"LA MEGLIO GIOVENTU’ " di Paolo Bagnoli
23-05-2023 - EDITORIALE
Dalla televisioni ci vengono le immagini della tragedia che ha investito l'Emilia – Romagna, soprattutto quest'ultima. Devastazione, distruzione, disperazione e pure la fiera dignità di un popolo che non ha perso le staffe e si è messo all'opera per ripulire, per preparare la ripresa.
Sono immagini che riaccendono la Firenze del 1966 e, in chi la visse, il sentire di allora e pure la spinta interna a non rimanere a guardare, ad aspettare, a vincere il fango e guardare avanti. Anche allora, come avviene oggi in Emilia-Romagna, accanto alle strutture dello Stato tanti volontari i quali vollero condividere coi fiorentini i sacrifici del momento e la speranza di un futuro che, comunque, si presentava difficile e pieno di incognite. Li chiamarono “angeli del fango”. Volarono a Firenze un po' da tutto il mondo e si misero alla stanga per aiutare Firenze e i fiorentini che, a loro volta, si erano rimboccate le maniche dando il proprio aiuto per quanto ognuno poteva. Fu un'espressione di coralità eccezionale; avemmo il senso vivo dell'umanità e della solidarietà.
Nella disgrazia conforta vedere al lavoro giovani e meno giovani, gente che per lo più non si conosce nemmeno, impegnati nello sforzo comune per la rinascita. Si ha la percezione concreta di come l'uomo e l'umanità possano coincidere poiché non sempre è così. Avvenne a Firenze avviene nella piana romagnola e la fiducia continua nonostante le controrepliche della realtà.
Le responsabilità della tragedia di Firenze come quelle dell'Emilia-Romagna non sono del clima, ma della politica e delle istituzioni. Ora, visto come vanno, peraltro sempre in peggio, le cose nel nostro Paese in un rimpallo di responsabilità e di norme eluse, non si saprà mai di chi le responsabilità siano. E così avanti verso la prossima sciagura poiché ciò che è capitato all'Emilia- Romagna può succedere in ogni parte d'Italia visto che la mala gestione del territorio è un dato nazionale. Ma no su questo vogliamo dilungarci. A Faenza, a Forlì, negli altri paesi e nelle campagne colpite dall'alluvione abbiamo visto tanti giovani al lavoro, molto spesso per decisione singola di dare una mano a chi si trova in difficoltà, al di fuori di ogni struttura di associazionismo, spinti dal dovere morale e da un senso concreto del consorzio civile. E' la meglio gioventù; sì la meglio gioventù esiste; non è soltanto il titolo di un film di successo. La politica democratica, se vuole avere un futuro, deve dare un futuro a questa gioventù; a questa Italia, giovane di età e di cuore; una gioventù che non si merita un Paese di sicura incertezza, di bonus o di vaucher che siano.
La migliore gioventù per mettersi al lavoro non ha avuto bisogno di divise, di fronzoli, di bandierine, mentre l'Italia ufficiale, quella ministeriale e delle altre istituzioni, non ha mancato di venire in televisione con la maglia della Protezione Civile; una maglia che è giusto porti il corpo della Protezione Civile poiché gli appartiene agli altri serve per far scena, per far vedere che sono dentro l'insieme operativamente; per vizio italico di dannunzianesimo e di mussolinismo –adopriamo questi termini non in riferimento a schieramenti politici, ma come indicazione antropologica – perché mascherarsi e mettersi una divisa agli italiani piace sentendosi, in tal modo, identificati nella propria immagine.
Confessiamo che abbiamo trovato la cosa di cattivo gusto, di mancanza di stile a meno che non si riconduca il concetto dello stile alle felpe di salviniana memoria.
La meglio gioventù ci dice che l'umanità, nonostante tutti i disastri che combina l'uomo non muore. E ciò, nel dolore per il disastro e nel vuoto di futuro per l'Italia, non è in fondo una cosa da poco.
Sono immagini che riaccendono la Firenze del 1966 e, in chi la visse, il sentire di allora e pure la spinta interna a non rimanere a guardare, ad aspettare, a vincere il fango e guardare avanti. Anche allora, come avviene oggi in Emilia-Romagna, accanto alle strutture dello Stato tanti volontari i quali vollero condividere coi fiorentini i sacrifici del momento e la speranza di un futuro che, comunque, si presentava difficile e pieno di incognite. Li chiamarono “angeli del fango”. Volarono a Firenze un po' da tutto il mondo e si misero alla stanga per aiutare Firenze e i fiorentini che, a loro volta, si erano rimboccate le maniche dando il proprio aiuto per quanto ognuno poteva. Fu un'espressione di coralità eccezionale; avemmo il senso vivo dell'umanità e della solidarietà.
Nella disgrazia conforta vedere al lavoro giovani e meno giovani, gente che per lo più non si conosce nemmeno, impegnati nello sforzo comune per la rinascita. Si ha la percezione concreta di come l'uomo e l'umanità possano coincidere poiché non sempre è così. Avvenne a Firenze avviene nella piana romagnola e la fiducia continua nonostante le controrepliche della realtà.
Le responsabilità della tragedia di Firenze come quelle dell'Emilia-Romagna non sono del clima, ma della politica e delle istituzioni. Ora, visto come vanno, peraltro sempre in peggio, le cose nel nostro Paese in un rimpallo di responsabilità e di norme eluse, non si saprà mai di chi le responsabilità siano. E così avanti verso la prossima sciagura poiché ciò che è capitato all'Emilia- Romagna può succedere in ogni parte d'Italia visto che la mala gestione del territorio è un dato nazionale. Ma no su questo vogliamo dilungarci. A Faenza, a Forlì, negli altri paesi e nelle campagne colpite dall'alluvione abbiamo visto tanti giovani al lavoro, molto spesso per decisione singola di dare una mano a chi si trova in difficoltà, al di fuori di ogni struttura di associazionismo, spinti dal dovere morale e da un senso concreto del consorzio civile. E' la meglio gioventù; sì la meglio gioventù esiste; non è soltanto il titolo di un film di successo. La politica democratica, se vuole avere un futuro, deve dare un futuro a questa gioventù; a questa Italia, giovane di età e di cuore; una gioventù che non si merita un Paese di sicura incertezza, di bonus o di vaucher che siano.
La migliore gioventù per mettersi al lavoro non ha avuto bisogno di divise, di fronzoli, di bandierine, mentre l'Italia ufficiale, quella ministeriale e delle altre istituzioni, non ha mancato di venire in televisione con la maglia della Protezione Civile; una maglia che è giusto porti il corpo della Protezione Civile poiché gli appartiene agli altri serve per far scena, per far vedere che sono dentro l'insieme operativamente; per vizio italico di dannunzianesimo e di mussolinismo –adopriamo questi termini non in riferimento a schieramenti politici, ma come indicazione antropologica – perché mascherarsi e mettersi una divisa agli italiani piace sentendosi, in tal modo, identificati nella propria immagine.
Confessiamo che abbiamo trovato la cosa di cattivo gusto, di mancanza di stile a meno che non si riconduca il concetto dello stile alle felpe di salviniana memoria.
La meglio gioventù ci dice che l'umanità, nonostante tutti i disastri che combina l'uomo non muore. E ciò, nel dolore per il disastro e nel vuoto di futuro per l'Italia, non è in fondo una cosa da poco.
Fonte: Editoriale 2