"UNA POLITICA CHE E' SOLO FAR CARRIERA"
22-09-2020 - STORIE&STORIE
Era il 1965 quando Francesco Guccini scrisse queste parole. La canzone, “Dio è morto”, due anni dopo fu portata al successo dai Nomadi. La polemica contro la partitocrazia usciva dall'ambito strumentale della destra che, sin dai tempi dell'Uomo Qualunque l'aveva declinata in termini antidemocratici, ed entrava nel campo della contestazione giovanile. I movimenti identificarono le grandi organizzazioni politiche, e anche quelle sindacali, con il potere. Tutte, compresi i comunisti, i quali tentarono invano di distinguersi dal ceto dei mandarini. C'erano dentro anche loro e la nuova sinistra li prese a bersaglio privilegiato, accusandoli di fare il doppiogioco e di essere cani da guardia dell'ordine costituito.
I sommovimenti sociali e generazionali portarono una ventata di libertà, mettendo alla berlina “il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto, l'ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto”. Il Palazzo fu scosso ma tenne. Gli anni di piombo, le P38, il terrorismo, seppellirono ogni velleità di cambiamento. La crisi economica ed energetica pose la pietra tombale sulle richieste di nuove forme di partecipazione e i partiti ripresero il sopravvento, come se nulla fosse accaduto.
Poi arrivò Tangentopoli e la magistratura distrusse il sistema, già in crisi dopo la caduta del muro di Berlino e la fine del falso e compromissorio bipolarismo. I giudici di Milano divennero eroi popolari e i politici messi alla gogna venivano salutati con feroce tripudio. I referendum mandarono in soffitta, almeno così sembrava, la legge elettorale basata sul proporzionale e sulle preferenze. Veniva annunciata l'alba di un nuovo mondo.
Si pensava che due schieramenti dovessero contendersi la conquista della maggioranza. Cominciò la contesa tra Romano Prodi e Silvio Berlusconi. Ma già dall'inizio, e questo grazie alla grande astuzia del Cavaliere e al caravanserraglio dei suoi antagonisti, la sana distinzione tra progressisti e conservatori fu resa impossibile dai cambi di posizione e dalla confusione generata da quella che era stata definita la morte delle ideologie.
In una sorta di imbarazzo generale, si cercò di tagliare i legami con il passato, nell'illusione di darsi una nuova verginità. Così fecero tutti, a partire dagli ex pci che rivendicavano una loro diversità dagli altri ma nello stesso tempo si vergognavano delle proprie radici negando così le ragioni stesse di questa diversità. Una sorta di Comma 22 (dal film omonimo): chi è pazzo può essere esentato dai voli, ma chi chiede di essere esentato non è pazzo.
Rossana Rossanda, scomparsa in questi giorni, in un'intervista rilasciata in quegli anni disse con costernazione: “Dalla svolta della Bolognina in poi, ogni mese si fa un passo avanti nella direzione di rompere ogni collegamento con la memoria. Procedono verso questa direzione in armonia con le scelte che fanno, che non hanno nulla né di socialista né di sinistra progressista. La cosa che più offende è proprio il carattere strumentalmente politico con cui lo fanno, per piacere a Cossiga o a Berlusconi. Qui c'è la miseria di questi personaggi”. La fondatrice del Manifesto pronunciava tali sgomente parole mentre sullo schermo televisivo apparivano i volti di vecchi e nuovi protagonisti del rinato gioco partitico.
La casta si stava autoriproducendosi, per partenogenesi. Invece dell'acqua sporca, era stato buttato via il bambino. E qui riparte il qualunquismo, sotto le rinnovate spoglie dei populisti. Prima con il volto comico di Beppe Grillo e poi con quello truce di Matteo Salvini. I cinquestelle e la Lega espressioni diverse ma simili: quelli che stanno nella stanza dei bottoni sono tutti uguali, destra e sinistra non esistono, conta solo la gente e non gli eletti. Il fatto che i primi propugnino la democrazia diretta e gli altri abbiano come obiettivo l'autocrazia rappresentano solo due varianti, che si sono incrociate e potrebbero farlo di nuovo, del medesimo obiettivo: far saltare il parlamentarismo.
Il Pd, erede dei comunisti e dei cattolici popolari, nel tentativo di difendere l'equilibrio istituzionale dopo averne di fatto rinnegato l'origine, è come se avesse dato di sé un'immagine di partito reazionario, mentre tutti gli altri si vendevano come innovatori e rivoluzionari. E il richiamo ai valori dell'antifascismo suona ormai sterile. La tenuta della Toscana, ora, e a gennaio, quella dell'Emilia-Romagna fanno tirare un sospiro di sollievo ma non possono essere l'alibi per continuare a sbagliare.
È la battaglia delle idee che sembra persa. Sostiene Roberto Saviano: “E' mancato un nucleo politico motivato, sincero e forte che contrastasse, come metodo, le menzogne che il populismo dei social diffondeva”. Emanuele Macaluso parla di “una netta regressione, non solo sociale, ma anche civile”.
Il referendum sul taglio dei parlamentari ha avuto solo l'effetto di alzare una cortina fumogena che nasconde i veri problemi e permette di tirare a campare. La vittoria del “Sì” era scontata. Troppo razionali e fredde le ragioni del “No” di fronte alla foia di chi grida che bisogna tagliare le poltrone. Se il messaggio subliminale è che tanto gli eletti rubano, allora meno sono meglio possiamo controllarli e più i danni saranno limitati. Con il retropensiero che in fin dei conti il Parlamento potrebbe chiudere definitivamente. Che poi a prendere le decisioni sia un autocrate o una piattaforma social, poco conta. Magari i due processi possono essere incrociati, in una sorta di delirio post democratico.
Quando la rappresentanza viene considerata un costo inutile e non il prezzo per tutelare la propria libertà, e questa convinzione si accompagna al disprezzo per chi viene cooptato dai partiti, le parole di Guccini riecheggiano come un'inascoltata profezia. “Una politica che è solo far carriera”.
Fonte: di MARCO CIANCA