"DONNE E RESISTENZA. LA STORIA MAI RACCONTATA"
22-02-2021 - STORIE&STORIE
“Sono una donna, un’insignificante piccola donna, che ha rivoluzionato la propria vita privata, quella tradizionalmente femminile, quella i cui emblemi erano l’ago e la scopa, per trasformarmi. Partigiani! Non sono sola. Con me, sono certa, ci sono migliaia e migliaia di donne che hanno la mia fede, il mio entusiasmo, la mia sete di agire”, scriveva in un giornale antifascista Ada Gobetti. E’ lei, la piccola donna insignificante, la protagonista de “La casa in montagna” della biografa e storica inglese Caroline Moorehead: un libro avvincente, che copre i brevi, caotici e intensi 20 mesi fra l’8 settembre del ‘43, giorno in cui il maresciallo Pietro Badoglio firmò l’armistizio con gli alleati, e la Liberazione nell’aprile del 1945. Il saggio è ambientato soprattutto a Torino, nelle vallate circostanti e in montagna, dove amici che condividono ideali antifascisti diventano i primi combattenti partigiani. Accanto a Ada, insegnante e traduttrice, leader chiave della Resistenza, incontriamo altre donne straordinarie, tutte in qualche modo legate a famiglie protestanti, ebraiche o non conformiste: la studentessa in medicina Silvia Pons, la giovane avvocatessa Bianca Guidetti Serra, la laureanda in Lettere Frida Malan. Con il procedere del racconto, l’orizzonte si allarga: insegnanti, infermiere, contadine, operaie, casalinghe, donne di ogni ceto e condizione, che hanno lasciato casa e famiglia per partecipare alla lotta di Liberazione, diventano comprimarie. Con il loro lavoro segreto, sempre a rischio di essere catturate, torturate e uccise, stampano giornali clandestini, guidano scioperi, aiutano i partigiani a trovare rifugio e aiuto. Il vantaggio delle donne resistenti era che spesso i nemici non le prendevano sul serio. L’irrefrenabile Ada se ne andava in giro per la regione, tenendo insieme vari gruppi di antifascisti “parlando, spiegando, persuadendo; il suo entusiasmo era contagioso”. Frida lavorava in incognito nelle fabbriche, reclutando donne. Bianca era l’organizzatrice, Silvia la propagandista. Le altre, innumerevoli, portavano messaggi fra città occupate e accampamenti di combattenti: le fortunate usavano biciclette, ma la maggior parte camminavano con ogni tempo e in ogni terreno per decine di chilometri, nutrendosi di castagne bollite, riso e cavolo, nonostante il pericolo continuo di incontrare il nemico. Fu il loro attivismo nella Resistenza a dare a queste donne un ruolo prima impensato. Se non fosse stato per la guerra, Ada Gobetti sarebbe rimasta a rigovernare la casa, che le piacesse o no. La “dura privazione dei diritti civili alle donne italiane” di Mussolini aveva spazzato via i fragili progressi dell’inizio del ventesimo secolo. Chiesa e Stato le avevano relegate nel chiuso delle mura domestiche, con l’unico ruolo di madre e casalinga. Ma come partigiane e staffette, per la prima volta “potevano immaginare di avere opinioni e esprimerle”. Non solo: poterono assumere posizioni leader come istruttrici, propagandiste, comandanti e commissarie diventando determinanti nella lotta per liberare il Paese e creare spazio per le donne nel mondo del dopoguerra. A dare il via a una rivoluzione intestina che porterà all’emancipazione di genere fu l’insurrezione antifascista. Non a caso Bianca equiparò “la lotta per la liberazione d’Italia con la lotta per la liberazione delle donne”. “La casa in montagna” racconta questa storia – il risveglio di una “coscienza sociale di massa” fra le donne partigiane – ma anche quella che fu una guerra senza frontiere: “fra gli alleati e l’asse, fra italiani e italiani, fra italiani e tedeschi; una guerra civile, una guerra di liberazione e una guerra di classe.” Moorehead racconta questa e altre storie connotate da grande eroismo e da quieto coraggio come quello di suor Giuseppina, nella sezione femminile della prigione torinese o quello della staffetta partigiana Lisetta Giua, che resiste per quindici giorni, nonostante sia visibilmente incinta, agli interrogatori condotti con indescrivibile “scientifica” crudeltà dal repubblichino Pietro Koch – Lisetta riuscirà fortunosamente a fuggire. Con la fine della guerra, tutto sembrò riprendere come prima, dimenticate le complicità con fascisti e tedeschi. Lo stesso partito comunista, “più cattolico dei cattolici” nelle sue posizioni sulla vita familiare, avallò lo status quo. Ci si aspetta che le donne ritornino in buon ordine a casa e spengano il desiderio di libertà. Ma non sarà così. Se dopo la guerra molte delle loro speranze furono infrante, altre avrebbero più tardi ripreso la lotta. Le quattro protagoniste di Moorehead sopravvissero tutte a lungo. Lasciarono diari, lettere, documenti, memorie di famiglia che hanno consentito di raccontare le loro storie rivelatrici. Come Caroline Moorehead sottolinea più volte, la storia delle donne della Resistenza italiana è stata spesso trascurata: eppure, scrive, ci furono “più donne partigiane nella Resistenza italiana che in ogni altro movimento analogo nell’Europa occupata” - qualcosa come 35.000 combattenti, che provenivano da ogni strato sociale. “La casa in montagna”: una storia che vale la pena di essere raccontata. E di leggere.
Caroline Moorehead, “La casa in montagna”
(trad. di Bianca Bertola e Giuliana Olivero)
Bollati Boringhieri, pag. 416, € 29, 2020.
Fonte: di GIULIETTA ROVERA