosca una mozione di censura delle Nazioni Unite. E taglia il bilancio della difesa, inimicandosi l'esercito. Forte di 600.000 uomini, la potente leadership dell'esercito pakistano ha svolto un ruolo centrale nel governo del paese sin dalla fondazione dello stato. Senza il suo appoggio, nessun capo di stato riesce a sopravvivere. Lo stesso Khan aveva avuto bisogno della sua protezione e di quella del potente servizio di intelligence per salire al potere nelle elezioni del 2018. Perdendone il sostegno, Khan cade in disgrazia. Il 10 aprile 2022 diventa il primo capo del governo del paese a essere rimosso dall'incarico con un voto di sfiducia. Khan sa che gli ex primi ministri sono stati spesso assassinati - vedi Benazir Bhutto - o rinchiusi in carcere con l'accusa di corruzione. Adesso è venuto il suo turno. Una serie di tribunali farsa lo vede imputato di una serie di reati senza dargli la facoltà di difendersi, negandogli la possibilità di assistere alle varie sentenze. Si spera in questo modo di minarne la credibilità, eliminarlo dalla scena politica, impedirgli di avere un ruolo nelle elezioni generali che vengono indette per l'8 febbraio 2024. La leadership militare che ne ha orchestrato la caduta si mette alla ricerca di un successore. Due famiglie, i Bhutto e gli Sharif, hanno condiviso il potere in Pakistan per decenni. La scelta cade su Nawaz Sharif, 74 anni, tre volte primo ministro e costretto a lasciare l'incarico e all'esilio a Londra dopo essere stato condannato a dieci anni di carcere per corruzione. Vengono fatte cadere le accuse nei suoi confronti e Sharif, forte dell'appoggio dei militari, fa ritorno in patria e da inizio alla campagna elettorale promettendo di “ricucire i legami” con i paesi vicini, in riferimento alle relazioni tese sia con l'India, tradizionale nemico del Pakistan, sia con l'Iran. E' sicuro di vincere, ma non ha fatto i conti con la popolarità di Khan e l'indignazione popolare. Dalla sua defenestrazione le proteste si sono susseguite ininterrotte, a volte sfociando in manifestazioni violente con morti, feriti e centinaia di arresti. L'establishment comincia ad avere paura e prende una serie di misure per impedire ai candidati del partito di Khan Tehreek-e-Insaf di fare campagna elettorale, negando loro l'uso del simbolo del loro partito - una mazza da cricket (importante in un paese in cui molti elettori sono analfabeti) –e obbligandoli a registrarsi come indipendenti. Coloro che sono stati rinchiusi o nascosti e impossibilitati a fare campagna elettorale, fanno allora ricorso alla cosiddetta campagna di guerriglia, pubblicando video su TikTok e Instagram dai nascondigli. E' in questo clima di tensione, che l'8 febbraio si tengono le elezioni generali. Non appena ha inizio il conteggio dei voti, ci si rende conto che Nawaz Sharif non è riuscito a sfondare. Si cerca di tamponare la sconfitta ricorrendo a brogli, soppressione di schede, ritardi nella comunicazione dei risultati. E ricominciano le proteste, i disordini, le accuse di manipolazione, le esplosioni di indignazione popolare.
Quando il 9 febbraio finalmente sono annunciati i risultati definitivi delle elezioni parlamentari, con le quali sono stati eletti i deputati della camera bassa che sceglieranno il nuovo primo ministro, è chiaro che con 101 seggi hanno vinto i candidati indipendenti sostenuti dall'ex primo ministro Imram Khan. Se il detenuto numero 804 esulta, nel quartier generale dell'esercito si stenta a riaversi dallo shock. Ci si aspettava che il loro candidato favorito, Nawaz Sharif, avesse la maggioranza in Parlamento, ottenesse cioè 169 seggi, e salisse al potere. Invece è arrivato secondo con soli 73 seggi. Il risultato deludente non gli impedisce tuttavia di dichiarare vittoria. Ma anziché prendere il potere come previsto, ora si trova nella sconveniente posizione di cercare di corrompere alcuni dei candidati indipendenti affinché si uniscano a lui e di stringere un accordo con il Partito popolare pakistano, guidato dal figlio della sua defunta rivale Benazir Bhutto, arrivato terzo con 54 seggi.
Non è chiaro come verrà risolto il problema. Una maggiore instabilità politica è l'ultima cosa di cui il Pakistan ha bisogno con la sua economia in crisi, l'inflazione al 30%, gli attentati provocati dal regime talebano afgano nelle province di confine. Gli accordi sul debito con il Fondo monetario internazionale scadranno a giorni ed è urgentemente necessario un nuovo accordo. Né è chiaro cosa accadrà a Imran Khan, che ha dimostrato di essere il politico più popolare del paese e insiste affinché il suo partito formi ora il governo.
Ma nei quattro anni durante i quali rimane al potere, Khan riesce ad attuare l'inattuabile: pone un freno alla corruzione, costruisce ospedali per il cancro, introduce una “tessera sanitaria” universale, fornendo per la prima volta assistenza medica gratuita ai pakistani poveri. Al vertice della popolarità, credendosi ormai onnipotente, commette due errori. Inasprisce le relazioni con Washington, recandosi in visita a Mosca due giorni dopo l'invasione russa dell'Ucraina, e rifiutando poi la richiesta degli Stati Uniti di votare contro Mosca una mozione di censura delle Nazioni Unite. E taglia il bilancio della difesa, inimicandosi l'esercito. Forte di 600.000 uomini, la potente leadership dell'esercito pakistano ha svolto un ruolo centrale nel governo del paese sin dalla fondazione dello stato. Senza il suo appoggio, nessun capo di stato riesce a sopravvivere. Lo stesso Khan aveva avuto bisogno della sua protezione e di quella del potente servizio di intelligence per salire al potere nelle elezioni del 2018. Perdendone il sostegno, Khan cade in disgrazia. Il 10 aprile 2022 diventa il primo capo del governo del paese a essere rimosso dall'incarico con un voto di sfiducia. Khan sa che gli ex primi ministri sono stati spesso assassinati - vedi Benazir Bhutto - o rinchiusi in carcere con l'accusa di corruzione. Adesso è venuto il suo turno. Una serie di tribunali farsa lo vede imputato di una serie di reati senza dargli la facoltà di difendersi, negandogli la possibilità di assistere alle varie sentenze. Si spera in questo modo di minarne la credibilità, eliminarlo dalla scena politica, impedirgli di avere un ruolo nelle elezioni generali che vengono indette per l'8 febbraio 2024. La leadership militare che ne ha orchestrato la caduta si mette alla ricerca di un successore. Due famiglie, i Bhutto e gli Sharif, hanno condiviso il potere in Pakistan per decenni. La scelta cade su Nawaz Sharif, 74 anni, tre volte primo ministro e costretto a lasciare l'incarico e all'esilio a Londra dopo essere stato condannato a dieci anni di carcere per corruzione. Vengono fatte cadere le accuse nei suoi confronti e Sharif, forte dell'appoggio dei militari, fa ritorno in patria e da inizio alla campagna elettorale promettendo di “ricucire i legami” con i paesi vicini, in riferimento alle relazioni tese sia con l'India, tradizionale nemico del Pakistan, sia con l'Iran. E' sicuro di vincere, ma non ha fatto i conti con la popolarità di Khan e l'indignazione popolare. Dalla sua defenestrazione le proteste si sono susseguite ininterrotte, a volte sfociando in manifestazioni violente con morti, feriti e centinaia di arresti. L'establishment comincia ad avere paura e prende una serie di misure per impedire ai candidati del partito di Khan Tehreek-e-Insaf di fare campagna elettorale, negando loro l'uso del simbolo del loro partito - una mazza da cricket (importante in un paese in cui molti elettori sono analfabeti) –e obbligandoli a registrarsi come indipendenti. Coloro che sono stati rinchiusi o nascosti e impossibilitati a fare campagna elettorale, fanno allora ricorso alla cosiddetta campagna di guerriglia, pubblicando video su TikTok e Instagram dai nascondigli. E' in questo clima di tensione, che l'8 febbraio si tengono le elezioni generali. Non appena ha inizio il conteggio dei voti, ci si rende conto che Nawaz Sharif non è riuscito a sfondare. Si cerca di tamponare la sconfitta ricorrendo a brogli, soppressione di schede, ritardi nella comunicazione dei risultati. E ricominciano le proteste, i disordini, le accuse di manipolazione, le esplosioni di indignazione popolare.
Quando il 9 febbraio finalmente sono annunciati i risultati definitivi delle elezioni parlamentari, con le quali sono stati eletti i deputati della camera bassa che sceglieranno il nuovo primo ministro, è chiaro che con 101 seggi hanno vinto i candidati indipendenti sostenuti dall'ex primo ministro Imram Khan. Se il detenuto numero 804 esulta, nel quartier generale dell'esercito si stenta a riaversi dallo shock. Ci si aspettava che il loro candidato favorito, Nawaz Sharif, avesse la maggioranza in Parlamento, ottenesse cioè 169 seggi, e salisse al potere. Invece è arrivato secondo con soli 73 seggi. Il risultato deludente non gli impedisce tuttavia di dichiarare vittoria. Ma anziché prendere il potere come previsto, ora si trova nella sconveniente posizione di cercare di corrompere alcuni dei candidati indipendenti affinché si uniscano a lui e di stringere un accordo con il Partito popolare pakistano, guidato dal figlio della sua defunta rivale Benazir Bhutto, arrivato terzo con 54 seggi.
Non è chiaro come verrà risolto il problema. Una maggiore instabilità politica è l'ultima cosa di cui il Pakistan ha bisogno con la sua economia in crisi, l'inflazione al 30%, gli attentati provocati dal regime talebano afgano nelle province di confine. Gli accordi sul debito con il Fondo monetario internazionale scadranno a giorni ed è urgentemente necessario un nuovo accordo. Né è chiaro cosa accadrà a Imran Khan, che ha dimostrato di essere il politico più popolare del paese e insiste affinché il suo partito formi ora il governo.
Fonte: di Giulietta Rovera