GUERRA HAMAS - ISRAELE
di Sergio Castelli

27-10-2025 -

Riprendiamo dal profilo Facebook di Ariel Toaff, professore emerito presso l'Università Bar-Ilan di Ramat Gan (Tel Aviv), e trascriviamo la sua opinione sulla guerra in Medio Oriente. Del professor Stefano Levi Della Torre, docente presso la facoltà di Architettura al Politecnico di Milano, riassumiamo l'intervento da lui fatto alcuni mesi or sono a Cologno Monzese, allorché, pubblicamente, in modo minuzioso e nitido, definì di estrema destra il governo israeliano di Netanyahu. Trascriviamo inoltre il messaggio di David Adler, 33enne ebreo, produttore e sceneggiatore, in missione con la Flotilla per portare aiuti a Gaza.

In un post pubblicato sul proprio profilo Facebook, lo storico, accademico, professore emerito presso l'Università Bar-Ilan di Ramat Gan (Tel Aviv), critico d'arte e saggista Ariel Toaff ha formulato un duro atto d'accusa contro la politica attuale di Benjamin Netanyahu e le conseguenze che, a suo avviso, questa sta generando per Israele e il suo popolo.
Secondo Toaff, il Paese guidato dall'attuale premier si troverebbe a seguire «come un ciuco ubriaco» una strada senza ritorno: un declino economico di dimensioni inedite, accompagnato da un crescente isolamento internazionale. Anche se Israele riuscisse a uscire da questa spirale, sottolinea lo studioso, sarebbe necessario molto tempo per ristabilire un equilibrio e rimettersi in sesto.
L'aspetto più drammatico, evidenzia Toaff, riguarda l'immagine morale di Israele, che – a suo giudizio – è stata compromessa da tempo. Gaza non rappresenterebbe soltanto la «tomba politica» di Netanyahu e dei suoi seguaci, ma rischierebbe di trascinare con sé l'intera nazione. La responsabilità, ammonisce Toaff, non è solo del governo: «Di fatto siamo complici, in modo ignobile. La giusta e crudele punizione è destinata a giungerci».
Parole durissime che ritraggono l'attuale fase come «uno dei capitoli più infami della storia del sionismo moderno». Il pensiero corre alle vittime civili di Gaza – donne e bambini – che, nel giudizio dello storico, resteranno come una condanna eterna: «Ci seguiranno con le loro torce fiammeggianti fino al fuoco dell'inferno».
Concludendo il suo messaggio, Toaff sfida i possibili tentativi di censura, rivolgendo un'accusa diretta a chi definisce «ipocriti, pavidi e vigliacchi», esplicitando: «Siete una vergogna nella storia del popolo di Israele».
Di seguito il post del professor Toaff.
«Israele sotto Netanyahu sta imboccando, come un ciuco ubriaco, la strada verso una debacle economica senza precedenti e l'isolamento internazionale. Se riusciremo ad uscirne, ci vorrà del tempo per rimetterci in sesto. Dell'immagine morale di Israele non parlo, perché l'ha persa da tempo. Gaza non rischia di essere la tomba di Netanyahu e dei suoi folli seguaci, ma la nostra. E non abbiamo fatto niente per impedirlo. Di fatto siamo suoi complici, ignobilmente complici. La giusta e crudele punizione non tarderà a raggiungerci. È uno dei capitoli più infami della storia del sionismo moderno. I morti ammazzati di Gaza, donne e bambini, ci inseguiranno con le loro torce fiammeggianti fino al fuoco dell'inferno. E ora provate a bloccarmi e a cancellare il mio post ipocriti, pavidi e vigliacchi. Siete una vergogna nella storia del popolo di Israele.»

Altra voce sionista fuori dal coro quella di Stefano Levi Della Torre, figura poliedrica che si distingue come ebreo, accademico, pittore e saggista. Residente a Milano e docente presso la Facoltà di Architettura del Politecnico locale, Levi Della Torre, durante un convegno pubblico risalente a qualche mese fa, ha risposto a una domanda sul conflitto israelo-palestinese con una riflessione che ha fatto emergere un punto di vista originale e fuori dagli schemi comuni. Ne riassumiamo i contenuti principali.
«Siamo a un crinale della storia. In Israele abbiamo il governo di Netanyahu di destra estrema, alla Orban. Il 7 ottobre di Hamas ha trovato Israele divisa e sono saltati gli accordi di Abramo con i paesi arabi. C'è stata una sottovalutazione grave della questione palestinese: Netanyahu la dava per sedata con l'apartheid a Gaza e la West Bank sottomessa. Che ci fosse una percezione sbagliata della situazione lo dimostra anche il rave dei giovani ebrei vicino al confine con Gaza.
La risposta di Israele all'attacco devastante di Hamas del 7 ottobre poteva imboccare due strade: o, con un'autocritica politica, riprendere la via abbandonata del riconoscimento di un'autonomia dei palestinesi; o una nuova Nakba (letteralmente “la catastrofe”. Nome con cui si indica, nella storiografia araba contemporanea, l'esodo forzato di ca. 700.000 arabi palestinesi dai territori occupati da Israele nel corso della prima guerra arabo israeliana del 1948 e della guerra civile che la precedette, ndr). Netanyahu ha scelto la seconda via. Di terrore e di violenza. E sono emerse preoccupanti analogie tra i discorsi fatti contro i palestinesi dai governanti della destra israeliana in questi mesi (“mandiamoli in Congo”) e quelli che fecero negli anni Trenta del Novecento i nazisti contro gli ebrei (“ mandiamoli in Madagascar”).
Cosa avrebbe dovuto fare il governo israeliano? Puntare soprattutto sulla liberazione degli ostaggi, non impantanarsi in questa guerra contro Hamas che è diventata immediatamente una guerra contro tutti i palestinesi.

Siamo di fronte ad un disastro per Israele e al successo di Hamas. Perché Gaza ridotta dall'IDF (Israel Defense Forces - Forza di Difesa di Israele, ndr) a un cumulo di macerie è una simbolo che a livello mondiale dice in modo semplificato una sola cosa: i palestinesi sono i martiri, gli israeliani sono i carnefici. Lo scontro si fa anche sui simboli. E il simbolo della vittima ha grande impatto emotivo. Appropriarsi del simbolo della vittima è importante oggi come lo fu in passato. Non dobbiamo dimenticare che negli anni Trenta il nazismo si affermò in Germania anche utilizzando una ideologia vittimistica: il popolo tedesco vittima del Trattato di Versailles che l'aveva voluto punire e umiliare. Cosa diremo, dunque, il 27 gennaio, il Giorno della memoria? È certamente sbagliato di fronte al massacro dei palestinesi lo slogan: gli ebrei da vittime si fanno carnefici. Eppure, se prima del 7 ottobre la distanza tra lo sterminio della Shoah e le continue uccisioni dei palestinesi da parte dell'IDF era enorme, oggi c'è un forte imbarazzo a sostenerlo.
Anche perché sempre più negli ultimi decenni lo Stato israeliano ha voluto presentare la Shoah come un suo scudo e uno scudo contro l'antisemitismo. Si è offuscata l'immagine della Shoah come crimine contro l'umanità, che è l'interpretazione più giusta. Israele ha, invece, imposto la sua interpretazione, per cui, se sono vittima (7 ottobre), qualunque cosa io faccia per difendermi è giustificata. Perché noi israeliani siamo gli eredi delle vittime della Shoah.
Bisogna correggere questa visione: dare solidarietà a tutte le vittime del passato ma allo stesso tempo combattere qualunque atrocità di massa. E bisogna anche chiedersi quanto la nostra passività di spettatori rispetto alla tragedia di Gaza ci mette dalla parte dei carnefici, perché è ritrovarsi dalla loro parte senza neppure saperlo.»

Non c'è due senza tre ed ecco allora la terza voce sionista contro il genocidio della popolazione palestinese.
A parlare è David Adler, 33enne ebreo, produttore e sceneggiatore, a bordo della Global Sumud Flotilla per portare gli aiuti nella Striscia di Gaza. Adler, in prossimità della fase più delicata della missione umanitaria, ha scritto un messaggio sui social, comunicato che trascriviamo interamente.
«Saluti dalla Global Sumud Flotilla - scrive Adler – mentre ci avviciniamo definitivamente a Gaza. Oggi vi scrivo una lettera molto personale, una lettera su cosa significhi per me essere ebreo e intraprendere una missione che mi porterà nella Zona Rossa durante lo Yom Kippur, il giorno più sacro del calendario ebraico. Non scrivo quasi mai ‘come ebreo'. Condivido la stanchezza di essere costretto a mettere al primo posto i sentimenti ebraici, quando un genocidio è stato commesso in nome dell''interesse nazionale' sionista e quando gli attivisti sono stati arrestati, torturati e deportati in nome della nostra ‘sicurezza'.
Credo che la scelta di questa flottiglia non sia casuale. Al contrario, ritengo sia una benedizione che l'intercettazione si avvicini all'inizio dello Yom Kippur, il nostro giorno annuale di espiazione, che ci invita a riflettere sui nostri peccati e su cosa possiamo fare per ripararli nello spirito del tikkun olam
(nell'ebraismo un'espressione che indica l'azione per fare il bene della società, ndr). Come possiamo espiare ciò che è stato commesso in nostro nome? Come possiamo chiedere perdono per i peccati che si moltiplicano di ora in ora, mentre bombe e proiettili piovono su Gaza? Come potremmo prendere sul serio il nostro mandato di ‘guarire il mondo' quando lo Stato di Israele è così determinato a distruggerlo?
Se c'è una parte della Torah che ricordo ancora, è questo obbligo che ci impone: ‘Giustizia, giustizia perseguirai'. Come potremmo restare a guardare mentre lo Stato di Israele perverte questo sacro obbligo, sovrintendendo all'olocausto del popolo palestinese? Mi sono unito a questa flottiglia come qualsiasi altro delegato, per difendere l'umanità, prima che sia troppo tardi. Ma durante lo Yom Kippur, mi viene ricordato che sono qui anche perché la mia eredità ebraica lo richiede. Da adolescente, mio nonno Jacques Adler si unì alla resistenza parigina contro i nazisti, rischiando la vita per sabotare le loro operazioni, mentre i suoi amici e familiari venivano mandati a morire nei campi di concentramento. Questa è la tradizione alla quale sono chiamato e la definizione di ‘giustizia' che sento fedele alla mia identità ebraica, poiché la stessa rabbia genocida che ha preso di mira i miei antenati è ora assunta dalle sue principali vittime.
Yom Kippur è un giorno di digiuno, un modo per manifestare la nostra espiazione in forma fisica. Ma negli ultimi due anni, la popolazione affamata di Gaza non ha avuto altra scelta che rinunciare al pane quotidiano. Se le forze israeliane ci intercettassero durante lo Yom Kippur, allora vediamo cosa significa la vera espiazione. Non digiunare in tutta comodità mentre si fanno morire di fame i propri vicini. Non pregare in sicurezza mentre si sganciano bombe sulle loro teste. Espiazione significa azione. Quindi, mentre stasera tramonta il sole e inizia il digiuno, spero che i miei confratelli ebrei si uniscano a me nel ridefinire il loro approccio all'espiazione, insieme alla preghiera silenziosa, e verso un'azione coraggiosa per porre fine a questo orribile genocidio.»


Sugli accadimenti nella striscia di Gaza, non sono queste le uniche voci fuori dal coro. Infatti, dall'ebraismo internazionale si levano altre voci importanti, da Anna Foa (storica italiana) a Edith Bruck (scrittrice e poetessa italiana-ungherese) a Stephen Kapos (ungherese, sopravvissuto all'Olocausto), che dicono con forza: «Non in mio nome!».





Fonte: di Sergio Castelli