"SE STIAMO INSIEME CI SARA' UN PERCHE' (O NO?)"
16-04-2020 - STORIE&STORIE
I risultati della recente riunione dell'Eurogruppo mi fanno tornare in mente il titolo di una canzone di Riccardo Cocciante degli anni Novanta che recita: «Se stiamo insieme ci sarà un perché e vorrei scoprirlo stasera». La frase, riferita a una coppia in crisi, si attaglia benissimo anche all'esito delle ultime vicende europee legate alla crisi innescata dal contagio da coronavirus. Ora, il sottoscritto non pretende di capire entro stasera le ragioni per le quali paesi del sud e del nord Europa dovrebbero continuare a essere legati in una struttura – l'Unione europea – che, da almeno quindici anni, così com'è concepita, discrimina tra figli e figliastri ma vorrebbe almeno sapere in tempi ragionevoli se l'Unione europea che conosciamo sia in grado di riformarsi.
Le ultime notizie non sono esattamente rassicuranti in questo senso. L'eurogruppo (l'insieme dei ministri responsabili dei dicasteri economico-finanziari degli Stati dell'UE) di fronte alla catastrofe prima umanitaria e, in secondo luogo, economica conseguenza della pandemia da coronavirus non ha saputo fare di meglio che partorire una serie di provvedimenti tutti, in misura minore o maggiore, ugualmente discutibili. I competitors internazionali dell'Unione europea quali la Cina e gli Stati Uniti, benché colpiti in maniera devastante dal virus, sono stati molto reattivi. Entrambi hanno messo in campo risorse straordinarie. Il governo federale e la banca centrale USA hanno immesso sul mercato liquidità per circa 6.000 miliardi di dollari e la FED non ha escluso persino, per la prima volta nella sua storia, di intervenire direttamente nel capitale delle aziende in crisi. Una misura, quest'ultima, mai attivata neppure nelle crisi del 2008 e del 2011. Il governo cinese, a sua volta, ha operato stanziando quasi 500 miliardi di dollari in varie forme per sostenere la ripartenza del paese e la banca centrale è intervenuta più volte con operazioni di sostegno all'economia reale che sta già cominciando a fare registrare i primi, timidi, segnali di ripresa.
In Europa l'Eurogruppo ha varato una serie di misure che non si saprebbe bene come definire. La maggior parte di questi sono costituiti da prestiti o nuovi impegni finanziari che graveranno sul bilancio degli Stati che ne faranno richiesta. E' questo il caso del Temporary State-Aid Framework (aiuti alle impresi in crisi) o delle erogazioni della Banca europea degli Investimernti che dovrebbero comunque essere preliminarmente garantiti da un costituendo fondo che andrebbe ad integrare le dotazioni finanziarie della BEI (un altro impegno da onorare, quindi altri soldi, eventualmente da restituire). Infine c'è il MES, il famigerato Meccanismo europeo di Stabilità e se è vero che il Diavolo si nasconde nei dettagli è qui che bisogna cercare: si è detto che i finanziamenti per fare fronte alle spese sanitarie originate dal Covid non sarebbero sottoposte a condizionalità. In realtà, anche qui c'è parecchio da discutere. Come è già stato notato altrove il ricorso al MES (smentito fino all'ultimo dal premier Giuseppe Conte) costringe il richiedente all'apertura di una linea di credito pari al 2% del Pil che ciascun Paese aveva alla fine del 2019: per l'Italia, si dovrebbe aggirare attorno ai 33 miliardi di euro (cfr. http://temi.repubblica.it/micromega-online/solo-debiti-e-nessuna-solidarieta-all%e2%80%99eurogruppo-hanno-vinto-ancora-i-falchi/)
L'Italia ha già versato, imputandoli al MES, 58 miliardi di euro per reperire i quali si è indebitata sui mercati, dunque se dovessimo fare ricorso al MES pagheremmo due volte gli interessi; la prima volta lo abbiamo fatto (in quota parte) per dotare finanziariamente il MES, la seconda, nel caso, per farvi ricorso. Inoltre, la mancanza di condizionalità anche per spese “esclusivamente sanitarie” è tutta da verificare. Finché il documento istitutivo del MES non sarà modificato gli Stati richiedenti potrebbero rimanere vincolati, una volta terminata l'emergenza, alle condizioni vigenti per il suo utilizzo per altri scopi.
In fine c'è il Recovery Fund dal quale dovrebbe germinare, secondo Conte e Gualtieri la cura miracolosa, gli Eurobond (sempre che si chiamino con un altro nome!). Non rimane che attendere il 23 aprile la riunione del consiglio europeo. Forse solo allora riusciremo a capire chi ha vinto e chi ha perso.
Fonte: di ANDREA BECHERUCCI