"LA NECESSITA' DEL SOCIALISMO"
23-03-2022 - IL SOCIALISMO NEL MONDO
La necessità, oggi, del socialismo supera persino le aspettative che suscitò al suo sorgere. Se agli albori rappresentava il sol dell’avvenire per le classi subalterne e sfruttate, oggi costituisce l’unica possibile via salvifica per l’umanità intera. Altrimenti, parafrasando Rosa Luxemburg, la barbarie finirà di avvolgere il mondo. Sconvolgimento climatico, pandemia, guerra in Ucraina, stagflazione: se non ora, quando?
Tony Judt, scrivendo “Guasto il mondo”, rimarcava che abbandonare gli sforzi per un futuro migliore significherebbe tradire sia le generazioni che ci hanno preceduto sia quelle che verranno. George Orwell, citato dallo stesso Judt, osservò una volta che “la cosa che attrae gli uomini comuni al socialismo e li rende favorevoli a rischiare la pelle per la sua causa, la mistica del socialismo, è l’idea dell’uguaglianza”. È ancora così, assicurava nel 2010 l’appassionato intellettuale dopo aver esaminato le storture della società. Sono passati dodici anni, le cose sono peggiorate e peggiorano in misura esponenziale.
Eppure, una parola così carica di volontà e di desiderio, socialismo, è finita nella pattumiera della storia. I socialisti rubano, seconda l’impietosa e macchiettistica vulgata provocata dai cascami della tragedia politica ed esistenziale del craxismo. Ma attenzione, questa è stata solo, almeno per quanto riguarda l’Italia, l’ultima mostruosa metamorfosi di un sistema di potere che con l’idea di riscatto non aveva più niente a vedere. Una degenerazione che parte da lontano.
È importante ricordare, come ha fatto Norberto Bobbio, che già Piero Gobetti era affascinato da Marx ma non dai socialisti che identificava con lo statalismo, il protezionismo, il riformismo dall’alto pagato al prezzo dell’autonomia del movimento operaio. Scriveva Bobbio, in un breve ritratto, che per il propugnatore della Rivoluzione liberale “mentre il marxismo, inteso come teoria che mette al centro della sua concezione della storia la lotta di classe, è compatibile con la teoria liberale che ha una concezione antagonistica della storia, il socialismo con la sua fiducia critica nell'intervento dello Stato nell'economia non solo è incompatibile con l'idea liberale, ma ne è l'antitesi”.
Sarà Carlo Rosselli a mettere in piedi l’ircocervo, come lo chiamava con scettica ironia Benedetto Croce. A coniugare, cioè, l’istanza dell’uguaglianza con quella della libertà. Da qui bisogna ripartire.
Ma se i socialisti rubano e i comunisti ammazzano, come si va a far virare a sinistra un immaginario collettivo che di fronte ai propri occhi ha lo spettacolo di una presunta socialdemocrazia solo dedita all’esercizio del potere? La favola del capitalismo dal volto umano, degli eccessi e delle storture corrette e mitigate dai sedicenti progressisti, la leva redistributiva usata per lo più a fini elettorali e di consenso, hanno ormai evidenziato il proprio totale fallimento. La bussola del governismo è stata l’unica usata dopo la caduta del muro di Berlino e ha portato alla bancarotta morale e politica.
Paolo Bagnoli, in un suo saggio sui cento anni del Pci, cita Pietro Nenni: “Diceva che anche quando tutto è perduto c’è ancora sempre una cosa da fare”. E allora bisogna avere la forza, il coraggio, la determinazione per far riprendere il cammino all’ircocervo.
La necessità del socialismo e l’imperativo della libertà nascono spontanei dall’analisi della realtà, germinano nel cuore nelle menti di chi non si rassegna ad assistere impotente al declino della convivenza umana.
Qui non si tratta di rinfocolare le irsute polemiche sui tanti errori del passato o di ripercorrere le vicende del Psi, del congresso di Livorno, della fondazione del Pci, del Fronte Popolare, della scissione di Palazzo Barberini, della nascita del centrosinistra, delle riforme mancate, di Tangentopoli e via discorrendo. No, tanto è stato detto e scritto, non c’è bisogno di aggiungere altro, il rimpallo continuo delle responsabilità aumenta solo il caos ideale e porta ad una ringhiosa impotenza.
Bisogna guardare avanti, mondandoci dai fantasmi del passato che ci avvinghiano con le adunche mani del rimpianto e delle rivalse. Non è più tempo di odii e di rancore. C’è tanto, tantissimo da fare.
Un convegno dovrebbe avere queste finalità. Non scrutare quel che è accaduto, oramai chiaro a tutti noi, ma ipotizzare, e cercare di condizionare, quel che potrebbe accadere. Trovare la rotta per l’isola che ancora non c’è.
Come si coniugano oggi la libertà, la giustizia e il socialismo? Esiste una nuova gerarchia tra bisogni e diritti? Quale mercato delle merci e delle persone è ipotizzabile? Quale rapporto tra proprietà privata e iniziativa pubblica? Come si inverte, realisticamente, la degenerazione climatica? Come dare nuova dignità al lavoro? I processi produttivi al tempo degli algoritmi possono essere ricondotti ad una dimensione umana o l’alienazione è ormai data per scontata? Qual è il blocco sociale di riferimento? Quali le classi da rappresentare, organizzare e incitare alla rivolta’ È possibile imporre un nuovo internazionalismo mentre si blindano i confini e si alzano nuovi muri? Quali i passi necessari per costruire finalmente gli Stati Uniti d’Europa? In un mondo interconnesso e con tanti centri occulti di potere come si esplica la democrazia? Il localismo e il globalismo possono convivere? Chi sono gli interlocutori e i potenziali alleati in un processo di così ambiziosa lena?
Pochi ma strategici interrogativi, dalle cui risposte deriva tutto il resto. Inutile azzuffarsi sui sistemi elettorali, sugli assetti costituzionali o sui limiti e i pregi della democrazia rappresentativa quando si sta ipotizzando un nuovo sistema sociale. Un’incruenta rivoluzione morale, economica, valoriale.
Solo in un secondo tempo le istanze teoriche e metapolitiche possono tradursi in contingenza organizzativa.
Gli obiettivi, prima della strada per raggiungerli.
Così è nato il Partito d’Azione.
Tony Judt, scrivendo “Guasto il mondo”, rimarcava che abbandonare gli sforzi per un futuro migliore significherebbe tradire sia le generazioni che ci hanno preceduto sia quelle che verranno. George Orwell, citato dallo stesso Judt, osservò una volta che “la cosa che attrae gli uomini comuni al socialismo e li rende favorevoli a rischiare la pelle per la sua causa, la mistica del socialismo, è l’idea dell’uguaglianza”. È ancora così, assicurava nel 2010 l’appassionato intellettuale dopo aver esaminato le storture della società. Sono passati dodici anni, le cose sono peggiorate e peggiorano in misura esponenziale.
Eppure, una parola così carica di volontà e di desiderio, socialismo, è finita nella pattumiera della storia. I socialisti rubano, seconda l’impietosa e macchiettistica vulgata provocata dai cascami della tragedia politica ed esistenziale del craxismo. Ma attenzione, questa è stata solo, almeno per quanto riguarda l’Italia, l’ultima mostruosa metamorfosi di un sistema di potere che con l’idea di riscatto non aveva più niente a vedere. Una degenerazione che parte da lontano.
È importante ricordare, come ha fatto Norberto Bobbio, che già Piero Gobetti era affascinato da Marx ma non dai socialisti che identificava con lo statalismo, il protezionismo, il riformismo dall’alto pagato al prezzo dell’autonomia del movimento operaio. Scriveva Bobbio, in un breve ritratto, che per il propugnatore della Rivoluzione liberale “mentre il marxismo, inteso come teoria che mette al centro della sua concezione della storia la lotta di classe, è compatibile con la teoria liberale che ha una concezione antagonistica della storia, il socialismo con la sua fiducia critica nell'intervento dello Stato nell'economia non solo è incompatibile con l'idea liberale, ma ne è l'antitesi”.
Sarà Carlo Rosselli a mettere in piedi l’ircocervo, come lo chiamava con scettica ironia Benedetto Croce. A coniugare, cioè, l’istanza dell’uguaglianza con quella della libertà. Da qui bisogna ripartire.
Ma se i socialisti rubano e i comunisti ammazzano, come si va a far virare a sinistra un immaginario collettivo che di fronte ai propri occhi ha lo spettacolo di una presunta socialdemocrazia solo dedita all’esercizio del potere? La favola del capitalismo dal volto umano, degli eccessi e delle storture corrette e mitigate dai sedicenti progressisti, la leva redistributiva usata per lo più a fini elettorali e di consenso, hanno ormai evidenziato il proprio totale fallimento. La bussola del governismo è stata l’unica usata dopo la caduta del muro di Berlino e ha portato alla bancarotta morale e politica.
Paolo Bagnoli, in un suo saggio sui cento anni del Pci, cita Pietro Nenni: “Diceva che anche quando tutto è perduto c’è ancora sempre una cosa da fare”. E allora bisogna avere la forza, il coraggio, la determinazione per far riprendere il cammino all’ircocervo.
La necessità del socialismo e l’imperativo della libertà nascono spontanei dall’analisi della realtà, germinano nel cuore nelle menti di chi non si rassegna ad assistere impotente al declino della convivenza umana.
Qui non si tratta di rinfocolare le irsute polemiche sui tanti errori del passato o di ripercorrere le vicende del Psi, del congresso di Livorno, della fondazione del Pci, del Fronte Popolare, della scissione di Palazzo Barberini, della nascita del centrosinistra, delle riforme mancate, di Tangentopoli e via discorrendo. No, tanto è stato detto e scritto, non c’è bisogno di aggiungere altro, il rimpallo continuo delle responsabilità aumenta solo il caos ideale e porta ad una ringhiosa impotenza.
Bisogna guardare avanti, mondandoci dai fantasmi del passato che ci avvinghiano con le adunche mani del rimpianto e delle rivalse. Non è più tempo di odii e di rancore. C’è tanto, tantissimo da fare.
Un convegno dovrebbe avere queste finalità. Non scrutare quel che è accaduto, oramai chiaro a tutti noi, ma ipotizzare, e cercare di condizionare, quel che potrebbe accadere. Trovare la rotta per l’isola che ancora non c’è.
Come si coniugano oggi la libertà, la giustizia e il socialismo? Esiste una nuova gerarchia tra bisogni e diritti? Quale mercato delle merci e delle persone è ipotizzabile? Quale rapporto tra proprietà privata e iniziativa pubblica? Come si inverte, realisticamente, la degenerazione climatica? Come dare nuova dignità al lavoro? I processi produttivi al tempo degli algoritmi possono essere ricondotti ad una dimensione umana o l’alienazione è ormai data per scontata? Qual è il blocco sociale di riferimento? Quali le classi da rappresentare, organizzare e incitare alla rivolta’ È possibile imporre un nuovo internazionalismo mentre si blindano i confini e si alzano nuovi muri? Quali i passi necessari per costruire finalmente gli Stati Uniti d’Europa? In un mondo interconnesso e con tanti centri occulti di potere come si esplica la democrazia? Il localismo e il globalismo possono convivere? Chi sono gli interlocutori e i potenziali alleati in un processo di così ambiziosa lena?
Pochi ma strategici interrogativi, dalle cui risposte deriva tutto il resto. Inutile azzuffarsi sui sistemi elettorali, sugli assetti costituzionali o sui limiti e i pregi della democrazia rappresentativa quando si sta ipotizzando un nuovo sistema sociale. Un’incruenta rivoluzione morale, economica, valoriale.
Solo in un secondo tempo le istanze teoriche e metapolitiche possono tradursi in contingenza organizzativa.
Gli obiettivi, prima della strada per raggiungerli.
Così è nato il Partito d’Azione.
Fonte: di MARCO CIANCA