IN ITALIA AUMENTA LA POVERTÀ ASSOLUTA di Sergio Castelli
di Sergio Castelli
24-11-2024 - EDITORIALE
Nel 2023 in Italia sono in condizione di povertà assoluta poco più di 2,2 milioni di famiglie (8,4% delle famiglie residenti) e quasi 5,7 milioni di individui (9,7% del totale dei residenti, come nel 2022). Tra i bambini e i ragazzi il fenomeno è ancora più grave. Un povero su 4 è minore. La legge di bilancio 2025 ignora il problema. Studenti medi e universitari in piazza contro i tagli alle scuole, università e ricerca. CGIL e UIL proclamano lo sciopero generale.
Nei giorni scorsi, mentre il Ministro dell'Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti, annunciava la prima versione del disegno di legge (ddl) Bilancio 2025, progetto licenziato dal governo Meloni nella seduta del 15 ottobre 2024 (la manovra vale circa 30 miliardi di euro e quasi il 66% delle risorse sono destinate a confermare misure già in vigore), l'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) pubblicava il resoconto 2023 sulla povertà assoluta in Italia, lasciando intendere che sono considerate in povertà assoluta le famiglie e le persone che non possono permettersi l'insieme dei beni e servizi che, nel contesto italiano, sono considerati essenziali per mantenere uno standard di vita minimamente accettabile, in altre parole le spese minime per condurre una vita dignitosa. La soglia di spesa sotto la quale si è assolutamente poveri è definita dall'ISTAT (nelle foto 1 e 2 la sede nazionale dell'Istituto) attraverso il paniere di povertà assoluta. Questo comprende l'insieme di beni e servizi che, nel contesto italiano, sono considerati essenziali. Ad esempio le spese per la casa, quelle per la salute e il vestiario. Ovviamente l'entità di queste spese varia in base a dove abita la famiglia, alla sua numerosità e ad altri fattori come l'età dei componenti.
Negli ultimi venti anni la quota di persone in povertà assoluta è aumentata in modo generalizzato. Nel 2005 si trovava in queste condizioni il 3,3% dei residenti in Italia; dodici anni dopo, nel 2017, erano circa l'8%. Nel 2021 erano saliti al di sopra del 9%.
Nei giorni scorsi, mentre il Ministro dell'Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti, annunciava la prima versione del disegno di legge (ddl) Bilancio 2025, progetto licenziato dal governo Meloni nella seduta del 15 ottobre 2024 (la manovra vale circa 30 miliardi di euro e quasi il 66% delle risorse sono destinate a confermare misure già in vigore), l'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) pubblicava il resoconto 2023 sulla povertà assoluta in Italia, lasciando intendere che sono considerate in povertà assoluta le famiglie e le persone che non possono permettersi l'insieme dei beni e servizi che, nel contesto italiano, sono considerati essenziali per mantenere uno standard di vita minimamente accettabile, in altre parole le spese minime per condurre una vita dignitosa. La soglia di spesa sotto la quale si è assolutamente poveri è definita dall'ISTAT (nelle foto 1 e 2 la sede nazionale dell'Istituto) attraverso il paniere di povertà assoluta. Questo comprende l'insieme di beni e servizi che, nel contesto italiano, sono considerati essenziali. Ad esempio le spese per la casa, quelle per la salute e il vestiario. Ovviamente l'entità di queste spese varia in base a dove abita la famiglia, alla sua numerosità e ad altri fattori come l'età dei componenti.
Negli ultimi venti anni la quota di persone in povertà assoluta è aumentata in modo generalizzato. Nel 2005 si trovava in queste condizioni il 3,3% dei residenti in Italia; dodici anni dopo, nel 2017, erano circa l'8%. Nel 2021 erano saliti al di sopra del 9%.
In termini assoluti, siamo passati da 1,9 milioni di individui poveri a circa 5 milioni tra 2017 e 2018. L'emergenza Covid ha portato a un nuovo aumento delle persone in povertà assoluta (un milione in più), che sono state circa 5,6 milioni nel biennio 2020-2021.
Negli anni successivi, le procedure di stima della povertà assoluta sono state oggetto di una profonda revisione metodologica, anche nella composizione del paniere, per rendere la misurazione più accurata. Per questo motivo i nuovi dati non sono direttamente confrontabili con i precedenti. Tuttavia le stime sul 2023, rilasciate nell'ottobre 2024 da ISTAT, confermano in circa 5,7 milioni il numero di poveri assoluti: il 9,7% dei residenti in Italia.
Tra bambini e ragazzi il fenomeno è ancora più grave. Nel 2023 il 13,8% dei minori di 18 anni si è trovato in povertà assoluta: parliamo di poco meno di 1,3 milioni di persone di minore età. In alcuni segmenti della popolazione minorile la quota sfiora addirittura il 15%.
I dati 2023 pubblicati da ISTAT evidenziano un fenomeno che non è nuovo. Anche se la revisione metodologica non rende confrontabili i dati della vecchia serie storica con la nuova, emerge come la quota di bambini e ragazzi indigenti sia progressivamente aumentata dalla fine degli anni 2000, accrescendo i divari generazionali. Prima della grande recessione seguita alla crisi del 2008, c'era molta meno distanza tra la povertà rilevata nelle diverse fasce d'età. I più in difficoltà erano gli over-65 (circa il 4,5% si trovavano allora in povertà assoluta). Gli effetti delle crisi economiche degli ultimi 15 anni hanno allargato le distanze, penalizzando soprattutto le giovani generazioni.
Rispetto alle fasce d'età infatti, da circa 10 anni i minori e le loro famiglie rappresentano il segmento di popolazione più povero. Con la pandemia la quota di bambini e ragazzi in povertà assoluta ha raggiunto quasi il 14% (poco più di 719.500 tra giovanissimi e giovani). In base alla revisione metodologica intervenuta negli ultimi anni, si tratterebbe del livello più alto dal 2014 a oggi.
Le crisi economiche che si sono succedute dagli anni 2000 a oggi non hanno solo fatto aumentare il numero delle persone indigenti. Hanno modificato radicalmente anche la stessa composizione dei poveri in Italia. Nel 2005 erano gli anziani sopra i 65 anni la fascia di età a trovarsi più spesso in povertà assoluta. Da diversi anni invece è il contrario. Al diminuire dell'età, aumenta l'incidenza della povertà assoluta. Tra i minorenni la quota di poveri è al 13,8% (dato 2023), tra 18 e 34 anni è all'11,8%, tra 35 e 64 anni si attesta al 9,4%, mentre sopra i 65 scende al 6,2%. Anche molte famiglie con figli si trovano in difficoltà economica. Con un figlio minorenne la quota di quelle in povertà assoluta è pari al 9,7% nel 2023, con due figli sale al 12,8%; con 3 o più figli supera il 20%.
Nel testo del ddl Bilancio 2025, licenziato dopo il visto di conformità e copertura della Ragioneria di Stato e l'approvazione del presidente Mattarella, non si accenna alla criticità in cui si trova oggi il Paese né tantomeno, nei 144 articoli che compongono la norma, si forniscono indicazioni sulla risoluzione del problema. Ammesso che un incremento di euro 3,14 (tre/14) nel 2025, pari al 2,2% del valore attuale dell'assegno sociale, con un ulteriore incremento dell'1,3% nel 2026, per le pensioni di importo pari o inferiore al trattamento minimo (ddl Bilancio 2025, art. 25, c. 1 lett. a, rubricato Pensioni minime), non costituisca la panacea per la decrescita della povertà assoluta di cui oggi in Italia soffrono poco più di 5.693.800 individui residenti (circa il 9,7%). Frattanto le Organizzazioni sindacali CGIL e UIL hanno indetto per 29 novembre prossimo, uno sciopero generale per chiedere risposte urgenti su temi cruciali come lavoro, pensioni e servizi essenziali. Nel contempo gli studenti medi e universitari riempiono le piazze di tutt'Italia al grido di “No Meloni day” (nelle foto 4 e 5 la protesta in Viale Trastevere davanti al MIUR, in testa al corteo uno striscione con la scritta «Contro un governo di fascisti e sionisti») per i tagli al finanziamento alle scuole e alle università e sulla gestione del preruolo nell'accademia dove, grazie alla riforma voluta dalla ministra dell'università e della ricerca, Anna Maria Bernini, il precariato crescerà ancora di più, rendendo il futuro dei giovani ricercatori sempre più incerto e dunque appetibile una “fuga” all'estero. È questa la prima di una serie di mobilitazioni che hanno l'obiettivo di modificare una legge di bilancio che, tra colpi e omissioni, danneggia l'apparato produttivo e imprenditoriale, toglie le risorse e impedisce gli investimenti e la crescita, blinda le assunzioni e fa del male agli Enti Locali (il taglio per Comuni e Province vale 140 milioni di euro) e compromette seriamente anche i settori della conoscenza: scuola, università, ricerca, accademie e conservatori.
La legge Bilancio 2025 richiede però ulteriori emendamenti (alla data di scadenza per la presentazione delle modifiche, 16 novembre scorso, sono state depositate 4.562 proposte di correzione di cui circa 1.200 dalla maggioranza e circa 3.300 dall'opposizione) su altri temi fondamentali: sanità, congedi, automotive (settore che recentemente ha realizzato lo sciopero unitario dei metalmeccanici di CGIL, CISL e UIL), salario minimo, ricostruzione dell'Emilia Romagna distrutta dagli eventi alluvionali e altri ancora. Per correggere una legge di bilancio debole e assolutamente insufficiente ad affrontare i grandi nodi che limitano il benessere dei cittadini e la crescita del Paese, è importante cercare risorse nei risparmi di spese superflue, approntare una seria lotta all'evasione fiscale, ottimizzare la macchina amministrativa e predisporre una nuova ripartizione di funzioni e competenze a Enti e organismi pubblici, con una particolare attenzione a quelli più prossimi alle necessità di cittadini e territori, in modo che non vengano meno servizi essenziali legati a sicurezza, salute, istruzione, manutenzione e gestione del territorio. Come conferma delle affermazioni precedenti ricordiamo, ad esempio, che nel testo del ddl Bilancio 2025 non c'è traccia, della tanto decantata tassa sul profitto oltre il normale delle banche e delle assicurazioni, sostituita da un contributo di solidarietà stimato nell'ordine dell'1-2% degli utili conseguiti negli ultimi 12-24 mesi; una cifra irrisoria rispetto a quanto accumulato dagli istituti bancari grazie al fortissimo aumento dei tassi di interesse, che addirittura non sarebbe un “regalo” ma un prestito che lo Stato dovrebbe restituire alle banche stesse tra il 2027 e il 2029, sotto forma di sgravi fiscali. Allo stesso tempo si prevedono tagli medi del 5% al budget di alcuni ministeri, inclusi quelli della cultura, dell'istruzione, dell'università e dei trasporti: questo significa che molte delle risorse destinate a servizi essenziali per i cittadini saranno ridotte, andando a impoverire ulteriormente il welfare pubblico e penalizzando così le famiglie. Il Governo giustifica questi tagli spiegando che le risorse risparmiate serviranno a finanziare interventi a beneficio di imprese e cittadini, tra i quali la proroga del taglio del cuneo fiscale; un'evidente presa in giro, dal momento che l'aumento del reddito netto in busta paga sarà finanziato dalla riduzione di quei servizi che per i lavoratori rappresentano una forma di salario indiretto. Lo stesso discorso vale per le pensioni: dopo aver peggiorato la cd. Legge Fornero con le ultime due manovre, il Governo pensa ora di colpire i trattamenti previdenziali superiori a quattro volte il minimo, vale a dire cifre intorno a 1.650 euro e quindi certamente non pensioni d'oro. Parallelamente, a dispetto delle roboanti dichiarazione della premier Giorgia Meloni, la spesa per il Sistema Sanitario in rapporto al Prodotto Interno Lordo (PIL) rimane tra le più basse degli ultimi vent'anni (6,2%, al 16° posto tra i 27 Paesi europei dell'area OCSE e in ultima posizione tra quelli del G7. Percentuale, quella italiana, inferiore sia rispetto alla media OCSE del 6,9%, sia rispetto alla media europea del 6,8%), la spesa effettiva per il 2024 è di 136 miliardi, nella previsione per il 2025 il costo sarà di 136,5 miliardi, mentre nel 2008 se ne spendevano 147 miliardi.
In difesa del Sistema sanitario nazionale (Ssn) le celebrità della scienza hanno sottoscritto il seguente appello: «Dal 1978, data della sua fondazione, al 2019 il Ssn in Italia ha contribuito a produrre il più marcato incremento dell'aspettativa di vita (da 73,8 a 83,6 anni) tra i Paesi ad alto reddito - si legge nel documento che porta la firma, tra gli altri, del Nobel Giorgio Parisi, del presidente del Consiglio superiore di sanità Franco Locatelli e dell'immunologo Alberto Mantovani -. Ma oggi i dati dimostrano che il sistema è in crisi: arretramento di alcuni indicatori di salute, difficoltà crescente di accesso ai percorsi di diagnosi e cura, aumento delle diseguaglianze regionali e sociali». Sotto accusa, in particolare, c'è il forte sottofinanziamento della sanità pubblica, alla quale «nel 2025 sarà destinato il 6,2% del PIL, meno di vent'anni fa», hanno sottolineato i 14 big della scienza, tra i quali compaiono anche esperti di economia e politica sanitaria come Francesco Longo dell'Università commerciale Luigi Bocconi e l'ex direttrice generale del Ministero della Sanità Nerina Dirindin, oltre a Ottavio Davini, medico radiologo, primario e per cinque anni direttore sanitario all'ospedale Molinette di Torino; Enrico Alleva, etologo, fondatore e direttore fino al 2018 del Centro Scienze comportamentali e salute mentale, ISS (dove lavora dal 1980) e dal 2022 VicePresidente del Consiglio Superiore Sanità, accademico dei Lincei; Luca De Fiore, Direttore generale de Il Pensiero Scientifico Editore - Libri e riviste di sanità, medicina e salute; Paola Di Giulio, professore associato di infermieristica all'Università di Torino è stata responsabile dell'Unità Ricerca Infermieristica dell'Istituto di Ricerche Mario Negri di Milano e docente presso la Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana (SUPSI), dirige la Rivista Assistenza Infermieristica e Ricerca; Silvio Garattini, oncologo, farmacologo e ricercatore italiano, presidente e fondatore dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri; Lucio Luzzatto, ematologo ha diretto ospedali da New York a Londra e guidato gli Istituti Tumori di Genova e Toscana; Carlo Patrono, già professore ordinario di Farmacologia nell'Università Cattolica del Sacro Cuore, accademico dei Lincei; Francesco Perrone, direttore della Struttura Complessa Sperimentazioni Cliniche dell'Istituto Nazionale Tumori Pascale di Napoli; e Paolo Vineis, professore di Epidemiologia ambientale all'Imperial College di Londra e visiting professor all'Istituto Italiano di Tecnologia (ITT) di Genova.