Del matrimonio di Jeff Bezos – celebrato sfarzosamente a Venezia in una tre giorni che ci ha fatto apprezzare più di ogni altra cosa la resistenza fisica dei nubendi e degli invitati, tutti abbastanza avanti con gli anni sebbene in ottima forma – ciò che ci colpito di più è stata la vagonata di idiozie che, per giorni e giorni, i guru della sinistra sono stati capaci di rovesciare addosso non soltanto sui protagonisti, che se ne sono altamente fregati, ma soprattutto sui poveri teledipendenti e, ahimè, sui fortunatamente pochissimi lettori di giornali.
I più alti papaveri dell'intellighenzia progressista – tra cui Gramellini, Serra, Saviano, Cazzullo, etc. che hanno scelto la missione di insegnare, ‘urbi et orbi', come e perché si deve vivere – non avendo niente di meglio di cui occuparsi, si sono cimentati per trovare le parole più incendiarie per infiammare come un mucchio di sterpi gli attivisti No-Bezos.
Un certo Tomaso Montanari – che, ahinoi, è anche il rettore di una Università – ci ha spiegato, dalla sua cattedra politicante, che quel matrimonio non è una questione privata e ha elencato le malefatte del ricco epulone: «da giovedì a sabato Bezos, il terzo uomo più ricco del mondo, con un patrimonio di 215 miliardi di dollari, si prenderà Venezia, privatizzerà acque, isole, chiese, canali, taxi, in un'orgia di esclusività (cioè esclusione) esibita, celebrando l'unico vero potere onnipotente: quello del denaro. Una festa da dieci milioni di euro, con 27 cambi di vestito non solo della fiorente sposa ma anche dello sposo e degli invitati; insomma, armato dei suoi soldi, il sultano Bezos uccide Venezia».
Sulle pagine del ‘Corriere della Sera', un tal Paolo Cacciari – da non confondere con il suo stretto parente e filosofo incazzoso che, nell'occasione, se l'è cavata con un filosofico «non me ne frega niente. Se fossi stato ancora sindaco, ignorerei mr. Amazon!» – ha fatto eco a Montanari ricordando che «Ci sono tanti punti di vista: quello più di pelle è l'ostentazione della ricchezza, un insulto alla miseria e al senso di giustizia. È un dato morale ed etico. Poi c'è una questione strutturale: l'1% della popolazione del mondo possiede il 50% della ricchezza globale: è l'esito del neoliberismo». A chi gli faceva notare che i promessi sposi però avevano fatto una donazione di 3 milioni di euro per la salvaguardia della laguna, questo Cacciari minore ha risposto: «Siamo sicuri che le politiche di salvaguardia del patrimonio culturale possano essere affidate al mecenatismo? Bill Gates è uno dei maggiori finanziatori degli interventi sulla salute in Africa. Ma non è un modo per espropriare i compiti democratici? E tutti ora a omaggiare con il cappello in mano questi ricconi, per qualche briciola che cade dalle loro tasche». Poi Montanari è passato alla morale della favola: la ferocia delle persone che protestavano contro il magnate filo-Trump e filo-Israele è giustificata perché sono le stesse costrette a lavorare per lui spedendo pacchi a destra e a manca. Anche l'ANPI ha giustamente alzato il suo glorioso vessillo della ‘resistenza' e celebrato il rituale del ‘bella ciao' contro l'abuso della ricchezza infinita e la tracotanza dell'invasore occupante: «Non è un matrimonio è un'invasione, così l'imprenditore dice al mondo che comanda lui».
“Il Fatto Quotidiano”, da par suo, e forse memore della facilità con cui i ‘bravi' di Don Rodrigo avevano avuto ragione di Don Abbondio, ci ha dato notizia che, «al matrimonio di Bezos, il dissenso è vietato: 43 persone fermate per un'azione pacifica. Alla fine, la tre giorni del matrimonio di Jeff Bezos e Lauren Sánchez a Venezia è iniziata con un doppio party blindatissimo tra l'isola di Torcello e la chiesa della Madonna dell'Orto, a Cannaregio. Ma anche con un'azione di polizia che è destinata a far discutere ed è già arrivata in Parlamento». Roberto Saviano, pur non essendo il più colto tra i critici, ha colpito nel segno appellandosi direttamente al Medioevo e ha sottolineato come il comportamento di Bezos, in generale e in occasione del matrimonio in particolare, rifletta un atteggiamento di potere e dominio: «Bezos è un "tecno-feudatario", "riempito di arroganza" e "sommerso di denaro"».
Massimo Gramellini si è mantenuto terra terra: «Povero Jeff! Se aveste i soldi di Jeff Bezos, vi sposereste come lui? Prendereste in ostaggio, pardon in affitto, il Canal Grande di Venezia, cinque alberghi a sette stelle (manco sapevo esistessero), decine di yacht e moto d'acqua, guardie del corpo mimetizzate tra le siepi, siepi in cui far mimetizzare le guardie del corpo, ventisette cambi d'abito per la sposa, schiuma party, pigiama party, party a tema Grande Gatsby (che almeno aveva un dolore dentro) e le Kardashian, gli Elton, le Oprah e le Rania di Giordania come pacchetto glamour inglobato nell'offerta? E poi i contestatori, i sosia, i cacciatori di selfie. Con questo caldo. E le zanzare. Tantissime, più degli yacht e persino delle Kardashian. Non so voi, ma se fossi io il promesso sposo e avessi 30 milioni di dollari da buttare, li investirei su un'isola deserta e priva di connessioni web per pagarmi l'unico lusso che non ha prezzo: starsene in pace. Con me vorrei solo mia moglie, senza troppi cambi d'abito (al massimo ventisei). E per i testimoni mi affiderei a ChatGPT».
Aldo Cazzullo, che non disprezza il denaro ed è animato da sani principi sociali, ha messo insieme un po' di tutto e ci ha ricordato che «il denaro non è lo sterco del demonio. Il denaro purtroppo non è, come diceva San Francesco, meno importante dei sassi o della polvere che calpestiamo. Il denaro è molto importante. E noi dobbiamo combattere la povertà, non la ricchezza ... I padroni della rete e della rivoluzione digitale hanno già dimostrato di non arretrare di fronte a nulla: non sono disposti a perdere neanche un'oncia della loro ricchezza in cambio del benessere generale. E non sono disposti neppure a pagare il mitico reddito di cittadinanza, finanziato in realtà dal suddetto ceto medio sempre più impoverito dall'inflazione e dalle tasse. È questo il problema». E, con un certo tormento, ‘cazzullanamente' ha concluso: «gran parte dei soldi spesi da Bezos per sposarsi in laguna non resteranno in Italia: le grandi catene alberghiere sono straniere, proprio come le compagnie aeree. A noi resterà qualche briciola e un po' di mancia». Insomma il miliardario-proprietario dell'hotel Aman, «dove una notte può costare 11.000 euro», essendo uno straniero, «estrarrà la ricchezza del turismo in Italia e a noi resta solo una piccola quota, come in Egitto».
Michele Serra, perdendo il suo solito e affettato aplomb, se l'è presa con le nozze imperiali di Jeff Bezos in laguna: «Venezia è ancora una città o un fondale cinematografico a disposizione di chi paga di più? … un calcolo attendibile della ricaduta positiva del passaggio di Bezos a Venezia qualcuno ha provato a farlo, o si dà per scontato che bastano gli spiccioli che cadono dalle tasche degli sposi e degli ospiti per fare felice il popolo in cerca di mance?»
Esilarante il parere psichiatrico di Paolo Crepet, il terapeuta dei paranoidi di ‘sinistra', il quale, intervistato dal Corriere della Sera, ha allargato la sua riflessione a un'intera visione del mondo occidentale definendo il matrimonio di Bezos-Sanchez «il peggiore esempio che possiamo dare ai giovani …un evento simile comunica ai giovani che tutto è visibilità, tutto è soldi, tutto è finto. Domani uno si sposa a Chioggia e fa tre giorni di festa, come Bezos».
Mi permetto di segnalare al buon Crepet, il quale forse non lo sa, che nella tradizione contadina, soprattutto in Sicilia, per i matrimoni erano previsti da due a tre giorni di festa.
Poi Crepet, che è una sorta di divo televisivo, riferendosi agli sposi chiozzotti, ha continuato dicendo: «Ma prima ha pensato qualcosa? Ha mai letto un libro? Questo è un mondo in cui i padri insegnano ai figli che tutto dipende da quanto guadagnano. È un occidente moribondo e una Venezia da cui Luchino Visconti sarebbe scappato, è Morte a Venezia». E dire che Crepet è un grande sostenitore dei ‘gay pride'.
A proposito! Questi grandi intellettuali hanno dovuto competere anche con un'altra grande intellettuale di sinistra, Ilaria Salis, che ha lanciato un progetto politico ben più ambizioso, articolato e geniale: un progetto che sicuramente ammalierà tutti i cultori della lotta di classe. La Salis non ha dubbi: Bezos va punito per avere speso i suoi milioni a Venezia (altro che ‘morte a Venezia'): «Il problema delle piattaforme [Amazon] non sono le piattaforme in sé ma il capitalismo. E allora cosa possiamo fare, boicottarle? Oppure provare a cambiare il modo in cui queste piattaforme vengono pensate e gestite? Le soluzioni sono due: da una parte la riappropriazione, seppur indiretta, della ricchezza estratta, o meglio sottratta alla cooperazione sociale, cioè dal lavoro, dai dati e dalle relazioni di milioni di persone. Dall'altra c'è un orizzonte più ambizioso: la socializzazione dei mezzi di produzione».
Ci guarderemmo bene dal pensare che il salis-pensiero sia la stella polare del ‘campo largo'. Peccato però che questo ‘campo' manchi financo di una lanterna che lo illumini e che ci dia lumi sulle ‘magnifiche sorti e progressive' che il ‘secol superbo e sciocco' ci riserva e, dunque, non possiamo far altro che fare di ‘tutta l'erba un fascio'.
Questa è una grande lezione che la ‘sinistra progressista' – ‘democratica' ma di ‘sinistra' e aspirante all'egemonia – ci ha impartito e che non dimenticheremo. Mai.