"LE PROSPETTIVE DELL'ECONOMIA E DELLA DEMOCRAZIA E LE VIE “OBBLIGATE” DEL SOCIALISMO"
di Enzo Russo

21-06-2022 -

È più probabile un capitalismo riformato che il suo totale superamento dopo che il primo ha vinto la competizione con i sistemi a programmazione rigida di stampo sovietico. Il capitalismo ha vinto nella produzione dei beni privati molto meno nella fornitura di beni pubblici. Vedi il caso della Cina, della Russia e degli USA dove la sanità prevalentemente in mano alle compagnie di assicurazione costa il doppio della media dei Paesi europei con sistemi sanitari pubblici. E a decidere del confronto sono state le spese militari. Il riferimento va al confronto duro tra USA e URSS nella seconda parte degli anni '80, quando lo schieramento dei missili di teatro in Europa e il lancio del programma “guerre stellari” da parte del Presidente Reagan costrinse le autorità sovietiche ad aumentare la spesa militare mentre il popolo russo avrebbe preferito l'aumento di beni di consumo. Nel 1989 arriva il crollo del Muro di Berlino e appena due anni dopo l'URSS implode.

Trent'anni dopo la Pandemia ha reso vieppiù evidente che la sanità è, a tutti gli effetti, un bene pubblico globale. Esiste dal 1948 l'Organizzazione mondiale della sanità ma è sottofinanziata dai governi. Basti ricordare che il quarto finanziatore dell'organizzazione è Bill Gates. Masse ingenti della popolazione mondiale continuano a vivere in condizioni igieniche inaccettabili e senza accesso sicuro all'acqua pulita e a cibo sufficiente che ne garantiscano un minimo di sicurezza alimentare. Data la rilevanza del problema e bene precisare che se il mercato può affrontare bene la produzione e distribuzione dei beni di consumo privati il mercato non può affrontare con altrettanta efficienza la produzione di beni pubblici che richiedono la necessaria cooperazione degli operatori pubblici ai diversi livelli di governo e specialmente al livello globale.

Secondo gli economisti che si occupano di economia pubblica è la teoria dei beni pubblici (globali, regionali di area vasta, nazionali, e giù sino all'ente locale) che deve guidare l'azione dei vari livelli di governo con la più opportuna distribuzione delle competenze tendendo conto che prima della sanità ci sono almeno altri beni pubblici globali altrettanto importanti: la pace e la sicurezza, la protezione dell'ambiente e della biodiversità, lo sviluppo sostenibile l'accesso all'acqua e al cibo che purtroppo non è garantito a centinaia di milioni di persone e, non ultimo, se si volesse affrontare alla radice il problema delle forti diseguaglianze tra i residenti nei paesi ricchi e in quelli poveri l'accesso all'istruzione.

Come economista posso aggiungere o riprendere ancora la proposta di Keynes di una moneta internazionale e/o mondiale che potrebbe contribuire non poco alla stabilità monetaria e finanziaria riducendo il rischio di cambio. Serve un nuovo modello di sviluppo che, da un lato, valorizzi la concorrenza dei beni di consumo privati e, dall'altro, promuova la necessaria cooperazione nella fornitura di beni pubblici ai vari livelli di governo. In altre parole, non basta il Mercato serve anche l'intervento pubblico diretto non solo in termini di regolazione. Negli ultimi 40 anni abbiamo assistito ad una fase rampante della globalizzazione non governata dalla politica ma al contrario abusata ed asservita agli interessi delle multinazionali e ora delle c.d. imprese high tech che utilizzano ricche banche dati per influire sulle decisioni politiche come in Italia fanno le grandi organizzazioni criminali. È saltata la classica tripartizione dei poteri di Montesquieu. Afferma Massimo l. Salvatori (2001: XI): il potere delle oligarchie che governano il processo di globalizzazione fa intravvedere una nuova variante di potere concentrato, che partendo dall'economia, tende a invadere le istituzioni statali e i sistemi democratici, rendendoli a sé subordinati e svuotati”. A contrastare questo fenomeno non basta lo sviluppo notevole dei corpi intermedi e/o di gruppi di interesse organizzati che riescono a rafforzare la democrazia quando riescono a proteggere i diritti e gli interessi delle fasce sociali più deboli e della stessa classe media ma quando prevalgono le oligarchie e livello mondiale e condizionano le scelte politiche dando priorità ai propri interessi indeboliscono la democrazia e riducono la sovranità degli Stati nazionali di media e piccola grandezza. Mi rendo conto che queste considerazioni possono sembrare banali, ovvie ma, a ben vedere, mettono in discussione la democrazia nel mondo, i diritti di cittadinanza e la possibilità di attuare una distribuzione delle risorse più equa. Fin qui si è fatto poco anche in termini di “governance” per rimediare a questi problemi. Concordo con Salvadori che c'è “una occasione socialista anche nell'era della globalizzazione” ma bisogna saperla cogliere; bisogna che si realizzi una rivoluzione democratica a livello delle istituzioni sovranazionali e, di certo, non è una battaglia facile né di breve termine.

Semplificando, ci sono due strade diverse da percorrere: l'una è quella di mantenere l'ideologia neoliberista dei mercati efficienti che, per oltre 40 anni vergognosi, è stata paradigma dominante nel mondo occidentale e tuttavia si è rivelata non in grado di affrontare e risolvere il problema della piena e buona occupazione; non in grado di fronteggiare la forte crescita delle diseguaglianze; l'altra è quella di democratizzare l'economia privata in modo tale da farle produrre una distribuzione primaria che non richieda massicce e politicamente difficili redistribuzioni ma che gradualmente può promuovere un più alto livello di coesione sociale.

Se così è ancora valido il compromesso social democratico lo scambio tra diritti economici e sociali e lo sviluppo democratico delle grandi imprese la cui efficienza non può essere misurata solo dall'ammontare di profitti che essi producono per i loro azionisti e per i manager predoni. Ci sono modelli economici diversi: autogestionari, di cogestione alla tedesca, secondo il piano svedese di Meidner [1] e altre soluzioni consimili [2]. Ma anche queste strade intermedie di democratizzazione dell'economia non sono facili da percorrere perché ci sono grandi ostacoli di contesto generale che le bloccano. Voglio precisare che si tratta di modelli che non debbono seguire la logica dell'alternativa: “tutto o niente” ma che possono o debbono essere compositi e/o opportunamente combinati.

In termini di contesto generale, a molti sfugge che stiamo vivendo ancora in una nuova fase storica di neocolonialismo. Questo si fonda sul liberismo commerciale, sulla piena libertà dei movimenti di capitale e sui paradisi fiscali. Secondo dati ripresi dall'ultimo libro di Piketty, “Storia breve dell'uguaglianza”, le attività detenute in queste località offshore si stimano nell'ordine tra il 10-12% dei portafogli europei e dell'America Latina; tra il 30-50% nei portafogli dei residenti africani, dell'Asia del Sud, dei Paesi petroliferi (Russia e petromonarchie); e per i portafogli dei più ricchi la quota detenuta nei paradisi fiscali potrebbe essere ancora più elevata (333 vedi articoli citati nella nota n. 11). Ne consegue che in molti paesi in via di sviluppo con entrate fiscali tra il 6-8% del PIL si è no ci si finanzia un po' di 'ordine pubblico e qualche infrastruttura; se vuoi fare qualcosa di significativo in materia di istruzione e sanità, devi prevedere di andare oltre su livelli molto più elevati di capacità fiscale [3].

Nell'introduzione al libro citato Piketty afferma che a fronte delle “sfide poste dalla potente ascesa del ‘socialismo cinese' un modello statalista centralizzato e autoritario completamente opposto al socialismo democratico e decentralizzato” da lui difeso…. la vera alternativa è il socialismo democratico, partecipativo e federale, ecologico e meticcio, il quale, in fondo, non è che un logico prolungamento di un movimento a lungo termine verso l'uguaglianza iniziato alla fine del XVIII secolo”. Occupandosi del socialismo cinese afferma che, con un settore pubblico pari al 30% del totale (70% nel 1978 all'inizio delle riforme di Deng), la Cina è già un'economia mista come quelle occidentali; ma, se si tiene conto dei dati differenziali di crescita e se preservati, la Cina è destinata a diventare nel XXI secolo la massima potenza economica del mondo. Da molti è già individuata come la “fabbrica del mondo”.

Da qui la necessità di passare dallo Stato social nazionale a quello social federale – tendenzialmente a base universale; ovviamente non è soluzione attuabile nel breve e medio periodo ma, in concreto, per cominciare a superare il neocolonialismo, Piketty propone intanto di sostituire gli attuali Trattati sul commercio con più equi Trattati di co-sviluppo. “oggi come ieri, solo con progetti di sviluppo equi ed obiettivi credibili di giustizia sociale a vocazione universale si potranno sconfiggere derive identitarie e totalitarie” (355). Vedi il precedente di Enrico Mattei.

Il neoliberismo si basa sul mercato, sulla destrutturazione della cooperazione economica internazionale e il nazionalismo e quest'ultimo vi risponde con la reificazione della nazione e della solidarietà etnico-nazionalista (373). Per contro il socialismo promuove l'emancipazione universalistica tramite l'istruzione, il sapere e la condivisione del potere. “Per varie ragioni – sostiene Piketty (374) – è più che possibile che gli scontri ideologici del futuro finiscano per somigliare più ad una battaglia tra socialismi che alla guerra tra capitalismi spesso evocata. Più in generale, va posto l'accento soprattutto alla grandissima diversità dei modelli economici osservati nel tempo e nello spazio, in particolare dei sistemi che si richiamano al capitalismo oppure al socialismo….. il socialismo di cui Egli parla si pone in linea di continuità con le eccezionali trasformazioni già compiute in passato che lo hanno differenziato sostanzialmente dal capitalismo autoritario e coloniale del 1910”. Servono una riflessione sui sistemi economici in una prospettiva di lungo termine e il dialogo tra i diversi modelli: “se i paesi occidentali o una parte di essi, rinunciassero alle posture capitalistiche e nazionalistiche abituali – auspica Piketty 375 - e adottassero un modello fondato sul socialismo democratico e sull'uscita dal neocolonialismo …… sarebbe allora possibile non solo guadagnare credibilità nei confronti del Sud del mondo, ma anche indurre il socialismo autoritario cinese a una revisione interna in termini di trasparenza e di democrazia. Su questioni cruciali come l'ecologia, il patriarcato o la xenofobia, la verità è che nessuno dei sistemi attuali ha, al momento, lezioni abbastanza convincenti da dare agli altri. Solo il dialogo tra sistemi e una sana emulazione possono aiutare a sperare in un qualche progresso” [4].

Rileggendo il bel libro di Norberto Bobbio, Il problema della guerra e le vie della pace, il Mulino 1979:185 trovo una forte assonanza tra Piketty e il nostro quando sostiene che il punto di approdo del pacifismo giuridico è: “di federazione in federazione sino alla federazione mondiale” e/o stato federale mondiale come Unione di Stati è probabilmente la sola via in grado di garantire pace, sicurezza e governo della globalizzazione.

Note

[1] Rudolf Meidner era tedesco ma era stato costretto ad emigrare in Svezia durante le persecuzioni naziste degli ebrei. Il piano Meidner fu successivamente annacquato e abbandonato ma la proposta, di tempo in tempo, ritorna in ragione della sua qualità e rilevanza In quanto – secondo Kenneth Arrow “democrazia politica e democrazia economica sono legate a doppio filo”.

[2] Su queste tematiche esiste una letteratura sterminata che non posso presentare e commentare nella presente nota. Qui mi limito a citare alcuni nomi: Enrico Barone 1908, Daniel A. Bell 2015; Bruno Jossa, a cura di, 2001, Tony Judt, Claudio Napoleoni 1976, Laura Pennacchi, Robert Reich 2015, Dani Rodrik 2018, Giorgio Ruffolo 2008; Massimo L. Salvadori, Emanuele Severino, Giordano Sivini 2016;

[3] La libera circolazione dei capitali, senza alcuna contropartita in termini di regolamentazione o di fiscalità, che espone a rischi di impoverimento di reddito, status e occupazione le classi popolari e medie dei Paesi industrializzati, e crea un neocolonialismo strisciante che accentua i divari dei Paesi del Sud del mondo con il Nord del mondo, ma che è soprattutto il perno di un modello di sviluppo politicamente ed ecologicamente insostenibile; la persistenza di discriminazioni sociali, ad esempio nell'accesso allo studio di qualità, e di discriminazione etniche e squilibri di genere; il problema della ripartizione di obblighi e responsabilità rispetto alle conseguenze del cambiamento climatico.

[4] Nella interpretazione di Branko Milanovic che definisce il modello cinese come “capitalismo politico” lo scontro o il confronto continuerebbe a sussistere come “capitalismo contro capitalismo”. È chiaro che se si preferisce l'interpretazione di Milanovic la lettura del sistema attuale come neocolonialista ne esce maggiormente rafforzata.

Cenni bibliografici


Paolo Bagnoli, La democrazia commissariata. La politica italiana: 2020-2021, i Quaderni de la Rivoluzione democratica n. 4; Biblion Edizioni, marzo 2022;

Riccardo Barenghi, Eutanasia della sinistra, Fazi editore, ottobre 2008;

Biasco Salvatore, Regole, Stato, uguaglianza. La posta in gioco nella cultura della sinistra e nel nuovo capitalismo, Luiss University Press, Roma, 2016;

Norberto Bobbio, Il problema della guerra e le vie della pace, il Mulino 1979;

Emiliano Brancaccio, Democrazia sotto assedio. La politica economica del nuovo capitalismo oligarchico. 50 brevi lezioni, PIEMME, gennaio 2022;

Jean-Paul Fitoussi, La democrazia e il mercato, Traduzione di Massimo Scotti Feltrinelli, 2004;

Felipe Gonzalez, Spagna dopo Franco: appuntamento con il socialismo, intervista a cura di Pierre Guidoni, traduzione e nota di Enrica Lucarelli, Lerici, 1976;

Branko Milanovic, Capitalismo contro capitalismo, la sfida che deciderà il nostro futuro, Traduzione di Daria Cavallini, 2019;

Laura Pennacchi, Democrazia economica. Dalla pandemia a un nuovo umanesimo, Castelvecchi, febbraio 2021;

Thomas Piketty, Una beve storia dell'uguaglianza, La nave di Teseo, 2021;

Katharina Pistor, il codice del capitale. Come il diritto crea ricchezza e disuguaglianza. Postfazione di Francesco di Ciommo, Sergio di Nola e Massimiliano Vatiero, LUISS University Press, 2021;

Aldo Barba e Massimo Pivetti, la scomparsa della sinistra in Europa, Imprimatur, Promozione distribuzione libri Rizzolo, novembre 2016;

Il potere in fabbrica. Esperienze di democrazia industriale in Europa, scritti di Amoroso, Klenner, Lidbom, Rosanvallon, sciarra, Simitis, Sperling, Thorsrud, Veneziani, prefazione di Gino Giugni, nuova serie dei Quaderni di Mondoperaio/11, aprile 1979;

Socialismo e democrazia economica. Il ruolo dell'impresa e del sindacato, con interventi di Giugni, Giolitti, Benvenuto, Chiaberge, Cominotti, Forte, Giancola, Mussa Ivaldi, Panero e del Movimento quadri democratici, a cura di G. La Ganca, temi per un progetto socialista a cura del Club Turati di Torino, Franco Angeli Editore, 1977;

La questione socialista. Per una possibile reinvenzione della sinistra, a cura di Vittorio Foa e Antonio Giolitti, Nuovo Politecnico 156, Einaudi, 1987;

Robert Reich, Come salvare il capitalismo, traduzione di Nazzareno Mataldi, Fazi Editore, settembre 2015;

Enrico Rossi, Rivoluzione socialista, idee e proposte per cambiare l'Italia, Castelvecchi, Roma, 2016;

La febbre della democrazia. L'influenza delle autocrazie, speciale di Aspenia, n. 87/2019;

Massimo L. Salvatori, l'occasione socialista nell'era della globalizzazione, Editori Laterza, 2001;

Shoshana Zuboff, Il capitalismo della sorveglianza. Il futuro dell'umanità nell'era dei nuovi poteri, LUISS, 2019.






Fonte: di Enzo Russo