GRAZIE, DONALD TRUMP di Giulietta Rovera
26-05-2025 - IL SOCIALISMO NEL MONDO
Nell'ultimo decennio anche nel pacifico e multietnico Canada sono emersi la destra intollerante, il sentimento anti-immigrazione e i crimini d'odio razziale. Quando il 28 aprile si è arrivati alle elezioni, la vittoria del Partito Conservatore, in testa di 25 punti nei sondaggi, pareva quindi un fatto scontato. Per tutta la campagna elettorale il suo leader, Pier Poilievre, si è spostato sempre più a destra. Ha condannato i controlli lassisti sull'immigrazione e il crescente deficit di bilancio, attaccato i media, promesso di tagliare gli aiuti internazionali, di togliere i fondi all'emittente nazionale e a quelle istituzioni accademiche le cui posizioni non condivide. In parole povere, ha abbracciato il populismo del presidente americano. Vicino al movimento Maga, forte dell’appoggio di Elon Musk, era certo che avrebbe rivestito il ruolo di Primo ministro. Ma nel giro di quattro mesi, la situazione si è capovolta. Trudeau si è dimesso, Marc Carney è diventato leader dei liberali e Donald Trump ha imposto i famigerati dazi del 25%. I dazi e la minaccia di annettere il Paese come 51° Stato americano hanno alimentato il nazionalismo canadese, stroncando lo slancio del Partito Conservatore. Mentre crollavano le speranze di Poilievre, Marc Carney saliva nei sondaggi. E il 28 aprile ha vinto le elezioni, mentre Pierre Poilievre ha perso il suo seggio che aveva occupato per vent'anni a favore di un avversario Liberale. Donald Trump può vantare gran parte del merito.
Marc Carney è un tecnocrate esperto. Ex banchiere della Goldman Sachs, ha guidato con mano ferma la Banca del Canada durante la crisi finanziaria del 2008 e la Banca d'Inghilterra durante i tumulti seguiti alla Brexit. Ma in politica era alle prime armi quando, a marzo, è stato paracadutato dal Partito Liberale per sostituire il Primo ministro dimissionario, Justin Trudeau. Durante la campagna elettorale si è espresso contro Trump ed è stato chiaro sul fatto che "la possibilità che il Canada possa far parte degli Stati Uniti non è sul tavolo e non lo sarà mai". Nonostante sia il primo Primo ministro del Paese a ricoprire tale carica senza essere stato deputato, ha saputo portare il partito liberale alla vittoria. Ora è alla guida di un Paese travolto dalle guerre tariffarie di Trump e dalle minacce di trasformare il Canada nel "51° Stato" d'America. Sono molti i problemi che deve affrontare: il costo della vita e degli alloggi, l'immigrazione, la crisi climatica, l'assistenza sanitaria, gli oligopoli alimentari e delle telecomunicazioni, l'Artico, l'efficienza del settore pubblico, l'innovazione e la produttività. Ma nessuno come lui può risollevare l'economia e trasformare le promesse in azioni. Carney ha dichiarato che, a causa delle minacce di Donald Trump, la partnership di lunga data con gli Stati Uniti, "basata su una maggiore integrazione delle nostre economie e su una stretta cooperazione militare e in materia di sicurezza, è finita.” Il Canada dovrà quindi "riorientare le nostre relazioni commerciali altrove", collaborando più strettamente con gli alleati in Europa e in Asia. Un compito non facile, dato che il commercio bilaterale contribuisce a un quinto del prodotto interno lordo canadese. Il 6 maggio Mark Carney si è recato a Washington. Nel lungo colloquio nello Studio Ovale, il presidente Trump ha ribadito ha ribadito i suoi appelli affinché il Canada diventi il 51° stato. Carney ha ribadito: “Il Canada non sarà MAI in vendita”.
Una situazione analoga a quella canadese si è verificata in Australia, dove il 3 maggio si sono tenute le elezioni. Fino all’entrata a gamba tesa di Donald Trump nelle politiche economiche mondiali, i sondaggi davano la Coalizione di destra in netto vantaggio. Ma il leader della Coalizione Peter Dutton ha commesso tutta una serie di errori, fra cui quello di schierarsi apertamente con Trump. L’ha definito “un grande pensatore e un uomo d’affari”, ne ha adottato i programmi, fra cui l’istituzione di un dipartimento speciale per l'efficienza governativa, con il compito di licenziare 41.000 dei 70.000 dipendenti pubblici di Canberra. Era stato eletto per la prima volta nel 2001. Dal 2013 ha ricoperto diversi incarichi ministeriali, tra cui Difesa e Immigrazione. Il risultato della sua presa di posizione è stato analogo a quello di Pierre Poilievre in Canada: ha perso il seggio diventando il primo leader dell'opposizione federale nella storia australiana a non essere rieletto mentre la coalizione ha subito un crollo clamoroso nei consensi.
Il leader laburista Anthony Albanese si è mosso invece sulla stessa linea di Carney. Nella campagna elettorale si è presentato infatti come una guida sicura per pilotare l'Australia attraverso questo periodo di turbolenza, alimentato dalla guerra dei dazi di Trump. Cresciuto da una madre single in un quartiere popolare di Sydney, laureato in economia, è entrato alla Camera nel 1996 dove ha rivestito vari ruoli, fra cui quello di ministro delle Infrastrutture e, in seguito, di vice primo ministro. Nel 2022 ha vinto le elezioni, ponendo fine a 10 anni di governo conservatore. Ora, con la clamorosa vittoria del 3 maggio, non solo diventa il primo Primo ministro australiano in oltre 20 anni a vincere due elezioni consecutive, ma anche il primo Primo ministro laburista a essere rieletto con una maggioranza più ampia dalla fondazione della Federazione australiana nel 1901. I laburisti hanno infatti conquistato 92 seggi – ne bastavano 76 per ottenere la maggioranza. Alle elezioni di 3 anni prima avevano ottenuto 77 seggi. Albanese si è impegnato a ripristinare la leadership australiana nella regione del Pacifico. A placare le tensioni con la Cina. A puntare sui “valori australiani”: progresso, uguaglianza, equità e opportunità per tutti, “perché siamo orgogliosi di ciò che siamo e di tutto ciò che abbiamo costruito insieme in questo Paese.”
La scelta di Canada e Australia è una risposta alla bellicosità americana e al rifiuto del populismo di destra. Quanto accaduto il 18 maggio in Romania -la sorprendente vittoria in rimonta di Nicușor Dan, il sindaco centrista di Bucarest- è una conferma di questa linea. Il primo turno nella corsa presidenziale era stato vinto dall’ ultranazionalista euroscettico che considera Donald Trump un "alleato naturale": George Simion. Ma anche in Romania si è verificato un capovolgimento delle previsioni. Dan ha beneficiato della più alta affluenza alle urne degli ultimi 30 anni, trionfando alle elezioni e smentendo la narrazione di un'inesorabile svolta a destra nell'Europa centrale e orientale.
Marc Carney è un tecnocrate esperto. Ex banchiere della Goldman Sachs, ha guidato con mano ferma la Banca del Canada durante la crisi finanziaria del 2008 e la Banca d'Inghilterra durante i tumulti seguiti alla Brexit. Ma in politica era alle prime armi quando, a marzo, è stato paracadutato dal Partito Liberale per sostituire il Primo ministro dimissionario, Justin Trudeau. Durante la campagna elettorale si è espresso contro Trump ed è stato chiaro sul fatto che "la possibilità che il Canada possa far parte degli Stati Uniti non è sul tavolo e non lo sarà mai". Nonostante sia il primo Primo ministro del Paese a ricoprire tale carica senza essere stato deputato, ha saputo portare il partito liberale alla vittoria. Ora è alla guida di un Paese travolto dalle guerre tariffarie di Trump e dalle minacce di trasformare il Canada nel "51° Stato" d'America. Sono molti i problemi che deve affrontare: il costo della vita e degli alloggi, l'immigrazione, la crisi climatica, l'assistenza sanitaria, gli oligopoli alimentari e delle telecomunicazioni, l'Artico, l'efficienza del settore pubblico, l'innovazione e la produttività. Ma nessuno come lui può risollevare l'economia e trasformare le promesse in azioni. Carney ha dichiarato che, a causa delle minacce di Donald Trump, la partnership di lunga data con gli Stati Uniti, "basata su una maggiore integrazione delle nostre economie e su una stretta cooperazione militare e in materia di sicurezza, è finita.” Il Canada dovrà quindi "riorientare le nostre relazioni commerciali altrove", collaborando più strettamente con gli alleati in Europa e in Asia. Un compito non facile, dato che il commercio bilaterale contribuisce a un quinto del prodotto interno lordo canadese. Il 6 maggio Mark Carney si è recato a Washington. Nel lungo colloquio nello Studio Ovale, il presidente Trump ha ribadito ha ribadito i suoi appelli affinché il Canada diventi il 51° stato. Carney ha ribadito: “Il Canada non sarà MAI in vendita”.
Una situazione analoga a quella canadese si è verificata in Australia, dove il 3 maggio si sono tenute le elezioni. Fino all’entrata a gamba tesa di Donald Trump nelle politiche economiche mondiali, i sondaggi davano la Coalizione di destra in netto vantaggio. Ma il leader della Coalizione Peter Dutton ha commesso tutta una serie di errori, fra cui quello di schierarsi apertamente con Trump. L’ha definito “un grande pensatore e un uomo d’affari”, ne ha adottato i programmi, fra cui l’istituzione di un dipartimento speciale per l'efficienza governativa, con il compito di licenziare 41.000 dei 70.000 dipendenti pubblici di Canberra. Era stato eletto per la prima volta nel 2001. Dal 2013 ha ricoperto diversi incarichi ministeriali, tra cui Difesa e Immigrazione. Il risultato della sua presa di posizione è stato analogo a quello di Pierre Poilievre in Canada: ha perso il seggio diventando il primo leader dell'opposizione federale nella storia australiana a non essere rieletto mentre la coalizione ha subito un crollo clamoroso nei consensi.
Il leader laburista Anthony Albanese si è mosso invece sulla stessa linea di Carney. Nella campagna elettorale si è presentato infatti come una guida sicura per pilotare l'Australia attraverso questo periodo di turbolenza, alimentato dalla guerra dei dazi di Trump. Cresciuto da una madre single in un quartiere popolare di Sydney, laureato in economia, è entrato alla Camera nel 1996 dove ha rivestito vari ruoli, fra cui quello di ministro delle Infrastrutture e, in seguito, di vice primo ministro. Nel 2022 ha vinto le elezioni, ponendo fine a 10 anni di governo conservatore. Ora, con la clamorosa vittoria del 3 maggio, non solo diventa il primo Primo ministro australiano in oltre 20 anni a vincere due elezioni consecutive, ma anche il primo Primo ministro laburista a essere rieletto con una maggioranza più ampia dalla fondazione della Federazione australiana nel 1901. I laburisti hanno infatti conquistato 92 seggi – ne bastavano 76 per ottenere la maggioranza. Alle elezioni di 3 anni prima avevano ottenuto 77 seggi. Albanese si è impegnato a ripristinare la leadership australiana nella regione del Pacifico. A placare le tensioni con la Cina. A puntare sui “valori australiani”: progresso, uguaglianza, equità e opportunità per tutti, “perché siamo orgogliosi di ciò che siamo e di tutto ciò che abbiamo costruito insieme in questo Paese.”
La scelta di Canada e Australia è una risposta alla bellicosità americana e al rifiuto del populismo di destra. Quanto accaduto il 18 maggio in Romania -la sorprendente vittoria in rimonta di Nicușor Dan, il sindaco centrista di Bucarest- è una conferma di questa linea. Il primo turno nella corsa presidenziale era stato vinto dall’ ultranazionalista euroscettico che considera Donald Trump un "alleato naturale": George Simion. Ma anche in Romania si è verificato un capovolgimento delle previsioni. Dan ha beneficiato della più alta affluenza alle urne degli ultimi 30 anni, trionfando alle elezioni e smentendo la narrazione di un'inesorabile svolta a destra nell'Europa centrale e orientale.
Fonte: di Giulietta Rovera