"DUE LIBRI INTERESSANTI (1^ parte)"
22-09-2020 - CRONACHE SOCIALISTE
Sono usciti quest'anno due libri che affrontano due temi fra loro apparentemente slegati, ma che in realtà si intersecano. Uno dimostra come la concentrazione della proprietà sia fattore di squilibrio sociale (Thomas Piketty, Capitale e ideologia, La Nave di Teseo) e l'altro pone al centro della sua riflessione la questione del finanziamento della democrazia (Julia Cagé, Il prezzo della democrazia, Baldini+Castoldi) come prerequisito per una democrazia compiuta.
La famiglia Piketty (Thomas e Julia sono marito e moglie) ci offre, con dovizia di dati, una interpretazione dei fatti molto stimolante ed i ringraziamenti che vicendevolmente si scambiano dimostrano come i due temi siano intrecciati.
Questa premessa appare necessaria perché tratto separatamente i due argomenti partendo dalle problematiche poste da Piketty.
Il libro (millesettecento settantasei pagine) affronta con abbondanza di dati, dal medioevo fino ad oggi, la ripartizione della proprietà fra le varie classi sociali e il suo modificarsi nel corso dei secoli e quali riflessi sociali questo determina. Studia in maniera approfondita i casi della Francia, della Inghilterra, degli USA, della Cina, dell'India, a tratti, delle socialdemocrazie europee, di quelle comuniste con qualche accenno all'Italia.
Non intendo fare né una recensione né un riassunto del libro, ma solo puntualizzare alcuni aspetti che mi hanno particolarmente interessato.
Il primo, ma che l'autore francese tratta nella conclusione, riguarda il ruolo della scienza economica nella nostra società. Ruolo importante se interconnesso con quello delle altre scienze sociali. Se non c'è questa contaminazione il rischio di una autoreferenzialità e di una crescita di un tecnicismo fine a sé stesso portano lo studio della economia politica fuori da ogni contatto con la realtà. La fine per una scienza sociale. I danni di questa impostazione, che oggi purtroppo pervade gli studiosi di economia, sono sotto gli occhi di tutti.
Altro aspetto che desta attenzione è l'analisi (c'era la percezione ma mancavano dati oggettivi) che fa della provenienza sociale dei voti dei partiti che si schierano a sinistra. Essi rappresentano un ceto che l'autore definisce “sinistra intellettuale benestante” che trae voti da soggetti con elevato titolo di studio mentre c'è una “destra mercantile” che premia l'aspetto della proprietà e del successo economico. Il problema “drammatico” è che tutte e due rappresentano momenti complementari ma basati sugli stessi valori (soprattutto di politica economica). Da cui deriva, senza colpo ferire da parte della sinistra, la riduzione del welfare e dell'offerta di lavoro come fatti “oggettivi” necessari per ridurre il deficit pubblico per avere un'economia “sana”. Questa situazione ha indebolito la sinistra che ha perso i voti dei ceti più deboli che non sentendosi più rappresentati hanno scelto la via “sovranista” che all'apparenza appare più comprensibile e che sembra tutelare meglio i loro interessi. A cui, soprattutto in Italia, si è aggiunto il problema dell'immigrazione che con tutte le semplificazioni, spesso false, proposte dalla destra e la mancanza di risposte chiare da parte della sinistra ha prodotto un ulteriore perdita di voti a favore della destra. È opportuno superare questo sistema di “élites multiple”, come le chiama il nostro autore.
Operazione forte che può essere realizzata con soggetti credibili capaci di superare lo stato di disinformazione e di mancanza di conoscenza dei problemi della società per riportare al centro del dibattito politico i principali elementi su cui si appoggia la democrazia: quegli dell'eguaglianza sociale e della libertà individuale. Obbiettivi raggiungibili con il superamento dell'analfabetismo sociale e della credulità.
L'autore mette in risalto anche la crisi delle socialdemocrazie continentali che hanno abbandonato la solidarietà internazionale per rifugiarsi in uno sterile nazionalismo prodromico ad una caduta dei valori che fino ad ora le avevano distinte.
Correttamente l'autore individua nella Comunità Europea l'istituzione, almeno per quanto riguarda il Vecchio Continente, come l'unica capace di affrontare e risolvere positivamente questo stato di crisi. Certo, cosa non da poco, occorre modificare la politica economica, che non solo ha mostrato tutti i limiti e ha anche rischiato di disintegrare la Comunità Europea. Propone una nuova gestione istituzionale capace di superare l'impasse attuale attraverso un meccanismo troppo barocco, secondo lui necessario evitare la modifica dei trattati.
Insomma, per dirla in estrema sintesi, il non contrastare il pensiero economico liberista e proposto una espansione della democrazia viene pagato caro dalla sinistra.
Le proposte di Piketty sono molto corrette, da un lato aumento delle imposte per ceti più abbienti e ridistribuzione della ricchezza attraverso un allargamento del welfare, dall'altro un aumento della partecipazione alla vita sociale ed economica dei cittadini.
In questo libro manca un riferimento forte a un'ideologia precisa ed un soggetto capace di guidare questo processo.
Occorre un “nuovo principe”, certo. Appare però evidente che questo non è sufficiente se si continuano a percorrere le vecchie strade marxiste, che non vanno demonizzate, ma analizzate ed utilizzate per compiere un ulteriore passo in avanti superando i vecchi schematismi.
Il socialismo o sarà etico o non sarà.
Fonte: di ENNO GHIANDELLI