"L´UNIFICAZIONE SOCIALISTA DEL 1966-69"
25-06-2019 - STORIE&STORIE
Simbolo del PSI-PSDI Unificati (PSU)
Simbolo del PSI-Sezione dell'Internazionale Socialista
L'unitá socialista italiana, faticosamente raggiunta con la fondazione, il 23-8-1943, del PSIUP, venne travolta dalla scissione di Palazzo Barberini (gennaio 1947), guidata da Giuseppe Saragat, e dalle altre che seguirono, quella di Ivan Matteo Lombardo (febbraio 1948) e quella di Giuseppe Romita (maggio 1949); il che, fra l'altro, fu causa, per molti anni, del declino del socialismo in Italia.
Le due principali formazioni del movimento socialista che ne derivarono furono, infatti, risucchiate, l'una, il PSI, nell'orbita di influenza del PCI, da allora egemone nel movimento operaio italiano e l'altra , il PSDI, nell'aria moderata e governativa, pilotata dalla DC di De Gasperi e di Scelba.
Non mancarono, tuttavia, a partire proprio dal 1947, tentativi, piú o meno generosi, ma sempre sfortunati, di riunificare il socialismo italiano.
A partire da quelli messi in atto, nel 1947 da Sandro Pertini, da Alberto Simonini, da Ignazio Silone, volti ad impedire o a sanare la scissione di quell'anno.
Negli anni che seguirono, in tale direzione, in vario modo e in varia misura, si adopero' l'aria politica costituita dai „socialisti di destra“ e dai „socialdemocratici di sinistra“.
A dare impulso e concretezza alle aspirazioni unitarie di quei settori socialisti saranno pero', indirettamente, il rapporto segreto di Krusciov (febbraio 1956), contenente la denuncia delle degenerazioni staliniane in URSS e i tragici fatti d'Ungheria (ottobre-novembre 1956), in seguito ai quali entro' in crisi l'intesa PSI-PCI, spingendo il PSI ad una sottolineatura dell'inscindibile nesso tra socialismo e democrazia. Il che diede respiro e iniziativa all'ancora forte sinistra socialdemocratica e alla sua vocazione unitaria.
Il fatto di maggior rilievo di questo periodo fu certamente l'incontro di Pralognan (28-8-1956), voluto e patrocinato dall'Internazionale Socialista, fra Nenni e Saragat, i due leader che allora incarnavano le due anime del socialismo italiano.
Ma le forti resistenze messe in atto dalla sinistra socialista, visceralmente aggrappata ad una politica unitaria col PCI e dalla destra socialdemocratica, atlantica e governativa fin nel midollo, fecero fallire il progetto.
A riaccendere le speranze fu l'ingresso del PSI nell'area di governo , che tuttavia provoco' una scissione a sinistra del partito: quella del PSIUP di Vecchietti, Valori e Basso (gennaio 1964), che porto' a tre le sigle socialiste presenti nello scenario politico italiano: PSI, PSDI, PSIUP.
La comune presenza di PSI e PSDI nei governi di centro-sinistra e l'elezione di Giuseppe Saragat alla Presidenza della Repubblica (28-12-1964), avvenuta anche grazie alla rinuncia di Pietro Nenni, accorciarono le distanze fra PSI e PSDI, riaccendendo le speranze di quanti ne auspicavano la riunificazione.
Tuttavia, in prossimitá del XXXVI congresso del PSI (Roma, 10-14/11/1965) emersero, nella maggioranza autonomista, delle diversitá tra quanti si riconoscevano nelle posizioni del segretario Francesco de Martino, piú cauto nei confronti dell'unificazione col PSDI, essendo le storie dei due partiti ormai alquanto diverse, specialmente sui problemi della trasformazione socialista della societá e i fedelissimi di Nenni, da sempre fautore dell'unitá socialista, necessaria per ben contrastare l'gemonismo della DC sul governo e del PCI sull'opposizione e per poter costruire anche in Italia una realistica alternativa di governo.
Per questi motivi Nenni decise di intervenire direttamente nel dibattito precongressuale con la sua famosa lettera ai compagni (4-9-1965).
Il congresso spiano' la strada all'unificazione socialista: nel nuovo Comitato Centrale agli autonomisti andarono 79 seggi su 100, alla sinistra lombardiana 19 e 2 a mozioni locali. Dei 79 autonomisti 44 erano di stretta osservanza nenniana e 35 piú vicini a De Martino. Il che significava che almeno il 30 % del PSI, in varia misura, era critico nei confronti dell'unificazione.
Il tema dell'unificazione fu al centro anche del XIV congresso del PSDI (Napoli, 8-11/11/1965), che si svolse in un clima di entusiasmo, coagulando una larghissima maggioranza (96 %) attorno al segretario Mario Tanassi, con un'accentuazione unitaria della sinistra di Egidio Ariosto e con l'astensione della sparuta pattuglia della destra di Pietro Bucalossi (1).
Venne dunque costituito un „Comitato paritetico per l'unificazione“, con 12 rappresentanti del PSI (2) e 12 del PSDI (3), presieduto da Nenni. Esso elaboro' tre documenti: la Carta politico-ideologica, lo Statuto del partito unificato e le norme transitorie, che furono approvati col voto contrario di tre esponenrti del PSI (4). Essi furono poi rimessi all'esame dei due Comitati Centrali (5), dei due congressi e della Costituente Socialista.
Il partito che stava per nascere sarebbe stato „bicefalo“ (fino alle politiche del 1968) in tutto, perfino nel nome PSI-PSDI Unificati, che la stampa piú semplicemente chiamerá Partito Socialista Unificato (PSU); il simbolo sará quello dei due partiti racchiusi in un cerchio, che i detrattori ribattezzeranno la bicicletta, la cui sagoma esso sembrava ricordare; a tutti i livelli organizzativi ci sarebbero stati organi composti dalla somma (paritetica) degli organi dei due partiti.
Questo eccessivo garantismo organizzativo, voluto dai socialdemocratici, era accompagnato da uno scarso amalgama ideologico. Ma l'entusiamo per il superamento di quella che Nenni aveva chiamato l'orgia delle scissioni prevaleva su ogni perplessitá.
Il XXXVII congresso del PSI (Roma, 27-29/10/1966), come anche il XV del PSDI (Roma, 29/10/1966) ratificarono all'unanimita i documenti concordati, spianando cosí la strada alla Costituente Socialista (Roma, Palazzo dello Sport, 30-10-1966).
A negare l'adesione al nuovo partito socialista fu una piccola minoranza della sinistra lombardiana del PSI, che il 19 novembre 1966, nel corso di un convegno, tenuto a Roma, di socialisti contrari all'unificazione con i socialdemocratici costituirá il Movimento Socialista Autonomo (MSA) (6), che avrá vita breve, mentre alcuni suoi esponenti diverranno, in seguito, membri della Sinistra Indipendente.
Alla grande assemblea della Costituente Socialista di 1800 delegati dei due partiti, in rappresentanza di circa 700.000 iscritti a PSI e PSDI, presieduta da Sandro Pertini, Medaglia d'oro della Resistenza, parteciparono anche i socialisti indipendenti, rappresentati da Aldo Garosci, i socialisti senza tessera, rappresentati da Spartaco Vannoni e il gruppo di ex comunisti di Libertá – Democrazia – Socialismo, guidato da Fernando Amiconi.
Aderirono al partito unificato, inoltre, intellettuali di grande prestigio come Giorgio Bassani, Norberto Bobbio, Guido Calogero, Carlo Cassola, Roberto Guiducci, Mario Monicelli, Salvatore Quasimodo, Mario Soldati, Giorgio Strelher, Bruno Zevi...
Erano presenti ai lavori Bruno Pittermann, presidente (1964-1976) dell'Internazionale Socialista e Albert Carthy, segretario generale (1957-1969) della stessa, il quale parlo' di un evento storico per il socialismo mondiale. Pietro Nenni, che vedeva coronato il sogno unitario di una vita, definí il nascente partito come il partito dei lavoratori e il partito della Repubblica ed anche il partito della pace e di ogni progresso, di ogni causa di giustizia, di ogni causa di libertá.
La Costituente dunque proclamo', in un clima di esaltante entusiasmo, il sorgere del nuovo partito unificato, acclamo' Pietro Nenni presidente, con segretari Francesco De Martino (ex PSI) e Mario Tanassi (ex PSDI) e vicesegretari Giacomo Brodolini (ex PSI) e Antonio Cariglia (ex PSDI). La direzione dell'Avanti! fu affidata a Gaetano Arfé (ex PSI) e a Flavio Orlandi (ex PSDI). Capigruppo furono eletti Mauro Ferri (ex PSI) dei deputati e Edgardo Lami Starnuti (ex PSDI) dei senatori.
Tutti gli altri organi, a partire dalla Direzione, furono formati in pari numero dagli ex socialisti e dagli ex socialdemocratici (7).
Sembro' cosí chiudersi, in un tripudio di pariteticitá e fra lo sventolio di bandiere rosse, un ventennio di lacerazioni socialiste.
Il periodo seguente fu segnato da un notevole affievolimento dell'azione riformatrice del governo di centro-sinistra Moro-Nenni, dovuto essenzialmente al timore democristiano di perdere consensi a favore della destra liberale o missina. Tanto che la politica governativa di allora fu riassunta da un sarcastico slogan che allora circolava: Avanti adagio, quasi indietro!
Inoltre il PSU, bicefalo non solo organizzativamente, ma anche culturalmente, si trovo' a dover prendere posizione di fronte ai drammatici avvenimenti che tennero banco sulla scena politica internazionale di quegli anni: la guerra del Vietnam, il movimento studentesco, il colpo di Stato dei colonnelli in Grecia, la „guerra dei sei giorni“, l'uccisione di Ernesto Che Guevara, di Martin Luther King, di Robert Kennedy.
Non sempre il pluralismo ideologico, appesantito da vent'anni di posizioni antagoniste tra PSI e PSDI, consentí ai socialisti di avere atteggiamenti univoci in materie cosí incandescenti.
L'affanno dei socialisti unificati fu drasticamente rivelato dai risultati delle elezioni politiche del 19 maggio 1968. Di fronte al 19,94 % raggiunto complessivamente dai due partiti (8), allora separati, nel 1963, il PSU ottenne appena il 14,48 %, con una perdita secca quindi del 5,46 %. Come disse un commentatore, in politica non sempre 2+2 fa 5; qualche volta puo' fare 3.
Certamente l'analisi e lo sconforto sarebbero stati piú contenuti se si fosse tenuto conto che nel 1963 il PSI non aveva ancora subito la scissione della sua ala sinistra, che nel 1964 aveva poi costituito il PSIUP, guidato da Tullio Vecchietti. Questo partito, che era pur sempre un partito socialista, nel 1968 conseguí un ottimo 4,45 %. Se si fosse sommata questa cifra al 14,48 % conseguito dal PSU, si sarebbe potuto constatare che la perdita socialista nel suo complesso era stata appena di circa l'1 % (a favore del PCI). Nulla di drammatico.
Invece prevalse lo sconforto, fu alquanto ridimensionato il protagonismo socialista e le analisi sull'unificazione e sulle sue insufficienze organizzative e culturali, divennero sempre piú impietose, sia fra gli ex socialisti che fra gli ex socialdemocratici.
La maggioranza interna si divise, Nenni fu messo in minoranza, De Martino e Tanassi formarono proprie correnti, ma furono d'accordo nel volere il disimpegno governativo. Ne seguí la formazione di un „governo-ponte“, un monocolore dc presieduto da Giovanni Leone.
Fu in questo periodo che venne stroncato il socialismo dal volto umano, voluto dalla primavera di Praga, dall'intervento (20-8-1968) delle truppe del Patto di Varsavia, questa volta, a differenza dei fatti d'Ungheria del 1956, condannato anche dal PCI.
Intanto all'interno del PSU le carte andavano rimescolandosi, in vista del XXXVIII congresso socialista (9), che si sarebbe tenuto a Roma dal 23 al 28 ottobre 1968, con 950 delegati in rappresentanza di circa 900.000 iscritti.
Si fronteggiarono in esso ben cinque correnti: una autonomista, detta anche Mancini-Ferri-Preti, dal nome dei triumviri che la dirigevano (10), formata da autonomisti „di destra“ e da una frangia socialdemocratica, scontenti del disimpegno dal governo messo in atto dall'accordo De Martino-Tanassi, la quale ottenne il 35,50 %, classificandosi al primo posto; una corrente, Rinnovamento Socialista, formata interamente da ex socialdemocratici capeggiati da Tanassi, la quale conseguí il 17,4 %; una facente riferimento a Francesco De Martino, Riscossa Socialista, a cui ando' il 32,2 % dei voti congressuali; il piccolo raggruppamento che si riconosceva nelle posizioni di Antonio Guiolitti, Impegno Socialista, che arrivo'al 5,8 %; ed infine la Sinistra Socialista di Riccardo Lombardi, che proponeva la fine del centro-sinistra e la politica dell'Alternativa di sinistra, che si attesto' al 9,4 %.
Una delle deliberazioni piú importanti fu la decisione di tornare alla storica denominazione del partito che dunque divento' PSI (Sezione dell'Internazionale Socialista), adottando un nuovo simbolo derivante dalla fusione dei due contenuti nella bicicletta.
Il congresso, vinto dall'alleanza fra le prime due correnti (Autonomia e Rinnovamento), segno' dunque uno spostamento „a destra“ della politica socialista, ora orientata per un rientro nel governo (11).
Il 9 novembre il Comitatto Centrale riconfermo' Pietro Nenni presidente del partito (12). Segretario fu eletto Mauro Ferri, con vicesegretario Antonio Cariglia e successivamente anche Gino Bertoldi. La direzione dell'Avanti! fu affidata, come condirettori, a Gaetano Arfé e a Franco Gerardi.
Inevitabilmente, pero', comincio' ad evidenziarsi la gracilitá delle basi ideologiche e politiche su cui era stata costruita l'unificazione. Si rivelava percio' sempre piú difficile conciliare linee politiche , organigrammi, aspirazioni di correnti e gruppi vari, mentre infuriava quella che fu definita una lotta tribale.
Punto nodale di tale ribollío fu il C.C. del 14 maggio 1969, in cui furono gettate le basi per la costruzione di una nuova maggioranza interna: un gruppo di autonomisti guidato da Giacomo Mancini e dal prestigioso segretario della UIL Italo Viglianesi, lascio' la corrente di provenienza e si mise in proprio, creando la nuova corrente „Presenza Socialista“ che, fiancheggiata dalla corrente di „Impegno Socialista“ di Giolitti, si oriento' in direzione di un accordo con Francesco De Martino e con la sua corrente, relegando con cio' all'opposizione non solo i nenniani (poi craxiani) di „Autonomia Socialista“, ma anche la corrente di provenienza socialdemocratica di „Rinnovamento“, a sua volta da molto tempo disabituata ad essere minoranza. Ed infatti Tanassi, timoroso di un'eventuale emarginazione degli ex socialdemocratici, non manco' di precisare che tale operazione avrebbe messo in pericolo l'unitá del partito.
In una successiva riunione del C.C. (20-5-1969) furono presentati due documenti: uno del segretario Ferri e uno del cartello Mancini-Viglianesi-Giolitti-De Martino, firmato da 61 componenti del „parlamentino socialista“ su 121.
Cio' provoco' le dimissioni di Mauro Ferri da segretario, per cui la gestione del partito fu affidata a una segreteria provvisoria, composta dal presidente Pietro Nenni e dai vicesegretari Antonio Cariglia e Gino Bertoldi.
Tutti, in varia misura, dicevano di adoperarsi per salvare l'unitá del partito, ma chi si impegno' piú d'ogni altro in questa impresa fu Nenni, che mise in campo tutta la sua autorevolezza e il suo prestigio. Inutilmente, pero', perché in una terza e definitica riunione del C.C. (4-7-1969) furono presentati e messi ai voti tre documenti. Uno, volto a salvare l'unitá del partito, presentato da Nenni, fu respinto con 52 voti a favore e 67 contrari (13). In seguito all'esito di questa votazione 34 membri del C.C. dei 52 che avevano votato per la mozione Nenni abbandonarono la seduta e decisero di fondare un nuovo partito. Fra di loro c'erano importanti dirigenti come MarioTanassi e Antonio Cariglia (ex PSDI), Mauro Ferri, Matteo Matteotti e Pietro Longo (ex PSI).
Il secondo documento a firma De Martino-Mancini- Giolitti-Viglianesi, favorevole ad un centro-sinistra autosufficiente, ma aperto ad eventuali apporti positivi che venissero da sinistra, fu approvato con 59 voti a favore (14), 16 contrari e 11 astenuti, mentre quello della Sinistra Socialista ottenne solo 9 voti (15).
Alla fine della seduta Nenni si dimise da presidente. A reggere il PSI rimase solo il vicesegretario Gino Bertoldi.
Il 5 luglio 1969 gli scissionisti fondarono un nuovo partito che vollero chiamare Partito Socialista Unitario (16), con segretario Mauro Ferri, vicesegretario Antonio Cariglia e presidente Mario Tanassi: vi aderirono 29 deputati su 91 e 12 senatori su 46.
La scissione era un fatto compiuto, dopo appena tre anni dall'unificazione. Ancora una volta, come una maledizione, la rottura avveniva sul tema dei rapporti coi comunisti.
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1 - Il deputato Giuseppe De Grazia, subentrato alla Camera (20-1-1965) a Giuseppe Saragat, divenuto Presidente della Repubblica, non aderirá alla unificazione e formerá un raggruppamento denominato „Socialdemocrazia“ che alle elezioni del 1968 non conquisterá alcun seggio.
Alcuni mesi dopo confluí nel PSDI il Movimento di Democrazia Liberale (MDL), guidato da Giampiero Orsello, che ottenne 5 posti nel Comitato Centrale e 1 nella Direzione (Orsello).
2 - Nenni, De Martino, Balzamo, Bertoldi, Brodolini, Cattani, Ferri, Giolitti, Lombardi, M.Matteotti, Venturini, Vittorelli.
3 - Tanassi, Cariglia, Ariosto, Barnabei, Battara, Ippolito, Nicolazzi, Orlandi, Pellicani, P. Rossi, Ruggiero, Viglianesi.
4 - Riccardo Lombardi, Antonio Giolitti e Vincenzo Balzamo.
5 - Quello del PSDI (14-9-1966) li approvo´ all´unanimitá, mentre in quello del PSI (16-17/9-1966) si registro´ la critica di Lombardi e della sua corrente.
6 - Principali esponenti ne erano Luigi Anderlini, Simone Gatto, Tullia Carettoni e Delio Bonazzi.
7 - Nel gennaio 1967 sará cooptato nella Direzione Aldo Garosci, in rappresentanza dei gruppi minori.
8 - PSI 13,84 % e PSDI 6,10 %.
9 - Esso sará l´unico del partito unificato.
10 - Giacomo Mancini, ex PSI, giá ministro della Sanitá (a lui si deve l´introduzione del vaccino antipolio Sabin) e dei LLPP; Mauro Ferri, ex PSI, presidente del gruppo parlamentare socialista alla Camera e Luigi Preti, ex PSDI, giá ministro delle Finanze, nonché autore, fra l´altro, del premiato romanzo Giovinezza, giovinezza… (1964).
11 - Il nuovo ministero, presieduto dal dc Mariano Rumor, durerá dal 12-12-1968 al 5-8-1969. Per i socialisti ne faranno parte: Francesco De Martino (Vicepresidenza), Pietro Nenni (Esteri), Giacomo Brodolini (Lavoro), Salvatore Lauricella (Ricerca Scientifica), Giuseppe Lupis (Marina Mercantile), Luigi Preti (Bilancio), Giacomo Mancini (LL.PP.), Luigi Mariotii (Trasporti), Mario Tanassi (Industria, Commercio e Artigianato).
12 - Piú precisamente del Comitato Centrale. Fu forse da allora che si diffuse l´usanza, fra i politici e i giornalisti in particolare, di chiamare „presidente del partito“ chi in realta presiedeva solo l´organo rappresentativo („parlamentino“) dello stesso, Comitato Centrale o Consiglio Nazionale, mentre in realtá il partito era diretto in concreto dal suo segretario generale. Questa usanza si consolido´ quando tale presidenza comincio´ ad essere affidata ad una personalitá di grande prestiglio nel partito, com´era appunto Pietro Nenni nel PSI o Aldo Moro nella DC. In seguito, in alcuni partiti si scelse di chiamare „presidente“ (e non segretario generale) chi era alla guida effettiva del partito, come ad esempio Silvio Berlusconi in Forza Italia o Gianfranco Fini in Alleanza Nazionale.
13 - Dei 121 componenti del C.C. due erano assenti: Gerardi e Talamona.
14 - Di questi 7 erano di ex socialdemocratici: Viglianesi, Benevento, Bernabei, Brandi, Perulli, Rufino, Ravenna
15 - Se ne erano staccati Balzamo e Veronesi.
16 - Il 10 luglio successivo la parte rimasta nel partito riassunse la denominazione di Partito Socialista Italiano (PSI).
Fonte: di FERDINANDO LEONZIO