C'ERA UNA VOLTA UN PICCOLO NAVIGLIO
di Giuseppe Butta'

Questa filastrocca, che i vecchi della mia generazione impararono da bambini, sembra raccontare, absit iniuria verbis, la vicenda della ‘flotilla' che, accolta a braccia aperte dall'IDF, si è ‘coraggiosamente' arenata nei banchi di sabbia del mare di Gaza.
Lo scopo dichiarato della ‘flotilla' era di portare aiuti sanitari e alimentari alla popolazione di Gaza ma anche, e principalmente, quello di costringere il governo israeliano ad aprire un varco nello sbarramento, anzi a togliere per sempre il blocco navale che ha lo scopo di non fare recapitare gli armamenti graziosamente concessi ad Hamas soprattutto dagli Ayatollah di Teheran.
Riconosciamo ai ‘flotillanti' di voler porre all'ordine del giorno la questione palestinese e le perenni atrocità della guerra – di qualsiasi guerra – ma oltre questo riconoscimento non si può andare.
Tutti tra i massimi conoscitori del diritto internazionale, di cui ci hanno generosamente impartito un corso accelerato, i flotillanti volevano altresì dimostrare l'illegalità del blocco navale imposto da Israele: forse essi ignorano o hanno dimenticato che anche Kruscev dovette fare marcia indietro quando Kennedy impose – ben oltre le proprie acque territoriali – il blocco navale che intendeva impedire alle navi sovietiche di sbarcare missili a Cuba: e fu la pace o, almeno, non fu la guerra!
Ricordo che, anche allora, illustri esperti e ‘anime belle' discettarono a lungo sul sesso degli angeli, ovvero sulla legalità di un tale blocco e se esso fosse da qualificare come ‘blocco di guerra' o ‘blocco di pace'.
Diritto o no, Israele mantiene il blocco e non permette a nessuno di forzarlo se non a cannonate. Forse qualcuno voleva che fosse inviata una squadra navale per aprire la strada alla ‘flotilla' e alle altre che la seguono? Senza nulla togliere all'umanitarismo dei flottillanti – che hanno pure ricevuto ex post la benedizione dell'Iran – e senza prendere per buone (ma è molto verosimile che lo siano) le prove esibite dal governo israeliano riguardo ai rapporti che almeno alcuni degli organizzatori della spedizione hanno con Hamas – è chiaro a tutti che la loro pretesa di dettare condizioni a Israele (apertura di corridoi ‘umanitari' permanenti) non poteva che portare allo scontro, naturalmente impari: e lo scontro non era solo una probabilità ma un obiettivo voluto e perseguito; nessuno dunque avrebbe potuto fermare i flottillanti prima che arrivassero alla linea del blocco: con le conseguenze che si sono immancabilmente avute.
Nobile intento certamente quello della ‘flotillla' ma anche al di sopra dei mezzi, delle capacità e delle possibilità di una tale ‘squadra navale' caritatevole, sia pure spalleggiata e sorretta dalle manifestazioni popolari più o meno violente che si sono avute dappertutto – soprattutto in Italia dove la ‘flotilla' ha avuto la fortuna di godere dell'alleanza tra i ‘pro pal' e i ‘no melon'.
Chi poteva convincerli ad accettare compromessi? La loquace portavoce italiana del naviglio lo ha detto chiaramente: «rifiutiamo la mediazione del Patriarcato latino di Gerusalemme perché il governo italiano vuole metterci il cappello»; l'immancabile e tenebroso menagramo, Montanari, ha non solo detto che il nostro governo, istigando gli eroici flottillanti a piegarsi al blocco navale imposto dai criminali israeliani, stava facendo di tutto per sabotare quella mediazione ma ha anche preconizzato che, «in quanto alleata di Israele, l'Italia potrà, anzi, dovrà essere processata dalla Corte Internazionale di Giustizia … Meloni è di una ipocrisia rivoltante … Il governo ha trascinato l'Italia nel crimine internazionale più grave dai tempi del Maresciallo Graziani».
Qualcuno lo ha preso sul serio e ha presentato un esposto ridicolo in tribunale dove certamente vi sarà qualcuno che, a sua volta, lo prenderà sul serio.

Insomma, l'altro scopo manifesto della spedizione navale (almeno per gl'impavidi naviganti italiani) era infatti quello di dimostrare la complicità del governo Meloni con il malvagio governo israeliano. In un certo senso si pretendeva, specialmente da parte degli eroici parlamentari italiani a bordo dei navigli, l'assegnazione dell'appalto della politica estera italiana; per esempio, ho sentito in TV uno di questi, l'on Scuderi, dire che, per colpa del governo Meloni, che non ha provveduto a rompere l'illegittimo blocco navale israeliano, gli attivisti erano stati costretti a tentare di farlo in proprio navigando su quei piccoli navigli a vela: forse la Scuderi avrebbe preferito disporre di una ‘dreadnought' o di una portaerei, gentilmente fornite dal governo.
Al momento attuale, se c'è qualche motivo di ottimismo circa la possibilità non solo di una tregua ma della pace in Medio Oriente, a Gaza, in Cisgiordania, lo dobbiamo all'accordo raggiunto da Trump con Netanyhau. La guerra di Gaza era in corso da più di 2 anni (per non dire da 80 o almeno da tutti gli anni in cui Hamas ha lanciato centinaia di razzi iraniani sulla popolazione israeliana). Israele stava per raggiungere l'obiettivo che si era posto dopo il feroce e orrendo assalto terroristico che Hamas sferrò il 7 ottobre 2023: l'eliminazione delle milizie nemiche. Il prezzo altissimo che ha pagato il popolo palestinese a causa della dura, inesorabile e cruenta campagna militare condotta da Israele è stato dovuto al fatto che Hamas, rintanata nei suoi antri e facendosi scudo della popolazione della Striscia (nessuno dei centinaia di tunnel era destinato a rifugio dei civili), continuava a detenere gli ostaggi, vivi e morti, con lo scopo di costringere il governo israeliano – anche sotto la comprensibile pressione dei familiari degli ostaggi e dell'opinione pubblica interna e internazionale – a patteggiarne il riscatto.
Una delle critiche al piano Trump – che sembrerebbe seria ma non lo è – è che esso sarebbe stato formulato senza avere prima consultato i palestinesi: ciò è falso e infondato come prova la partecipazione di Abu Mazen alla cerimonia di Sharm-el- Sheik. Il piano è infatti frutto di una lunga trattativa ‘segreta', oltre che con gli israeliani, con gran parte degli stati arabi e islamici, a parte l'Iran e tutta la galassia terroristica i cui tentacoli sono anche tra noi (l'attentato di Manchester ne è l'ultima prova) e il portavoce dell'Autorità nazionale palestinese, Ahmed Fattouh, ha rivelato che anche la voce dell'ANP è giunta a Trump per il tramite degli otto leader arabi che hanno discusso con lui: l'ANP dunque approva il piano, anche se si aspetta approfondimenti e assicurazioni circa lo sviluppo del processo che dovrebbe portare alla formazione dello stato palestinese. E, dice Fattouth, l'ANP «incoraggia Hamas ad accettare il piano e a lasciare il potere, che è stato preso con la forza, con un colpo di stato contro l'ANP nel 2007».

Chi si scandalizza per la ‘dollar diplomacy' che ha permesso a Trump di ottenere il consenso di molti dei paesi arabi e musulmani forse non sa che la dottrina dell'uso della leva economico-finanziaria nella politica estera americana come alternativa all'uso della forza risale per lo meno al presidente Taft, che usò prestiti e investimenti per stabilizzare Asia e America Latina, per non parlare di Jefferson, che acquistò la Louisiana dalla Francia di Napoleone, e di Seward, segretario di stato con Lincoln e Johnson, che comprò l'Alaska dalla Russia per un pugno di dollari (a proposito, speriamo che Putin non si ricordi di questa svendita).
Perfino Hamas, messa alle strette e pur divisa tra le sue fazioni e chiedendo modifiche, ha dovuto accettare il piano deludendo i suoi grandi sponsor. Nel momento in cui scrivo non sappiamo se queste modifiche saranno concesse, tuttavia è forte la speranza che Hamas finalmente apra gli occhi sulle sofferenze da essa stessa inflitte ai palestinesi e permetta l'attuazione del piano di pace per evitare che Israele ‘finisca il lavoro' con l'ulteriore prezzo di sangue pagato soprattutto dai palestinesi. Altrimenti nemmeno i flottillanti potranno chiudere gli occhi sulla responsabilità che Hamas avrebbe nella continuazione della guerra.
Tutti gli anti-trumpiani – dietro i quali si nascondono i vecchi anti-americani – hanno tifato perché il piano fallisse; ora che l'accordo è entrato nella fase esecutiva, non si può non dire che i suoi detrattori sono rimasti con le ‘pive nel sacco'.
Tra questi possiamo annoverare i partiti della sinistra italiana – primo fra tutti il PD, sempre più ‘albanesizzato' e impaniato dalla sua segretaria ‘testardamente unitaria' – che non hanno votato in Parlamento la mozione presentata dalla maggioranza a favore del piano Trump e non l'hanno votata a prescindere dal merito: mi verrebbe da dire – ma non lo dico – che non lo hanno votato per poter continuare, almeno fino alla conclusione delle prossime elezioni regionali, a pontificare sul ‘genocidio' e sulle complicità di Meloni, accusata di essere ‘serva degli americani' – classico argomento usato con maestria dai comunisti sin dall'epoca di De Gasperi e di Saragat – e, peggio ancora, ‘serva di Trump', capo dell'internazionale delle destre/destre populiste, ergo fasciste.
Non è un caso infatti che, appena la flotilla venne fermata dagli israeliani, il sindacalista Landini, stratega della ‘rivolta sociale' e possibile futuro ‘capo partito', se non di governo (Dio ce ne scampi), abbia tempestivamente minacciato e poi indetto, orgogliosamente «senza preavviso», lo sciopero generale motivandolo con «il colpo all'ordine costituzionale dato dal governo negando alla ‘flottilla' un'adeguata protezione» e per fare ‘arrabbiare le piazze' aggiungendo tutto il poco sale del suo cervello, cioè l'accusa a Trump e soci di neocolonialismo e di speculazione immobiliare.
Prove generali per vedere e mostrare come si possa bloccare tutto il paese contemporaneamente, dalle ferrovie ai porti, etc.?

Non c'è dunque da meravigliarsi se l'onda lunga del '68, rimessasi in movimento il giorno stesso in cui s'insediò il governo Meloni, stia di nuovo travolgendo le università e le scuole con le scorie, i detriti e i sottoprodotti che ha trasportato fin qua: qualche ‘compagno che sbaglia si vede già. Per esempio, Il gruppo comunista Osa – Opposizione Studentesca d'Alternativa –che assieme a Cambiare Rotta è tra gli agitatori delle piazze, delle scuole e delle università, ha lanciato il "No Salvini Day" per il 9 ottobre a Rimini con il grido di battaglia "Fuori il ministro colpevole di genocidio e precettazioni da Rimini: blocchiamo tutto".
Gad Lerner, scavando negli ‘opposti estremismi' e nella ‘strategia della tensione' di cui è uno dei massimi esperti, ha ‘calato' l'asso di briscola dicendo in TV, a una Lilly Gruber compiaciuta e sorridente, che «Giorgia Meloni sta cercando l'incidente e spera che qualcuno cada nella tentazione di un gesto sconsiderato per screditare il movimento popolare pro Palestina», e ha fatto ‘tombola' ricordando che il sospetto era già sorto «quando Meloni ha italianizzato l'omicidio di Kirk».

Il Punto del 'Corriere della Sera' del 3 ottobre ci ha fatto conoscere l'elegia del poeta Mercuri in onore delle piazze «solidali con i volontari della Flotilla» e del «gigantesco corto circuito nella società e nella politica italiane. In questo ordine: perché tutto è partito dalla società, e la politica agisce di riflesso».

A me sembra che in questa ricostruzione poetica – che si apre con il distico «Buongiorno. Gaza è ovunque, Gaza è più che mai tra noi» e si chiude con la domanda «si scende in piazza per la Palestina e non per la sanità e il lavoro perché in fondo stiamo bene o perché Gaza è diventato il catalizzatore di ogni malessere?... ieri proteste e blocchi, oggi sciopero, domani corteo a Roma. Tutto per Gaza. O no?» – di gigantesco ci sia solo lo spreco di tutti i luoghi comuni del demagogismo.

Viene il dubbio che Gaza non fosse il catalizzatore ma un pretesto e che quelle piazze per la Palestina libera non la volessero libera anche da Hamas; infatti, nonostante l'avvio del processo di pace, i ‘pro pal' hanno continuato a mobilitarsi insieme con i ‘no melon' e l'instancabile Landini, battendo il ferro finché è caldo, ha indetto per il 25 ottobre una ‘grande manifestazione' a Roma per «dare continuità alle grandi mobilitazioni per Gaza e contro la legge di bilancio». E l'ha fatta!
È lo stesso dubbio sollevato da Antonio Polito che si chiede se l'equipaggio di terra – la fiumana che ha inondato le piazze italiane per protestare contro Israele anche con striscioni inneggianti al 7 ottobre e con le immagini di Meloni, Salvini e Netanyahu alla gogna, impiccati e messi a testa in giù, con in più le aggressioni dei dimostranti alla polizia – voglia tentare «di rovesciare sul governo di centro-destra la colpa della tragedia palestinese … in piazza lo spiraglio di pace a Gaza, per quanto ancora incerto, sembra passato in secondo piano rispetto alla vicenda della flotilla».
Penso anch'io che, invece di ‘flotille', di mare e di terra, avevamo bisogno del pur istrionico Trump che, convincendo Israele a fermarsi e a concedere un cessate il fuoco a Gaza, ha aperto una prospettiva di pace e stabilizzazione in un'area cruciale per l'equilibrio mondiale anche se molte questioni decisive come il disarmo di Hamas e la formazione di uno stato palestinese sono ancora appena appena in agenda.
Non tenere conto di tutto questo, come fa un'opinione pubblica emotivamente orientata da una giusta avversione per gli orrori della guerra ma anche distorta da una propaganda che si avvale di questo sentimento popolare per fini politici del tutto estranei alla vicenda di Gaza, segnala l'imbarbarimento della lotta politica in Italia: i pacifisti nostrani non hanno inscenato alcuna manifestazione di giubilo, anzi molti hanno rosicato quando, il 9 ottobre scorso, Trump ha annunciato l'accordo. Per esempio, il preclaro ‘divo' Gramellini, trasudando odio da tutti i pori, ha benedetto l'accordo di pace con queste parole alate, poetiche e altamente morali(stiche): «non credo a questo accordo di pace perché un uomo che esprime odio … in realtà distrugge. L'odio non costruisce nulla, l'amore è un'altra cosa. Non penso che Tump lo frequenti».

Ai posteri l'ardua sentenza!





Fonte: di Giuseppe Butta'