CARISMA E LIMITI DI FRANCISCUS
di Giuseppe Butta'

26-05-2025 -

Il giorno di Pasqua mi ero inchinato alla benedizione di Papa Francesco e al suo giro in piazza – che mi sembrò coraggioso e, insieme, per lui pericoloso viste le precarie condizioni di salute – per salutare i fedeli. Il giorno dopo, alla notizia della sua morte, quasi inattesa perché sembrava che i lunghi 38 giorni trascorsi in ospedale avessero allontanato per lui questo momento che tutti attendiamo, mi sono detto: è morto da vivo.

Ho pensato che, se fosse morto in ospedale, la sua morte ci avrebbe impressionato di meno e che, in un certo senso, quel giro in piazza fosse stato un gesto simbolico, quasi un ‘Calvario'.

Ma che cosa resta di Papa Francesco? Egli ha avuto una grande capacità di porre al mondo, con una franchezza spesso imbarazzante ma sempre in buona fede, i grandi temi che impegnano la nostra vita terrena spingendo ciascuno di noi a interrogarci nel profondo: il grande appello alla fraternità, alla misericordia, alla pace, all'accoglienza dei migranti, alla cura della natura e di quegli ‘ultimi' che sono stati convocati per accoglierlo all'arrivo della sua salma in Santa Maria Maggiore; che cosa resta del Papa che lasciò l'appartamento pontificio nel Palazzo Apostolico per un alloggio più modesto in Santa Marta?

Papa Bergoglio ha lasciato una eredità di ‘gesti' che, nella sua intenzione, dovevano essere simbolici di qualcosa di sacro ma, in realtà e in primo luogo, esprimenti un suo forte, personale bisogno di distinguersi dai suoi immediati predecessori, sia pure santi: Giovanni XXIII – il quale non temette che la Tiara e la ‘portantina' gli facessero perdere di umanità prima che di santità e che seppe dare al popolo cristiano il grande Viatico del Concilio – o Paolo VI – che pare abbia scritto per Pio XII le famose parole «Nulla è perduto con la pace! Tutto può esserlo con la guerra» e che però anch'egli si fece incoronare con la Tiara, oggi conservata nel National Shrine of Immaculate Conception a Washington, e non fu ultimo per misericordia e carità – o Giovanni Paolo II – che era stato un umile operaio in una cava di pietra, il quale non vide negli appartamenti papali da lui abitati un segno di distinzione aristocratica che lo potesse allontanare dal popolo di Dio e si fece anzi un grande evangelizzatore globetrotter – o Benedetto XVI, il quale ebbe perfino il coraggio di dimettersi vivendo nascosto al mondo in un monastero del Vaticano pur essendo il grande ‘defensor fidei' contro quella che egli chiamò la dittatura del relativismo del nostro tempo. Per non parlare di Giovanni Paolo I che non ebbe il tempo di mostrarci i suoi grandi tesori di fede.

Insomma, Bergoglio è stato un Papa che ha compiuto gesti talvolta importanti, talaltra mediatici, spesso autoritari ma con qualche inclinazione alla flessibilità e al compromesso come quando ha accettato la ‘consultazione' con Pechino sulle nomina dei vescovi in Cina, quasi sempre eclatanti e, anche, discutibili specialmente se completamente politici: gesti che ci ha lasciati anche nell'atto della estrema sua presenza nel mondo, con l'ultima immagine del suo corpo nella bara – semplice e, allo stesso tempo, sfarzosa – con ai piedi le scarpe nere, vecchie, invece delle babbucce papali, anche questo un ultimo ‘gesto' distintivo; con il funerale ‘sobrio' – da lui stesso progettato per una semplicità rimasta interamente sulla carta come la quadratura del cerchio e che, appunto, semplice non poteva essere ma regale e celebrato in latino, lingua proibita per tutti gli altri – conclusosi in una lunga processione e in un bagno di folla fino a Santa Maria Maggiore dove, per sua scelta, è stato sepolto in un sepolcro ‘semplice' – con una lapide appositamente e tempestivamente ritirata dalla Liguria recante l'iscrizione, anche questa semplice, ‘Franciscus' – però aperto alla quotidiana visita dei fedeli, e dei turisti di passaggio; quindi non in un luogo meno accessibile come nel buio delle catacombe di San Pietro dove riposano gli altri Papi.

Temo che questa retorica della ‘semplicità' non aiuti molto a comprendere la sua personalità'.

Alla vigilia del Conclave che doveva eleggere il suo successore, c'era chi, come il Cardinale Müller, parlava del pericolo che i Cardinali – di cui quelli nominati da Papa Francesco in poco più di 12 anni rappresentano la stragrande maggioranza (108/135) – potessero eleggere un Papa addirittura ‘eretico' e portare a una “catastrofe” per l'unità della Chiesa. Il cardinale Müller, ricordando che «ogni Papa non è un successore del suo predecessore ma un successore di Pietro», auspicava perciò che il Conclave non si sentisse obbligato a proseguire nella linea del precedente pontificato e criticava diverse iniziative di Papa Francesco, tra cui la benedizione delle coppie omosessuali e un'apertura eclettica al dialogo interreligioso che, per Müller, hanno messo a rischio la dottrina tradizionale della Chiesa. Müller ha anche espresso preoccupazione per l'influenza dei media e delle élite secolarizzate sulla Chiesa.

Ora, non v'è dubbio che Francesco, come i suoi predecessori, volesse promuovere il dialogo interreligioso e lo spirito di apertura necessario per intendere il mondo contemporaneo. Ma ciò che ha fatto discutere della sua dottrina ecclesiale non è tanto l'annuncio che la Chiesa deve accogliere tutti, peccatori compresi – che è la sua missione antica – quanto il modo in cui fu questo annuncio fu strumentalizzato e inteso. Senza che Francesco lo volesse, molti dei suoi ‘gesti' hanno infatti incoraggiato – ma non evangelizzato – i cosiddetti progressisti, anche atei, che non solo oggi, dopo la sua morte, ma anche prima, quando egli si apriva al ‘mondo' – per esempio con le indimenticabili telefonate con Eugenio Scalfari, il quale, stanti le «‘decine' di incontri, telefonate e messaggi» avuti con lui, quasi pretendeva al ruolo di esegeta ufficiale del Papa e credeva che le sue ‘glosse' valessero quelle di un ‘dottore della chiesa', ateo – hanno cercato di impossessarsi della sua figura e di strumentalizzarne politicamente le idee e le azioni:

Bergoglio, nella sua lettera indirizzata a Scalfari nel 2013, concedeva a questi il punto dicendo che era venuto ormai il tempo di superare l'incomunicabilità «tra la Chiesa e la cultura d'ispirazione cristiana e la cultura d'impronta illuminista». Ma bisogna anche aggiungere che tali aperture spesso hanno spalancato le porte a fraintendimenti che hanno turbato le coscienze di molti cristiani Sui problemi etici, in effetti Francesco dette l'impressione di essere alla ricerca di qualche compromesso con le esigenze della società ‘progressista', la società del ‘gay pride', perché la grande pubblicità che venne data alle sue aperture sugli omosessuali oscurava di gran lunga i suoi documenti dottrinali – la cui circolazione non arriva massicciamente al grande pubblico – in cui, come in Fiducia Supplicans, egli precisava con fermezza: «La benedizione è per tutti: si può benedire ogni persona, ma non l'unione omosessuale».

Si veda per esempio il grande dibattito in morte di Papa Francesco che abbiamo avuto la ‘sfortuna' di dover seguire nel nostro Parlamento repubblicano, in cui destra e sinistra si sono scambiati l'accusa di ipocrisia opportunistica perché, pur professandosi ‘franceschiani', tradiscono l'insegnamento del Papa: la prima non accettando il principio dell'accoglienza, l'altra facendo di aborto, suicidio assistito, lgbqt+ il programma distintivo e la cifra del progressismo.

Francamente non saprei dire quale delle due parti sia più ipocrita.

E le posizioni, o illusioni, coltivate da Francesco su temi di carattere politico hanno suscitato non poche perplessità e giustificato le reazioni dei vari schieramenti politici: la politica di Bergoglio era in effetti minata dalla obliqua inclinazione verso una teologia che, se non era quella della ‘liberazione', era quella ‘teologia del popolo' fondata sulla piuttosto ambigua distinzione fra ‘lotta di classe', al centro della teologia della liberazione, e lotta tra ‘popolo' e ‘anti-popolo' in uno sforzo di ‘dis-occidentalizzazione' che va molto al di là delle giuste critiche che – dal punto di vista evangelico – il Mondo Occidentale meriterebbe sul piano dell'etica individuale e di massa prima ancora che sul piano politico-economico.

È proprio da questa radice teologico-politico-culturale che nascevano sia l'orientamento del Papa in tema di populismo, in cui egli trova i limiti delle visioni liberali, sia la grande contraddizione in cui cade la sua Enciclica Fratelli tutti quando invoca il superamento di quelle ‘politiche sociali' «verso i poveri» ma che non sono «mai con i poveri, mai dei poveri … senza [i poveri] la democrazia si atrofizza … perde rappresentatività, perché lascia fuori il popolo nella sua lotta per la dignità». È questa una definizione della democrazia che tutti sottoscriveremmo se non sottintendesse scelte politiche discutibili, anzi controproducenti rispetto alla giusta finalità di questo disegno comunitario.

Vi sono, nell'Enciclica, riflessioni su problemi ‘politici' – dalla ‘cura del pianeta' alla ‘fame nel mondo' – sulle quali meditare per trovarvi ispirazione: il Papa ci ricorda che la cura delle persone viene prima dell'economia e che, a fronte alle grandi crisi politiche, all'ingiustizia e alla «mancanza di una distribuzione equa delle risorse naturali, … regna un silenzio inaccettabile».

Come non essere d'accordo con un tale alto richiamo e con quella che Papa Francesco chiamava la ‘buona politica' da lui definita come una «delle forme più preziose della carità»? Ma, per Papa Francesco, «Neppure questo basta!» Infatti non gli bastava la dottrina della Rerum novarum e, non bastandogli questa, sembrava che la sua ‘teologia del popolo' tornasse alla ‘lotta di classe'.

Detto con umiltà, la dottrina economica del Discorso al consiglio per un capitalismo inclusivo di Francesco scopre l'acqua calda: tutti vorremmo che l'umanità tutta godesse delle cure, dei mezzi e degli alimenti necessari alla vita; per raggiungere un tale obiettivo è però necessaria un'economia funzionante, sia pure soggetta a regole anti-sfruttamento e a una funzione sociale della proprietà e dell'impresa, altrimenti, non essendo noi in grado di ‘moltiplicare i pani e i pesci', faremmo esattamente il male dell'umanità: la condanneremmo, tutta, alla scarsità. Certo siamo d'accordo con il Papa quando dice che non si possono esaltare modelli economici che «concentrino il loro interesse immediato sui profitti e su politiche pubbliche che ignorano il proprio costo umano, sociale e ambientale»; siamo d'accordo quando spiega che l'aiuto migliore per un povero non è il sussidio bensì il lavoro, ma non possiamo nascondere che, in qualche punto della sua predicazione, emerge un po' di quel ‘populismo insano' che Francesco giustamente critica distinguendo tra «leader popolari capaci di interpretare il sentire di un popolo … le grandi tendenze di una società … [da chi, invece] degenera in insano populismo … allo scopo di strumentalizzare politicamente la cultura del popolo … al servizio del proprio progetto personale di potere».

Se è vero che economia sana significa, come dice Francesco, molto più che far quadrare i bilanci, migliorare le infrastrutture, etc., è pure vero che essa non può fare a meno di quell'equilibrio tra ‘produzione', ‘lavoro', consumi', ‘profitti', senza il quale non vi sarebbe attività economica né ‘cura della persona' o dell'ambiente. Sono concetti antichi, smithiani, da ‘ricchezza delle nazioni', che si sono sviluppati nella storia e che, con tutti gli errori e gl'inceppamenti che conosciamo, hanno consentito a fasce sempre più larghe della popolazione del pianeta un relativo benessere, le quattro libertà di Roosevelt, il ‘welfare state' di Beveridge: un modello economico-sociale-politico che, seppure oggi necessiti di aggiustamenti, non va rovesciato in forme utopiche o nell'aspirazione a quell'economia della pace che dovrebbe fare a meno dell'industria ‘capitalistica' degli armamenti (forse senza toccare quella cinese o iraniana o quella rudimental-tecnologica dei vari terrorismi). Alla fine, la politica economica attiva di cui Papa Francesco parlava è, a dir poco, statalismo allo stato puro, le cui conseguenze negative conosciamo tutti.

Né l'accoglienza illimitata dei migranti – invocata nell'Enciclica – è veramente utile per il raggiungimento dell'alto scopo dell'accoglienza. Di questa soluzione impossibile si è fatto portatore il Cardinale Re che, parlando di muri e ponti e di Lampedusa, guardava con occhio torvo il Presidente Trump seduto di fronte a lui durante i funerali del Papa.

Gli irriducibili anti-occidentalisti (Papa Francesco era tra questi?) auspicano l'accoglienza illimitata come nemesi e redenzione dalle colpe ‘imperialistiche' dell'Occidente. Il problema però non si risolve punendo il deprecato ‘Occidente capitalista' bensì governando il processo migratorio per evitare che l'ondata migratoria si abbatta tutta sulla nostra generazione e su pochi paesi mentre ci sono molti paesi in grande espansione economica – come la Cina che, forte della sua Grande Muraglia non solo fisica ma anche politica, non ha certo bisogno di costruire nuovi muri – che tengono ben serrate le porte. Se si vuole l'accoglienza, si deve ripartirne il peso su tutti i paesi e impedire che una pressione migratoria insostenibile scateni un conflitto internazionale e un conflitto interno, razziale e sociale.

Anche sul problema della pace, Papa Francesco ha mostrato il suo lato anti-occidentale, soprattutto anti-americano, quando, con un linguaggio poco ‘curiale', ha detto che «l'abbaiare della Nato alla porta della Russia ha indotto il capo del Cremlino a reagire male e a scatenare il conflitto. Un'ira che non so dire se sia stata provocata ma facilitata forse sì».

Volendo andare a Mosca per perorare la pace, forse il Papa pronunziò quelle parole esplosive sulla NATO per ammorbidire Putin: infatti, offrirono uno slogan alla propaganda russa che dette grande rilievo a quelle parole di Francesco; peccato che queste parole non siano bastate a muovere il cuore di Putin e neppure quello del Patriarca Cirillo, il ‘chierichetto di Putin', come lui lo chiamava. L'incontro tra Trump e Zelensky a San Pietro quasi davanti al feretro del Papa è forse un segno, è forse un frutto delle preghiere di Francesco. Per questo non cesseremo mai di essergli grati come non cesseremo di credere che la pace eterna non è di questo mondo. Anche se la storia insegna che le belle parole non sono sufficienti per porre fine all'inutile strage, continuiamo a sperare che quelle del Papa possano avere qualche effetto anche se, forse, la povera Ucraina dovrà accontentarsi del molto precario e ingiusto ‘lodo Trump'.

La stessa cosa va detta per l'altra cruciale partita che si sta giocando in Medio Oriente. La guerra di Gaza è senza dubbio orrenda ma ancora più orrendo sarebbe il futuro di quelle genti – ebrei e palestinesi e noi stessi – se non si fermasse il disegno perverso che sembra esservi dietro Hamas: per la pace a Gaza serve poco negare a Israele il diritto alla propria sicurezza cercando di impedirgli di sradicare i terroristi di Hamas, eterodiretti dagli ayatollah, e consentendo a questi ‘cani', come li ha chiamati Abu Mazen, di farsi scudo della popolazione inerme nascondendosi nei tunnel. Basteranno gl'incitamenti del Papa alla pace? Basta solo condannare Israele? O non è forse necessario che si denunci anche il cinismo criminale di Hamas e che gli si chieda di arrendersi e liberare gli ostaggi senza condizioni?

Le ricordate dichiarazioni del Cardinale Müller evidenziano le tensioni tra le correnti conservatrici e quelle progressiste, qualunque cosa queste categorie possano significare per una Chiesa fondata sulla roccia della fede, con i suoi 10 comandamenti, e non su norme adattabili alla morale dell'uomo ‘errante'.

Il Conclave – che si preannunciava come un momento cruciale per il futuro della Chiesa cattolica per evitare divisioni, politiche oltre che dottrinali, che potrebbero minarne l'unità – ha fatto una scelta le cui conseguenze sono imprevedibili. Questa sfida è ora davanti al nuovo Pontefice, a Leone XIV, a questo agostiniano che conosce la ‘città di Dio' e la ‘città terrena', al missionario che ha davanti a sé il campo vastissimo di una società scristianizzata e che si guarderà bene dal farsi ridurre a un anti-Trump come, fin dalla sua prima apparizione sulla Loggia di San Pietro, il mainstream della stampa italiana sta cercando di fare con la speranza di farne anche un anti-Meloni.

Le prime parole pronunciate dal Papa certo non bastano per poter prevedere la sua opera futura; è sicuro però che a guidarlo sarà la ‘Rerum novarum' e non la ‘teologia del popolo' e che andrà avanti con la Chiesa ‘in uscita', ma ‘con juicio', senza perdere la ‘bussola' nelle nebbie del secolarismo ‘relativista'. Per far questo gli basterà la fede; gli basterà ribadire, ex cathedra, quello che diceva qualche anno fa ai suoi concittadini di Chiclayo – «Defendamos la vida humana en todo momento!» – e quello che ora, da Papa, ha detto sulla ‘famiglia naturale'.

Checché ne dicano i ‘sommi sacerdoti' della nostra ‘sacra' Corte costituzionale che possono dare a un bimbo due madri e nessun padre e viceversa e non escludono che, un domani, il nostro altrettanto sacro legislatore ci possa regalare una famiglia ‘allargata' oltre ogni immaginazione!






Fonte: di Giuseppe Butta'