MAOMETTO E LA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE
di Giuseppe Butta'

Mi spiace dover contraddire Michele Ainis, costituzionalista e romanziere di valore, ma sento di doverlo fare perché, questa volta, il romanziere-editorialista ha preso il sopravvento sul costituzionalista: egli, il giorno dopo l’approvazione dell’emendamento costituzionale che riforma la struttura della magistratura, ha scritto a caldo che si erano calpestate le regole – almeno questo era il titolo che è stato dato al suo articolo su Repubblica – e per concludere e ravvivare il suo commento, insolitamente grigio e modesto dal punto di vista argomentativo, egli ha dovuto fare ricorso a Maometto secondo il quale le azioni si giudicano dalle intenzioni.

È vero: Timeo Danaos et dona ferentes.

Egli intendeva dire che, sotto sotto, l’emendamento costituzionale sulla separazione delle carriere tra i procuratori della Repubblica e la magistratura giudicante non è altro che un grimaldello per portare i primi sotto il controllo del potere esecutivo e che, pertanto, l’intenzione dei promotori della riforma non può non essere quella di aprire la strada a un’abietta dittatura.

Certo, se fosse così, io per primo mi opporrei a una tale riforma e penso anche che la stessa maggioranza che la sostiene si guarderebbe bene dal farlo per non consegnare una tale pericolosa arma a un futuro governo di segno opposto.

Forse Ainis teme che, da qui a due anni, le prossime elezioni lasceranno in minoranza i partiti dell’attuale opposizione e che, pertanto, il governo attuale si voglia portare avanti, con un colpo di stato strisciante, per stabilirsi al potere definitivamente. D’altra parte che bisogno ha di riforme costituzionali o di referendum confermativi chi volesse fare un colpo di stato?

Che fondamento ha una tale preoccupazione? Nessuno di noi è Nostradamus e può prevedere il futuro né questa riforma in sé potrebbe portare al controllo della magistratura da parte del potere esecutivo. Infatti, lo stesso Ainis ci dice che «in Francia, in Spagna, in Portogallo – dove sussiste la separazione delle carriere – i giudici hanno indagato i capi di governo e messo in galera un ex capo di stato, Sarkozy». Mi permetto di aggiungere che, nella patria del processo accusatorio, Inghilterra e Stati Uniti, è stata proprio la pluricentenaria distinzione tra giudici e procuratori del re a dare salde fondamenta alle libertà e alla democrazia.

Ma, a parte questo, mi permetto di esprimere qualche perplessità sui vari punti che Ainis ha toccato nella sua "filippica" contro i "calpestatori" delle "regole del gioco".

Anzitutto egli ci ha informato, lamentandosi, che «la creatura viene concepita durante una riunione di 40 minuti fra otto persone, dopo di che ottiene il timbro del consiglio dei ministri». Se voleva dire che i riformatori soffrono di eiaculatio precox, penso che egli forse esagera, come fanno spesso i grandi amatori: quel tempo è né troppo corto né inusuale; a chi di noi non basterebbero 40 minuti!

E poi, dovremmo dire che, forse distrattamente, Ainis non tiene conto del fatto che l’amplesso che ha permesso il concepimento della creatura è durato alcuni decenni, almeno da quando è stata concepita, è nata ed è cresciuta, anzi invecchiata, l’altra creatura partorita da Vassalli, il processo accusatorio. Il ritardo ci aveva addirittura fatto temere che i protagonisti dell’amplesso fossero sterili. Ora, finalmente, non so se per inseminazione artificiale o per utero in affitto, il concepimento c’è stato: spero che il parto sia felice e che la creatura possa essere battezzata tra qualche mese avendo come padrino il voto della maggioranza dei votanti (stavo per dire degli italiani ma mi sono trattenuto visto che, da tempo, i seggi elettorali sono poco frequentati).

Il secondo punto toccato da Ainis è certamente più importante: la proposta di riforma è venuta dal consiglio dei ministri e, dunque, egli giustamente ci ricorda il monito di Piero Calamandrei il quale, all’epoca della Costituente, disse che «il governo deve rimanere estraneo al progetto costituzionale se si vuole che quest’ultimo scaturisca dalla libera determinazione dell’assemblea sovrana».

Ma il monito aveva un senso e valeva allora, quando il popolo aveva eletto un’apposita assemblea per discutere e approvare la nuova Carta. Il processo di revisione costituzionale è un’altra cosa e può essere promosso da vari soggetti; Ainis lo sa assai meglio di me. L’art. 138 del Titolo VI della Costituzione non esclude che la proposta di revisione possa essere fatta dal governo per poi essere approvata con la particolare procedura legislativa prescritta. Quindi, non mi pare che si possa menare scandalo come non lo si menò quando venticinque anni fa il Titolo V venne rimaneggiato a fondo (e malamente) su iniziativa del governo dell’epoca né lo si menò dieci anni fa per la riforma che prende addirittura il nome dal Presidente del consiglio dell’epoca e che venne poi sonoramente respinta dal popolo.



Un quarto motivo di timore, se non di dissenso, manifestato da Ainis riguarda il duplice CSM e le modalità della loro formazione; egli, da romanziere, usa espressioni immaginifiche per dirci che «il sale della riforma è altrove. Sta nel sorteggio per designare tutti i membri del CSM … e dell’Alta Corte disciplinare».

Ainis ammette che il sorteggio – pur essendo «un antidoto categorico e brutale alla deriva correntizia della magistratura» (infatti questo è uno dei mali che ha incancrenito la nostra magistratura financo portando qualcuno dei suoi membri a fare un secondo lavoro, quello di conduttore televisivo) – «non offende i principi democratici»; e, poi, addirittura ci rassicura ricordandoci che «la democrazia nasce dal sorteggio, nell’Atene del V secolo a. C.». Il suo timore dunque riguarda il non detto: «il vizio sta in ciò che non dice la riforma, negli abusi che il silenzio potrebbe favorire. Chi sono i sorteggiabili?»

Ciò che Ainis paventa di più è che non venga «garantita la parità di genere». Stia pure tranquillo! Chi oserebbe mai violare una tale garanzia in una Repubblica che ha una donna per Presidente del Consiglio e un’altra donna per leader dell’opposizione?

Infine, Ainis, e con lui tutta la minoranza, lamenta che i 1300 emendamenti presentati dalle opposizioni non siano stati debitamente discussi perché, per velocizzare l’iter parlamentare evitandone così l’impantanamento, si è fatto ricorso alla tecnica del "canguro" – cioè all’accorpamento degli emendamenti simili, spesso diversi solo per qualche virgola e aventi intento dilatorio. Può darsi che questo sia un rilievo serio ma, di solito, nelle discussioni parlamentari, avviene che le minoranze concentrino i loro sforzi su pochi emendamenti sostanziali e seri ma non possono certo pretendere che la maggioranza li approvi quando modifichino il senso del testo da essa voluto.

Nel gioco parlamentare vige la "regola della maggioranza" e non quella fanciullesca del “gioco o non si gioca”. Del resto, le eventuali buone ragioni delle opposizioni potranno essere fatte valere davanti al ’popolo sovrano’ che dovrà approvare la riforma. O forse si teme che i comizi e la propaganda saranno vietati?

Ma il fermento antifa è ribollente e qualcuno, come il quotidiano Il Manifesto accusa il governo di volere il plebiscito perché la maggioranza stessa, al fine di presentarsi come promotrice del referendum confermativo prescritto dalla Costituzione, ha raccolto le firme per la sua indizione. Insomma, non gliene va bene una.

Tra l’interventi dei costituzionalisti, il più infelice di tutti è stato quello di Gustavo Zagrebelski. Ha detto papale papale che «le costituzioni si fanno da sobri, quando si vuole cambiarle si è un po' ubriachi». L’ex presidente della Corte costituzionale l’ha sparata veramente grossa ed è una sparata che fa temere che, anche da giudice, ne abbia potuto fare.

Luciano Violante – il quale ha pienamente ragione quando ci avverte che è pura illusione pensare di avere eliminato, con il sistema del sorteggio dei membri del duplice CSM, la politicizzazione dell’ANM perché i magistrati, essendo intruppati per il 96% nelle varie correnti, anche se "sorteggiati" continueranno ad agire come hanno fatto finora – ha elencato con pacatezza le ragioni del suo dissenso dalla riforma, a mio avviso piuttosto infondate e comunque di nessun peso (la separazione delle carriere c’è già, etc.); la sola ragione fondata, se è ragione di dissenso, sta nella conclusione da lui raggiunta che la riforma avrà un effetto non desiderato anzi esattamente inverso a quello voluto dai suoi promotori: «darà ai p.m. una quantità sproporzionata di potere». Può darsi; io aggiungerei anche che gli darà più risentimento, forse odio, e motivi di vendetta e di furia investigativa.

La riforma non significherà che, da un giorno all’altro, si potrà avere una normale dialettica tra p.m., avvocati della difesa e giudici: forse, se tutto va bene, per ottenere un tale risultato ci vorrà qualche secolo di buone abitudini. Ma il principio sacrosanto è stato affermato e, se tra governo, p.m. e giudici vi sarà combutta, allora i cittadini potranno accusarli di violazione della legge, anzi della Costituzione.

Quindi, invece di gridare allo scandalo, ai pericoli per la democrazia e all’attentato alla Costituzione come fanno miseramente e strumentalmente Schlein, Conte, Bonelli & C. – ma questi fanno (male) il loro mestiere di "politici politicanti" e non sono grandi costituzionalisti – si guardi alla sostanza e al merito.

Si potrà pure dire che la riforma non piace ma non si può accusare il governo di volere i pieni poteri.

La data del referendum non c'è ancora ma il clima della campagna referendaria è già prevedibile: sarà una battaglia – speriamo non cruenta – non di principi e di visioni ma di insulti e barzellette.

Dovremo anche noi appellarci a Maometto e chiederci quali siano le intenzioni degli oppositori della riforma.





Fonte: di Giuseppe Butta'