"JAVIER MILEI: UN OUTSIDER ALLA GUIDA DELL'ARGENTINA"

22-12-2023 -

All’inizio del XX secolo, l’Argentina godeva di un’economia in rapida espansione. La nuova repubblica, con le sue vaste risorse naturali, era due volte più ricca del suo ex padrone coloniale, la Spagna. Nel 1910, quasi il 4% di tutto l’oro del mondo era custodito nei caveaux delle banche di Buenos Aires. Paese innovativo e imprenditoriale, esportatore di grano e carne bovina, accoglieva immigrati provenienti dalla Spagna e dall’Italia, che qui trovavano lavoro e benessere. Decenni di politiche populiste e di malgoverno hanno posto fine ai suoi giorni di gloria. Dal 1930 al 1983, una serie di colpi di stato hanno portato al governo militare alternato a quello civile, minato lo stato di diritto e gli investimenti, stimolato l’inflazione e ridotto il tenore di vita. Oggi, nonostante sia tuttora la terza economia più grande dell’America Latina, si trova sull’orlo della crisi più drammatica della sua storia. La banca centrale ha quasi esaurito le riserve, l’inflazione - accelerata dalla pandemia di Covid, dalla contrazione delle scorte alimentari globali, dalla siccità che ha portato a un forte calo della produzione agricola, dall’aumento dei costi energetici e dalle ricadute economiche della guerra della Russia all’Ucraina - è vicina al 150%. In quattro anni la moneta ha perso il 90% del suo valore. Due quinti della popolazione versa in povertà. La metà degli argentini beneficia di una qualche forma di sussidio, ma il valore della maggior parte di tale assistenza è stato eroso dall’inflazione. L’inflazione è una realtà con cui gli argentini convivono da mezzo secolo; ancora oggi, la banca centrale del paese continua a stampare denaro per far fronte all’inesorabile deficit fiscale, mentre deve miliardi di dollari al Fondo monetario internazionale. La spesa pubblica, che sfiora il 40% del Pil, è troppo elevata rispetto a una base imponibile impoverita dall’economia sommersa. Le esportazioni dovrebbero dare un grande contributo alla crescita di un’economia ricca di risorse, ma un ampio protezionismo commerciale lo impedisce. Essendo uscita solo di recente dal nono default del debito sovrano della sua storia, non può contrarre prestiti sui mercati internazionali dei capitali. Nel 2022 ha firmato il suo 22esimo programma di salvataggio con il Fondo monetario internazionale, ma ha mancato tutti i suoi obiettivi: fiscali, monetari e di accumulo di riserve. Un terzo degli argentini con lavoro a tempo pieno sono impiegati statali, che riescono a stento a sopravvivere. Chi gode di salari più alti, non appena viene pagato, cambia i pesos in dollari USA o in qualsiasi valuta che si svaluta meno del peso. I giovani, che un tempo affluivano in cerca di fortuna, oggi si recano all’estero sperando di trovare lavoro. Il vivere in questa precarietà fiscale ha lasciato gli argentini esposti a suggestioni e tentazioni quanto mai pericolose.

Prova ne è quanto si è verificato il 19 novembre, quando si sono tenute le elezioni generali per eleggere il nuovo Presidente. A risultare vincente con il 55,65% dei voti è stato Javier Milei, “El Loco”, il pazzo, la cui politica somiglia sorprendentemente a quella dello sconfitto presidente americano Donald Trump. Nato a Buenos Aires nel 1970 da genitori di origine italiana –padre autista di autobus, madre casalinga-, ex-calciatore, ex-cantante rock, ex personaggio televisivo, due master in economia, Milei è entrato in politica tre anni fa. Se le sue capacità di leader non sono ancora state testate, non c’è dubbio che abbia saputo cavalcare l’ondata di rabbia nei confronti della corruzione e della cattiva gestione dell’establishment che ha travolto il paese. A garantirgli un’enorme popolarità durante la campagna elettorale hanno contribuito il linguaggio, le proposte politicamente scorrette, lo stile furioso. E le accuse. Ha definito “imbecille” e “sporco uomo di sinistra” Papa Francesco; “comunista” il presidente di sinistra del Brasile Lula da Silva; “omicida” il governo della Cina – che il mese scorso, ha concesso all’Argentina un prestito di 8,1 miliardi di dollari. ​In compenso, ha minimizzato i crimini commessi durante la sanguinosa dittatura militare del 1976-83. L'aspetto centrale del suo programma riguarda l'economia. Milei ha proposto grandi tagli alla spesa, alle tasse e ai sussidi, la privatizzazione delle imprese statali e la sostituzione del peso con il dollaro USA. Ma anche l’allentamento del controllo sulle armi, la creazione di un mercato degli organi umani, la revoca dell’accesso all’aborto, la chiusura del ministero per le donne. Il 10 dicembre, giorno del suo insediamento alla Casa Rosada, Javier Milei ha ufficialmente assunto la guida di un paese alle prese con un’inflazione alle stelle, un tasso di povertà che sfiora il 50% e una valuta al collasso, con metà della popolazione dipendente dal welfare. Nonostante la sua indiscutibile vittoria nella corsa presidenziale, la coalizione La Libertad Avanza di Milei è solo il terzo movimento più grande nel ramo legislativo, e non sarà facile imporre il suo piano economico. I ben organizzati sindacati e movimenti sociali, molti dei quali sono alleati del governo peronista uscente di sinistra, hanno già annunciato di opporsi a parecchie delle sue riforme, prima fra tutte la svalutazione della valuta nazionale di oltre il 50%. Non sono pochi coloro che prevedono proteste e disordini, ai quali il nuovo governo argentino ha promesso “prigione o pallottole”.

Gli argentini sono stati governati da despoti militari, sostenitori del libero mercato, socialdemocratici e cripto-fascisti. Hanno vissuto l’iperinflazione, i boom, i crolli ciclici e nel 2001 il tracollo economico. L’emergere di un leader di destra ha risvegliato il ricordo della dittatura militare e della violenza contro i cittadini sanzionata dallo stato. E l’aver nominato procuratore generale l’ex ministro Rodolfo Barra, già facente parte di un gruppo neonazista, è un segnale allarmante. Tuttavia, Javier Milei rimane un personaggio enigmatico e imprevedibile. Dopo aver incassato la vittoria elettorale, ha cercato di ricucire i legami con i principali partner commerciali dell’Argentina, Cina e Brasile. È volato negli Stati Uniti e ha pranzato con Bill Clinton, non con Trump. Al momento, avanzare ipotesi sul futuro dell’Argentina è pertanto quantomeno azzardato.





Fonte: di Giulietta Rovera