"IL 25 APRILE NON E' UNA FESTA"

25-04-2023 -

(Il diario del lavoro – Quotidiano online del lavoro e delle relazioni industriali, 18 aprile 2023)


Il 25 aprile non è una festa ma uno stato d’animo. “Distruzione e morte ci hanno visitati. Ma ora c’è una speranza nell’aria”, annotava Iris Origo al termine del suo diario, “Guerra in Val d’Orcia”. “Una voce, un sussurro, un richiamo”, a detta di Piero Calamandrei. Che definiva così la Resistenza: “Quello che unisce, non quello che separa. Rifiutarsi sempre di considerare un uomo meno uomo, solo perché appartiene ad un’altra razza o ad un’altra religione o ad un altro partito”. E ancora: “Cercare di intenderci col battito del cuore attraverso i muri che dividono il mondo”.

Parole che suonano di conforto in questi strani giorni. Il settantottesimo Anniversario della Liberazione è il primo con gli eredi del Msi a Palazzo Chigi. Gli epigoni di Giorgio Almirante, colui che, come titolò “La Nazione” dopo un minaccioso comizio tenuto a Firenze nel giugno del 1974, invocava la preparazione “allo scontro fisico”. Via il doppiopetto e fuori i manganelli.

Giorgia Meloni parla di “pacificazione”. Concetto lodevole, che però non può voler dire equiparazione tra chi combatteva in nome della dignità e chi era al servizio dei nazisti. Questo governo si riempie la bocca con retorici appelli all’italianità ma l’onore della Patria venne risollevato proprio dai partigiani. Ammettere quel che fu tutto il Ventennio, dalla violenza delle origini allo spaventoso epilogo, e cancellare dal simbolo di Fratelli d’Italia la tetra fiamma che evoca il sepolcro di Mussolini, ecco, questo sarebbe il vero segnale di pacificazione.

Al contrario, la cultura dominante sembra essere quella dell’anti-antifascismo. Un gioco di parole, cacofonico ma efficace, per dire che sul banco degli accusati vengono fatti sedere i custodi della libertà, accusati di essere la zavorra dell’Italia. Ezio Mauro parla di “inversione morale”. In tal senso, va letto il bel libro di Michela Ponzani, “Processo alla Resistenza”, fresco di stampa per Einaudi.

La menzognera opera di rimozione e di capovolgimento, ora all’apoteosi, comincia in sostanza poco tempo dopo la caduta del Regime. Calamandrei, con sgomento e amarezza, non si stancava di denunciare la sfrontata e pericolosa mistificazione. In un discorso pronunciato il 28 febbraio del 1954, alla presenza di Ferruccio Parri, accusò: “I ragazzi delle scuole imparano chi fu Muzio Scevola o Orazio Coclite, ma non sanno che furono i fratelli Cervi. Non sanno chi fu quel giovinetto della Lunigiana che, crocifisso su una porta perché non voleva rivelare i nomi dei compagni, rispose: “Li conoscerete quando verranno a vendicarmi”, e altro non disse. Non sanno chi fu quel vecchio contadino che, vedendo dal suo campo i tedeschi che si preparavano a fucilare un gruppo di giovani partigiani trovati nascosti in un fienile, lasciò la sua vanga tra le zolle e si fece avanti dicendo: “Sono io che li ho nascosti (e non era vero). Fucilate me che sono vecchio e lasciate la vita a questi ragazzi”. Non sanno come si chiama colui che in prigionia, temendo di non resistere alla tortura, si tagliò con una lametta da rasoio le corde vocali per non parlare. E non parlò. Non sanno come si chiamava quell’ adolescente che condotto alla fucilazione, si rivolse all’improvviso verso uno dei soldati tedeschi che stavano per fucilarlo e lo baciò con un sorriso fraterno, dicendogli: “Muoio anche per te. Viva la Germania libera”. Tutto questo, i ragazzi non lo imparano. O forse imparano, su ignobili testi di storia messi in giro da vecchi arnesi tornati in cattedra, esaltazioni del fascismo e oltraggi alla Resistenza”.

Già, chi conosce o ricorda i nomi di Aldo Salvetti, di Luciano Bolis, di Pietro Mancuso? Se già settanta anni fa erano sepolti dall’oblio, oggi onorare la loro memoria assume quasi il sapore di nuova clandestinità.

Sì, il 25 aprile non è una festa ma una scelta di vita. Un vibrante desiderio di aria pura.






Fonte: di Marco Cianca