"L’EUROPA DOPO LA BREXIT"
21-12-2019 - IL SOCIALISMO NEL MONDO
Nelle elezioni che si sono tenute nel Regno Unito lo scorso 12 dicembre la maggioranza del paese con circa il 56% dei suffragi ha consegnato al leader dei tories Boris Johnson il mandato di portare a compimento il processo di uscita del paese dall'Unione europea.
Resta da vedere quale sarà l'impatto della Brexit sul regno Unito e sull'Unione europea. Anzitutto bisogna considerare che per dare attuazione alla volontà del popolo britannico, manifestata nel referendum improvvidamente indetto dall'allora premier David Cameron e votato nel 2016, sono occorsi tre anni e mezzo e che l'incapacità di trovare un accordo con la controparte è costata la poltrona a Theresa May.
Vediamo brevemente quali potranno essere le conseguenze di questa scelta per il Regno Unito. Sicuramente non sarà possibile al nuovo governo conservatore concludere un accordo di libero scambio con l'UE in tempi brevi (un anno circa) come Johnson andava dichiarando in campagna elettorale. I tempi per la realizzazione di un accordo del genere saranno molto più dilatati, probabilmente fino a cinque anni.
Tuttavia i rischi maggiori sembrano riguardare la stessa integrità territoriale del Regno Unito. Le recenti elezioni hanno visto in Scozia la vittoria schiacciante dello Scottish National Party (SNP). Lo SNP, ampiamente maggioritario in Scozia, già nel 2016 aveva, con la sua campagna a favore del remain, dato un notevole contributo al successo, nel nord della Gran Bretagna, di chi voleva che il Regno Unito proseguisse la sua esperienza nell'Unione europea. Anche a distanza di tre anni e mezzo, però, si è confermata la volontà della maggioranza di lasciare l'UE. Che ne sarà, allora, della Scozia? Si adeguerà alla volontà della maggioranza o, come sembra, la premier dello SNP Nicola Sturgeon si impegnerà a chiedere un nuovo referendum sull'indipendenza scozzese dopo quello già bocciato di misura dall'elettorato nel 2014? Al momento non sembra che gli scozzesi vogliano arrendersi a seguire il destino del resto del Regno Unito.
Un discorso simile può farsi per l'Irlanda del nord la situazione della cui frontiera con la Repubblica d'Irlanda ha fortemente condizionato i negoziati con l'Unione europea. Per la prima volta qui hanno ottenuto risultai migliori i partiti repubblicani rispetto a quelli unionisti. In questo caso si dà per scontato che l'appoggio del maggior partito unionista alle posizioni filo-Brexit espresse dal premier britannico Johnson abbia danneggiato questo partito viste le concessioni che Johnson è stato costretto a fare per arrivare a una soluzione negoziata per l'uscita dall'UE. Tuttavia, a questo punto, non è da escludere (certo non in tempi brevi) neanche la riunificazione dell'isola sotto la bandiera dell'Eire.
Il grande sconfitto di questo passaggio elettorale è certamente il Labour di Jeremy Corbyn che con la sua politica ondivaga ha di fatto disorientato l'elettorato perdendo i suoi vecchi sostenitori quasi ovunque e non guadagnandone di nuovi. In particolare il Labour non ha sfondato tra gli “sconfitti della globalizzazione” che gli hanno preferito Nigel Farage e la sua propaganda antieuropea. Dopo la disfatta Corbyn ha lasciato la guida di un partito ormai allo sbando.
Vediamo adesso quali potranno essere verosimilmente gli effetti della Brexit sull'Unione europea. Per anni i fautori di un'Europa federale hanno addossato, non a torto, molte responsabilità per i mancati progressi effettuati su questa strada dal processo d'integrazione europea alla Gran Bretagna e alle leadership che si sono succedute alla sua guida. Si è imputata alla Gran Bretagna la volontà di far parte della Comunità (poi Unione) europea per farla fallire meglio di quanto avrebbe potuto fare restandone fuori. Certamente la non adozione dell'euro, le numerose clausole di opting-out e molti altri privilegi hanno fatto pensare che il Regno Unito avesse scelto di condividere la strada dell'integrazione europea per sfruttarne i vantaggi senza pagare ciò che sarebbe stato necessario in termini d'impegni più che per una convinzione profonda (pur accompagnata da una necessaria e legittima valutazione dei vantaggi che ne sarebbero conseguiti).
Non c'è bisogno, in questa sede, di ricordare quanto affermava Carl Schmitt nell'opera “Terra e mare” laddove mostrava l'inconciliabilità dei due elementi sopra citati in cui erano identificati la Gran Bretagna (e poi gli Stati Uniti) e l'Europa continentale. L'uscita della Gran Bretagna dall'Unione europea non potrà che contribuire a fare chiarezza nel panorama confuso che abbiamo sotto gli occhi.
Certo, i rischi non mancano. Due fra tutti: con l'uscita della Gran Bretagna dall'UE, la Francia rimane l'unico paese dell'UE ad essere membro del Consiglio di sicurezza dell'ONU e ad avere il possesso dell'arma atomica. Questa situazione di squilibrio con gli altri partners europei (in particolare con la Germania) potrebbe preludere a dei rapporti tra i due paesi nel segno di un'amicizia competitiva. Un'altra conseguenza non gradita della Brexit potrebbe essere la volontà del nuovo governo conservatore di fare del paese una sorta di paradiso fiscale come altri già presenti nell'UE col rischio che siano drenate in questo modo nuove risorse dalla fiscalità degli stati membri.
Fonte: di ANDREA BECHERUCCI