"L’ELEZIONE DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI"
22-03-2020 - CRONACHE SOCIALISTE
Il sempre fantasioso sen. Renzi ha proposto una nuova modifica della Costituzione, l'elezione popolare diretta del ‘Presidente del consiglio dei ministri', una specie di ‘sindaco d'Italia': «Non butto la palla in tribuna» – dice Renzi con molta umiltà – «Anche se si rompe la maggioranza, non si può votare fino all'autunno, è presumibile che fino al 2021 non si vota. C'è un impedimento tecnico, è il momento di pensare prima agli italiani e poi ai partiti. La riforma per il sindaco d'Italia si può fare con un governo modello Nazareno, il governo Conte con il sostegno istituzionale delle opposizioni non al governo ma alla riforma, o con un modello Maccanico. È secondario chi fa il Presidente del Consiglio se c'è l'obiettivo della grande riforma».
Secondo Renzi, il Presidente del consiglio, così eletto, «potrà revocare i ministri; oggi serve una mozione di sfiducia o le dimissioni. Il premier sarebbe un premier più forte, come i sindaci. Il presidente della Repubblica terrebbe la funzione di garanzia, verrebbe meno quello di designazione».
A prima vista, un tale emendamento sembrerebbe poter eliminare alcuni dei fattori di crisi del nostro sistema politico-istituzionale – instabilità dell'esecutivo, trasformismo – e, ultimo ma non ultimo, portare un chiarimento sui poteri costituzionali del Presidente della Repubblica.
Negli ultimi anni abbiamo assistito a ripetuti episodi di pesanti interferenze di quest'ultimo nella scelta del Presidente del consiglio e nella formazione dell'esecutivo nella fase di nomina dei ministri.
Invocato l'alibi della crisi finanziaria, dell'approvazione della legge di bilancio, dei fattori internazionali, etc., come impedimento allo scioglimento delle Camere, è emerso dal nulla l'ircocervo il cosiddetto governo del presidente, camuffato da governo tecnico con annessa nomina di senatori a vita, portando il potere di indirizzo politico del governo in capo al Presidente della Repubblica. Esempi recenti si sono avuti quando il Presidente Napolitano nominò Mario Monti e – per non parlare della formazione del secondo governo Conte nell'agosto del 2019 – nel 2018 il Presidente Mattarella, dopo più di due mesi dalle elezioni del 4 marzo, incaricò Giuseppe Conte di formare il nuovo governo ma rifiutò la nomina di un ministro (Paolo Savona), portando il presidente del consiglio incaricato alla rinuncia e i 5S a minacciare l'impeachment: poi ne seguì la travagliata replica di un secondo incarico a Conte che, purtroppo, riuscì a formare un governo ‘contrattuale' gialloverde.
A prescindere dal giudizio di merito sulla questione politica sollevata allora da Mattarella, resta qualche dubbio su questioni costituzionali non secondarie: il Presidente della Repubblica ha o no il potere di scegliere i ministri e di indicare linee politiche al governo? O, come recita l'art. 92 della Costituzione, ha soltanto quello di nominarli «su proposta del Presidente del Consiglio»?
La proposta di Renzi è un surrogato dell'elezione popolare diretta del Presidente della Repubblica, da molti osteggiata – anzi, demonizzata – perché rafforzerebbe eccessivamente l'esecutivo e depotenzierebbe il Parlamento.
A mio avviso però, il sistema proposto da Renzi è più complicato: si deve infatti provvedere necessariamente alla contestuale e radicale, ma difficile, revisione dei poteri degli altri organi – Presidente della Repubblica e Parlamento – coinvolti dall'attuale assetto costituzionale nella formazione dell'esecutivo; infatti, l'elezione diretta del Presidente del consiglio potrebbe introdurre uno squilibrio tra l'investitura popolare del Presidente del consiglio e quella parlamentare, di secondo livello, del Presidente della Repubblica: forse sarebbe necessario abolire questa carica o, comunque, rivederne radicalmente i poteri.
Cosa ancora più grave, l'elezione diretta del Presidente del consiglio potrebbe causare un conflitto politico a causa di possibili differenze tra la maggioranza popolare che lo elegge e quella parlamentare – se ne ha un esempio nelle regioni e nei comuni – mentre verrebbe a cadere il rapporto fiduciario tra Governo e Parlamento.
Se si vuole mettere mano a una revisione della Costituzione al fine di ottenere un certo rafforzamento della stabilità dell'esecutivo senza intaccare i poteri del Parlamento e portare finalmente un chiarimento riguardo ai poteri del Presidente della Repubblica nella scelta del Presidente del consiglio e dei ministri, forse sarebbe meglio pensare a un altro tipo di riforma che sia anche capace di mettere fuori corso l'alibi dell'impedimento tecnico all'indizione di nuove elezioni: il Parlamento in seduta comune dei suoi membri elegge, a maggioranza assoluta, il Presidente del consiglio, al quale spetta la scelta dei ministri; il Presidente del consiglio e i ministri prestano giuramento davanti al Presidente della Repubblica; nel caso in cui una delle Camere vota la sfiducia al governo e il Parlamento non elegge, entro 10 giorni, un nuovo Presidente del consiglio, il Presidente della Repubblica dovrà decretare automaticamente lo scioglimento delle Camere.
Fonte: di GIUSEPPE BUTTA'