L’OPERA DA TRE SOLDI DI WASHINGTON
di Andrea Becherucci

20-04-2025 -

Ogni giorno che passa siamo costretti ad assistere a un nuovo capitolo delle mattane dei membri dell’amministrazione Trump in un succedersi di quadri che richiamano l’ambientazione e il soggetto dell’Opera da tre soldi di Bertolt Brecht dove Donald Trump veste i panni di Mackie Messer. Impossibile o quasi, selezionare alcuni fra gli episodi più significativi di questo modo di gestire il potere in una serie quasi infinita di circostanze che si segnalano per disprezzo degli usi correnti, volgarità, prevaricazione ma anche conclamata incompetenza.

Non mancano davvero i motivi di preoccupazione. Dopo soli novanta giorni dall’inizio del suo secondo mandato, Trump ha sconvolto non solo l’ordinamento interno degli Stati Uniti ma l’ordine globale su cui si è retto il mondo per ottant’anni. Il personaggio è quello che tutti conosciamo. Nessuno può, in buona fede, dire di essere stato sorpreso dal comportamento di Donald Trump anche se, bisogna ammettere, ci sono differenze sostanziali tra il primo mandato (2016-2020) e quello in corso. Nel primo mandato a un’innegabile inesperienza del neopresidente si univa la presenza nell’amministrazione di uomini e donne ancora legati al partito repubblicano che contribuivano a temperarne gli eccessi. Viceversa, in questa seconda esperienza, una conoscenza più approfondita della “macchina” governativa e la presenza di un gran numero di aderenti al movimento MAGA – fedeli più al presidente in carica che alla Costituzione – hanno finito per travolgere gli istituti di garanzia e ridisegnare i limiti del potere presidenziale.

Non c’è ambito in cui questa nuova tendenza non si sia esercitata. Dalla politica interna (lotta all’immigrazione illegale, tagli alle spesa) a quella internazionale, ogni tavolo è stato rovesciato allo scopo d’imporre nuove regole.

Si può senz’altro accusare l’Unione europea e i paesi che ne fanno parte di non aver previsto per tempo le conseguenze di un atteggiamento del genere e, conseguentemente, di non avere preparato adeguate contromisure. Estote parati raccomanda una citazione evangelica, eppure nessuno sembra averla seguita.

E’ pur vero che dopo circa tre mesi dal suo insediamento è legittimo trarre le prime conclusioni sull’approccio muscolare che Trump ha imposto nei rapporti internazionali. Sembrava che in un batter d’occhio dovessero cessare la guerra russo-ucraina e il conflitto israelo-palestinese. Abbiamo visto come sono andate le cose con Zelensky e con Putin col quale Trump sembra avere trovato una comunione d’intenti mentre a Gaza Netanyahu ha ricominciato a bombardare i civili come se non ci fosse un domani.

La guerra dei dazi riempie le pagine dei giornali e chissà per quanto tempo lo farà ancora. Nessuno al momento ha capito se dietro quest’atteggiamento c’è un disegno complessivo o se è frutto dell’ennesima mattana del presidente. Pare evidente che la guerra commerciale sia stata scatenata da Trump contro la Cina e che l’Europa sia, in questo senso, solo una vittima collaterale. L’obiettivo del presidente USA di riportare la manifattura di beni di consumo entro i confini degli Stati Uniti non ha possibilità di realizzarsi perché la Cina fornisce ormai questo tipo di beni a tutto il mondo a prezzi enormemente inferiori di quanto potrebbero fare gli USA. E’ bene tenere a mente che la Cina produce il 30% di tutti i beni di consumo prodotti nel mondo.

L’Unione europea ha davanti a sé poche armi per difendersi. Nell’immediato può affidarsi a un negoziatore di prestigio che sia riconosciuto da Trump come un interlocutore affidabile (non sarebbe riconosciuto come tale un commissario) mentre nel lungo periodo dovrebbe pensare a ricostruire efficienti filiere di prodotti di largo consumo sul suo territorio e a diversificare le fonti di approvvigionamento energetico (in questo senso si renderà necessario anche riaprire il discorso sulla produzione e l’utilizzo dell’energia nucleare).





Fonte: di Andrea Becherucci