In una sua recente intervista pubblicata su La Stampa di Torino il 12 giugno u.s. Fausto Bertinotti giudica i risultati ottenuti nei cinque referendum sostenuti dalla CGIL una sconfitta.
È interessante un paragone con il referendum sulla Scala mobile del 9 e 10 giugno del 1985.
Allora la battaglia per cancellare nel referendum abrogativo sul mantenimento di tre punti della contingenza venne svolta dal Partito Comunista Italiano al quale si affiancarono Democrazia Proletaria, il Partito Sardo d’Azione e il Movimento Sociale italiano.
Ecco i risultati: 18.399,111 (54,3%) NO, 15.460.855 (45,7%) SI, schede nulle 636.932, schede bianche 476.829. L’affluenza degli elettori fu del 77,85%.
È interessante precisare che furono particolari i risultati; nel Nord ove era maggiore il numero dei lavoratori
| SI | NO |
Nord Ovest | 41.0 | 59.0 |
Zona Bianca | 32.4 | 67.6 |
Zona Rossa | 57.9 | 42.1 |
Sud Isole | 49.7 | 50.3 |
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In particolare i SI conquistarono la maggioranza dei voti validi a Napoli (56%) e a Taranto (55,2%). I votanti furono 34.950.404.
I risultati del referendum del 9 giugno 2025 sono stati molto modesti. I 14 milioni di votanti, come commenta Fausto Bertinotti sono un “abbaglio”.
“La sinistra si occupa solo dei diritti civili” dichiara Bertinotti. È un errore. I diritti sociali sono inscindibili. Si è visto sul divorzio quando si era dentro un ciclo di grandi lotte operaie e studentesche.
Azzeccata la riflessione di Bernie Sanders (ex candidato alle primarie democratiche USA ed esponente dell’ala più a sinistra del Partito Democratico): “i democratici hanno abbandonato i lavoratori e i lavoratori hanno abbandonato i democratici”.
I lavoratori in sé e per sé non sono portatori di emancipazione; sono portatori di istanze, è il lavoratore come classe che fa la differenza, altrimenti resta un individuo come tutti, sottoposto al vento della destra. Insomma il ricorso al referendum è stato un vero e proprio azzardo. Non penso che fosse ignoto ai dirigenti che non avessero avuto visioni di titanismo mobilitativo.
Contrariamente a quanto hanno creduto i proponenti il referendum, il merito dei quesiti è stato determinante per il mancato successo. Quello sulla cittadinanza è stato il risultato più sorprendente, in negativo. Anche nell’area di influenza dell’insieme dei partiti di opposizione, ci sono forti resistenze ad alleggerire le condizioni per dichiarare italiani gli immigrati. Ora, puntare allo ius scholae può essere un modo per raggiungere un risultato intermedio, coinvolgendo soprattutto i più giovani.
Quanto ai quesiti sul lavoro, senza entrare nel merito di ciascuno, sono stati socialmente divisivi sin dall’inizio e questo è stato il motivo più rilevante per evitare che la strada fosse in salita. I partiti di opposizione devono convincersi che sul lavoro non si fanno conquiste significative se, invece di compattare le forze che a esso si riferiscono, si accetta, anche senza averlo scelto, che siano e rimangano divise. Specie se si ricorre a uno strumento così sensibile come il referendum.
Ciò che conta è che non si faccia finta che nulla sia successo e si ricomincia da dove si è perso. Bisogna archiviare ogni tentazione movimentista e costruire una strategia sulle questioni del lavoro. Essa deve riguardare: l’insieme delle politiche fiscali per realizzare un vero sistema dove si paga meno ma si paga tutti; il potenziamento dell’assetto delle imprese per frenare il nanismo imprenditoriale, anche anticamera di un’occupazione a bassi salari; il rafforzamento delle politiche formative, di riqualificazione e di gestione degli orientamenti per l’incontro tra domanda e offerta del lavoro; il contrasto concreto del lavoro povero e precario, anche semplificando gli istituti contrattuali finora in voga; il sostegno legislativo alla contrattazione collettiva, definendo un regime di certificazione della rappresentanza sindacale delle parti sociali, che deve rimanere libera, plurale ed espressione della volontà delle lavoratrici e dei lavoratori.
Si deve essere capaci di costruire una coalizione che sappia governare non alla maniera della destra, che ha come stella polare la conservazione del potere, ma perché si ha credibile impostazione riformistica, solidaristica e di alleanza tra ceto medio e poveri.
Tutto ciò, implica che ci sia una precisa volontà; ascoltare tutte le istanze, metterle al confronto, trovare soluzioni soddisfacenti anche se non unanimi, farle diventare patrimonio delle persone che chiedono alle forze politiche ora all’opposizione di essere dotate di proposte ben definite unitariamente.
Non basta parlare ai lavoratori, bisogna confrontarsi con loro; occorre avere la capacità di trasformare la protesta in proposta.
È passato il tempo degli agitatori, non ci sono rivoluzioni da fare, è necessario realizzare riforme, applicare la Costituzione, rimuovere gli ostacoli che impediscono l’esercizio dei diritti sociali e politici. Lo scenario italiano ed internazionale è molto complesso. Ci sono molti rischi. Ma ci sono molte opportunità.
Pietro Ichino in un suo recente libro curato da Francesco Alifano (“Mezzo secolo di diritto del lavoro”) ha ricordato che lungo l’Alzaia del Naviglio Grande a Milano si vedono ancora i piani inclinati di cemento e di pietra dietro i quali nell’Ottocento e ancora fino alla metà del Novecento centinaia di lavandaie si inginocchiavano per svolgere il loro lavoro durissimo, con le mani nell’acque gelide proveniente dal Ticino. Nei decenni successivi l’avvento delle lavatrici, intese come elettrodomestici, spazzò via tutte quelle lavandaie, ma esse si riconvertirono abbastanza rapidamente in operaie di fabbrica, dattilografe, cameriere e altro.
Dall’inizio della rivoluzione industriale, l’innovazione tecnologica ha rivoluzionato il modo di essere del lavoro, rendendolo meno faticoso, meno pericoloso e più produttivo. Come le lavandaie, anche i taglia ghiaccio, gli addetti ad accendere i lampioni e a bussare alle porte per svegliare i lavoratori di mattina, i maniscalchi, gli spacca pietre e molte altre figure di lavoratori non esistono più da tempo, ma da allora il tasso complessivo di occupazione è dovunque aumentato, non diminuito.
Occorre avere coraggio, passione, impegno. È inutile continuare a lamentarsi, occorre passare all’azione. È vero ci sono delle sconfitte. Non le possiamo nascondere. Dobbiamo operare come fece Giustizia e Libertà. Non mollare. Mai arrendersi. Mai rassegnarsi.
John Kennedy a chi gli diceva una volta divenuto presidente degli Stati Uniti se aveva paura rispose “NO, non ho paura del futuro... ho paura solo di avere paura!!!”