COSA RIMANE DELLE IMPORTANTI PROMESSE
DI GIORGIA MELONI
di Sergio Castelli

23-09-2025 -

Il penultimo autunno della premier a Palazzo Chigi, le cose fatte, quelle da fare e le promesse non mantenute. La presidente del Consiglio è smentita dall’Istat sui dati dell’occupazione oggi in Italia.


Giorgia Meloni (nella foto) si gode la sua terza estate a Palazzo Chigi e inizia a vedere il traguardo di fine legislatura, con la soddisfazione di scavalcare tra qualche giorno la durata del governo Renzi e di far diventare il suo il quarto governo per durata nella storia della Repubblica.

Prima del “Meloni” ci sono solo i governi Berlusconi mentre il "Craxi I" (durato 1.093 giorni, ovvero 2 anni, 11 mesi e 28 giorni) sarà superato nella seconda metà di ottobre di quest’anno. Per un'underdog che dieci anni fa guidava un partito del 3,67% (elezioni europee del 2014), qualcosa più di un sogno che si è avverato.
Il penultimo autunno della premier pienamente in sella al suo governo innesca una sorta di conto alla rovescia, quello per cui si mettono in fila le cose fatte e si decide quelle su cui puntare “veramente” (ove per “veramente” si intende “al di là della propaganda ufficiale”) per presentarsi all’appuntamento con la campagna elettorale. Ben sapendo che gli ultimi sei-sette mesi di legislatura non sono quelli in cui si mettono in cantiere azioni particolarmente incisive, non avendo peraltro la premier scartato l’ipotesi di anticipare di qualche mese il voto, “riportandolo” alla sua collocazione naturale della tarda primavera. Quindi giugno 2027.
Diciamo subito che alcune delle grandi riforme che erano state messe in cantiere, meglio, promesse, non si faranno. Le più evidenti sono tre. Parliamo delle pensioni, del premierato e dell’autonomia differenziata, tutte per motivi diversi destinate a restare nel limbo e, nella migliore delle ipotesi, venir rinviate alla prossima legislatura.
Le pensioni sono tornate di attualità recentissimamente dopo le dichiarazioni del sottosegretario al lavoro, il leghista Claudio Durigon, vicesegretario federale della Lega per Salvini Premier e oggi anche sottosegretario di Stato al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, che si è opposto all’aumento dell’età pensionabile previsto per il 2027 e ha promesso il limite di 64 anni come “soglia minima di libertà pensionistica”. Le pensioni sono una storica battaglia della Lega (pensiamo a quante ne ha sempre dette Salvini a Elsa Fornero…) ma al momento non è facile capire quanto le parole di Durigon siano un vero e proprio piano di azione di qui alla “grande riforma” oppure siano un modo per “marcare il territorio” anche rispetto ai propri alleati, per far capire che la Lega non intende mollare l’osso (ossia il tema). Anche perché, come ha fatto subito notare la Cgil, le risorse al momento non ci sono, e non si capisce dove il governo potrebbe andare a prenderle (peraltro c’è anche l’impegno sulle spese militari da onorare).
È probabile che prima delle elezioni qualche aggiustamento sarà fatto, in ogni caso non in maniera punitiva, come invece probabilmente servirebbe. Dal punto di vista elettorale la previdenza è nitroglicerina, e nessun governo vi mette mai mano nell’anno prima di andare al voto.
Anche le altre due riforme di cui parlavamo, premierato e autonomia, sono destinate a restare nei cassetti. La seconda ci ha pensato la Consulta a disinnescarla, alla prima è stato invece messo il silenziatore dalla stessa premier. La Meloni, che è donna perspicace, ha capito che il polverone che si stava alzando nel Paese all’insegna della “vogliono violare la Costituzione”, “vogliono i pieni poteri”, “ecco l’uomo solo al comando” avrebbe potuto esserle fatale, e ha quindi optato per una più prudente via di mezzo. Ossia una riforma elettorale che riprendesse lo spirito del premierato, per concentrarsi invece sull’altra grande riforma costituzionale promessa in campagna elettorale, la giustizia. Che infatti marcia spedita in Parlamento (già due letture, entro l’anno sono previste le altre due) e sulla quale si giocherà la grande battaglia referendaria (senza quorum, nella primavera del ’26). Quanto alla riforma elettorale, il cantiere è apertissimo, e probabilmente entro la fine dell’anno vedrà la luce. È una riforma che trasforma il voto in senso maggioritario, sul modello delle regioni, con l’indicazione del candidato premier e un (limitato) premio di maggioranza.
Tirando le somme e guardando al (prossimo) futuro, le cose da aspettarsi o che perlomeno la Meloni si aspetta sono riforma elettorale e giustizia, rinnovamenti sui quali costruirsi il piedistallo, ossia la conferma elettorale, con la quale, nella prossima legislatura, mettere a segno anche premierato ed eventualmente le pensioni, ancora da Palazzo Chigi o, come dicono i maligni, magari dal Colle più alto. Il parlamento che uscirà dal voto nel 2027 eleggerà infatti il successore di Sergio Mattarella. Che stavolta, proprio no, non darà la propria disponibilità a restare ancora al Quirinale.

Per quanto concerne il lavoro, l’ultima smentita circa le sue affermazioni sull’occupazione nel Paese, Giorgia Meloni l’ha ricevuta dall’Istat che alla fine dello scorso mese di agosto ha comunicato i dati della rilevazione fatta, evidenziando che a luglio 2025 il totale degli occupati si attesta a 24,2 milioni, valore inferiore alle previsioni iniziali per il mese di giugno. Questa modifica pone fine a un’anomalia nella quale si osservava un apparente incremento dei posti di lavoro nonostante una situazione economica stagnante.
Il mercato del lavoro in Italia ha registrato una perdita di 120.000 impieghi. Questo è confermato dall’ultima revisione fornita dall'Istituto Nazionale di Statistica, che ha ridotto le cifre diffuse solo un mese fa. Collettiva, rivista collegata alla Cgil, commentando la notizia riportata dal quotidiano il Foglio, evidenzia che «non si tratta solo di una correzione tecnica: la nuova serie destagionalizzata ridisegna l’intero quadro occupazionale degli ultimi mesi, con effetti significativi sulla lettura delle dinamiche in corso».
A luglio 2025, il totale degli occupati si ferma a 24 milioni e 217 mila, un numero inferiore ai 24,32 milioni previsti per giugno. Questa discrepanza ridimensiona la traiettoria complessiva dell’occupazione, «restituendola a una crescita notevolmente più contenuta e meno vigorosa di quanto fosse apparso». L’effetto del recupero post-pandemia sembra essere ormai al termine. L’espansione occupazionale, calcolata su base annua, è rimasta su livelli deboli, sotto l’1 percento.
Questa revisione chiude l’anomalia per cui i posti di lavoro continuavano a sembrare in aumento nonostante l’economia in stallo. Il nuovo contesto offre una maggiore coerenza tra il trend del PIL e le tendenze occupazionali, a costo di un aggiustamento che riporta indietro la situazione.
Rimane invariata, invece, la tendenza che vede la crescita degli occupati concentrarsi esclusivamente nella fascia over 50: questo è sostanzialmente derivante dalla legge 92/2012, chiamata anche semplicemente riforma Fornero, che il governo Meloni ha confermato, contravvenendo alle promesse elettorali e rendendo ancora più severi i requisiti per le uscite anticipate. Tuttavia, la premier continua a rivendicare l’aumento dell’occupazione sostenendo che dimostra «l’efficacia delle politiche adottate».

Il 29 agosto scorso, il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, in un’intervista al quotidiano la Repubblica, ha affermato che il governo deve restituire in media 1.000 euro a ciascun pensionato e lavoratore: si tratta delle «... tasse in più pagate in questi anni per effetto del drenaggio fiscale, 24 miliardi di maggiore Irpef».





Fonte: di Sergio Castelli