"GLI «UTOPISTI» E LA GUERRA"

20-06-2022 -

Günther Anders narra di un suo incontro, a Tokio, con un signore che lo accusava di essere un utopista per la battaglia che veniva conducendo per la messa a bando della bomba atomica. Quel signore argomentava le sue tesi, sostenendo che l’atomica non poteva essere eliminata dal normale svolgersi dei conflitti militari. A costui Anders replicava affermando che l’utopista era lui, perché immaginava che dopo l’uso della bomba atomica tutto sarebbe ritornato ad essere come prima.

Da allora il numero degli «utopisti» è aumentato e le loro stupende argomentazioni in difesa dei mai specificati valori occidentali non comprendono che tutte le guerre (soprattutto se tra i contendenti – come essi stessi dicono – ci sono dei pazzi criminali ormai in fin di vita) possono giungere ad impiegare armi nucleari. Appunto, il loro impiego è nella logica del conflitto: è nella logica del conflitto la distruzione del nemico.

L’utopista ragiona così: ci sono dei valori (quali?) che non sono barattabili e per quei valori si può (anzi si deve!) sacrificare la vita di un numero incalcolabile di persone. Gli utopisti (coloro che ritengono impossibile una guerra atomica e coloro che ritengono che tutto sarà come prima) non accettano l’idea che una civiltà è tale solo se sa evitare il massacro dei propri cittadini; solo se pone la difesa e la cura della vita dei suoi cittadini come proprio valore costituente. Quando una civiltà (o uno Stato) chiede di sacrificare la vita sull’altare della Patria, allora essa ha già fallito il suo compito. E c’è da sospettare che chi chiede tale sacrificio è sicuro – come quell’interlocutore di Anders – di poterla fare franca. È sicuro che, nonostante le decine di migliaia di morti, tutto ritornerà ad essere come prima; è sicuro che egli sarà ancora lì a costruire nuovi valori e nuovi altari su cui sacrificare le vite altrui. Gli utopisti hanno questa capacità: giuocano con le vite umane per difendere i valori (monetari?) di ristrette oligarchie.

Purtroppo le cose non sono così semplici. Dopo ogni guerra la vita non torna ad essere la stessa. Gli utopisti si rassegnino. Gli oligarchi occidentali (come quelli orientali) si rassegnino: anche se non si giungerà (nell’immediato) a una guerra nucleare, la nuova vita avrà ben poco a che vedere con la vita che abbiamo sinora vissuta. L’utopista lo sa bene: la guerra è l’igiene del mondo. Essa serve a riaffermare i sani e nitidi «valori» dell’Occidente. Questo è l’obbiettivo irrinunciabile. E per il raggiungimento di questo obbiettivo gli oligarchi sono pronti a sacrificare la vita di migliaia di persone.

Dopo il crollo del muro di Berlino (e soprattutto con Eltsin) gli oligarchi occidentali si erano illusi di poter imporre a tutto il mondo i propri valori (monetari?). Il mondo si sarebbe omologato e sottomesso ai vincitori della Guerra Fredda. Ma ciò non è avvenuto. Sono emerse economie nazionali (Cina, Russia, India) che, in tempi non lunghi, possono divenire autentiche potenze economiche. Se ciò accadesse, sarebbe inevitabile la formazione di un ordine politico multipolare. Cadrebbe l’egemonia occidentale. Ecco, allora, la necessità di impedire la formazione di nuove economie nazionali in grado di instaurare un ordine multipolare. A ciò serve la guerra in Ucraina: a indebolire la Russia, a isolare la Cina e ad assicurare l’egemonia degli oligarchi occidentali. Ma la storia degli ultimi trent’anni ha dimostrato che l’Occidente non è in grado di governare da solo l’economia-mondo. L’Occidente, vittorioso sull’Urss, non ha saputo attuare piani di sviluppo per l’Africa e per l’America Latina e non ha saputo combattere le diseguaglianze sociali interne. Per salvaguardare i suoi valori (monetari), esso sa solo suscitare guerre. Sempre più la sua egemonia si fonda sul puro esercizio della forza. E tutto ciò può significare una sola cosa: che se non si accetta un ordine multipolare, le guerre verranno moltiplicandosi. E, in tal caso, c’è da porsi un’altra domanda: fino a quando le armi nucleari resteranno inutilizzate?






Fonte: di Marcello Montanari