DONALD TRUMP
L’AMARO BILANCIO DEI SUOI PRIMI 100 GIORNI
di Giulietta Rovera

20-04-2025 -

Alla vigilia del suo insediamento, Donald Trump ha promesso di offrire "i primi 100 giorni più straordinari di qualsiasi presidenza nella storia americana". In realtà questi primi 100 giorni si stanno rivelando più che straordinari, sorprendenti per la loro frenesia e irrazionalità. Già nel primo mese del suo secondo mandato, ha infatti emesso una serie di ordini esecutivi con un ritmo mai raggiunto da nessun altro Presidente statunitense a memoria d’uomo. Era evidente che il 47esimo Presidente degli USA aveva dato il via a una serie di misure politiche per rimodellare radicalmente gli Stati Uniti. E non solo.

Ciò che ha destato maggiore apprensione è stata la decisione annunciata il 2 aprile, il cosiddetto “giorno della liberazione”, di imporre dazi punitivi a tutti i Paesi del mondo, ovvero ai partner commerciali “che si sono approfittati di noi”. "Per decenni il nostro Paese è stato saccheggiato, violentato e depredato da nazioni vicine e lontane, sia da alleati sia da nemici", ha detto Trump. Le tariffe doganali variano a seconda dei Paesi: Europa 20%, Giappone 24%, Vietnam 46%, Cina 145%, cui Pechino risponde con dazi del 125% sulle importazioni statunitensi e con il blocco delle esportazioni di terre rare da cui dipendono le industrie high-tech e della difesa statunitensi. La sola situazione di stallo tra Stati Uniti e Cina avrà effetti enormi sull’economia mondiale in generale, e su entrambi i Paesi in particolare. In parole povere, le due maggiori economie del mondo non fanno più affari tra di loro. Giustificandolo con le politiche tariffarie di Trump, il presidente cinese Xi dà immediatamente il via a un tour negli Stati del sud-est asiatico, sperando di legarli all'orbita di Pechino e sganciarli dagli USA. E da come stanno andando le cose, sembra che ci stia riuscendo.

Con l’arma dei dazi renderò di nuovo ricchi gli Stati Uniti, proclamava Trump. Ma le cose non sono andate come il Presidente auspicava. L'annuncio dell’imposizione delle tariffe doganali provoca infatti crollo dei prezzi delle azioni statunitensi, svendita delle obbligazioni e caos valutario che cancellano nel giro di pochi giorni migliaia di miliardi di dollari di ricchezza, nonché timori di una recessione globale. Tutti segnali che dovrebbero indurlo a fare un passo indietro. “LE MIE POLITICHE NON CAMBIERANNO MAI”, scrive sulla sua piattaforma social Truth. Ma il 9 aprile è costretto ad annunciare una moratoria di 90 giorni. Permangono ancora dazi ingenti su Cina (al 145%), Canada e Messico (entrambi al 25%), così come su tutte le importazioni statunitensi di acciaio, alluminio e automobili (anch'esse al 25%). L’11 aprile, nuova inversione di rotta: i dazi, compresi quelli imposti alla Cina, non si applicheranno a smartphone e computer - gli esperti l’avevano avvertito che avrebbero potuto causare un'impennata dei prezzi dell'elettronica di consumo negli Stati Uniti. L'improvviso cambio di strategia -sostiene Trump- fa parte di un piano economico generale per obbligare i leader mondiali "a baciarmi il culo", per usare le sue parole, pur di raggiungere accordi. La verità è che di fronte a un'aggressiva svendita sul mercato obbligazionario e alla prospettiva di una recessione, non ha avuto altra scelta. Subito dopo l’annuncio della tregua, i mercati azionari risalgono, ma è un sollievo temporaneo. La volatilità permane. La borsa riprende a scendere, il dollaro crolla, il prezzo dell'oro – il bene rifugio in caso di turbolenze – sale raggiungendo quotazioni record.

La mossa tariffaria di Trump ha dato il via alla guerra commerciale e all'instabilità del mercato e i suoi effetti si ripercuoteranno in tutto il mondo. I dazi doganali estremi imposti dagli Stati Uniti alla Cina -uno dei due maggiori detentori del suo debito - indurranno i paesi terzi a rivolgersi ad altri mercati, compreso quello cinese, il cui punto di forza sono le esportazioni a basso costo. Non solo. E’ dalla Cina che gli Stati Uniti ricevono beni vitali che non possono essere sostituiti a breve termine o prodotti internamente a costi inferiori. Ma soprattutto Trump ha provocato un’improvvisa perdita di fiducia nella moneta statunitense. Le sue azioni stanno accelerando l'erosione del dominio del dollaro e daranno origine a una volatilità dei mercati molto maggiore a livello globale. Critico nei confronti dell’introduzione dei dazi si è dichiarato Jerome Powell, presidente della Federal Reserve - la banca centrale americana. Se la situazione non cambia, ha affermato, potrà verificarsi un aumento dell’inflazione e un calo dell’occupazione. Trump, che da Powell si aspettava una diminuzione dei tassi di interesse e non una critica, ha reagito furibondo chiedendone le dimissioni - cosa che non può fare.

Gli ultimi avvenimenti hanno indebolito la credibilità e l’autorità del neoeletto Presidente USA. La fiducia è scomparsa, sostituita dall'incertezza. Con le sue mosse avventate, non solo ha sconvolto il commercio globale, ha anche smantellato l'alleanza occidentale. La Cina, la grande nemica, anziché indebolita dalla turbolenza causata dalla guerra delle tariffe doganali, ne esce rafforzata. Una volta passata la tempesta, apparirà come un partner più prevedibile e affidabile degli Stati Uniti. Non solo. Anziché risolvere i conflitti in atto, come promesso in campagna elettorale, Trump ha dichiarato guerra a democrazia, sanità, alle organizzazioni giornalistiche che criticano le sue politiche, all’ istruzione, tagliando miliardi di dollari alle università più prestigiose del mondo - Harvard, Columbia, Johns Hopkins. E’ convinto che il mandato ottenuto dagli elettori lo abbia reso onnipotente e infallibile. Sbaglia. Non è casuale che comincino a manifestarsi segni di insofferenza. Il senatore del Vermont Bernie Sanders, un indipendente che vota con i Democratici, ha dato inizio a un tour di comizi nelle capitali statunitense che stanno attirando folle da record, durante i quali invita a protestare contro Trump e “a riprendersi l’America”. La Cina si è rifiutata di fare marcia indietro. Harvard ha sfidato il regime, criticando il suo tentativo di interferire con la libertà accademica. Jerome Powell, capo della FED, non ha ceduto alle minacce. Perfino la Corte Suprema si è ribellata.

Per il momento, la linea politica dell’Europa è quella di non ricorrere a misure di ritorsione e cercare una via d’uscita grazie alla trattativa. In questo senso va vista la visita del 17 aprile del premier italiano Giorgia Meloni. Trump l’ha accolta alla Casa Bianca a braccia aperte, l’ha definita "grande talento", "uno dei veri leader del mondo". La ragione di questo entusiasmo è facilmente intuibile: li accomuna la stessa visione politica del mondo, lo stesso impegno nella lotta all’immigrazione e all’ideologia woke. Al suo ritorno in Italia, Giorgia Meloni poteva essere fiera di aver ha rafforzato il legame personale che la lega a Trump. Ma la speranza di concludere un accordo commerciale tra Unione Europea e Stati Uniti, prima della fine della pausa di 90 giorni sui dazi più elevati, è andata delusa.





Fonte: di Giulietta Rovera