L’economia sta diventando, come sempre, il focus dell’attenzione dei paesi di tutto il mondo. Cercare di accreditare che la lievitazione dei prezzi e dell’inflazione siano da addebitare alla fine della pandemia e all’invasione russa, anche se un ruolo lo giocano, significa dare adito ad una mistificazione che piace tanto agli speculatori finanziari. La cosa più preoccupante è che l’onere viene fatto sempre ricadere sui soggetti più deboli. La prova si trova nelle parole del Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco nelle sue considerazioni finali dell’Assemblea della Banca d’Italia del 2022: “Data l’incertezza delle prospettive economiche il rialzo dovrà avvenire con gradualità; sarà più agevole se le pressioni per incrementi salariali connesse con la risalita dell’inflazione saranno contenute.” Nel corso della relazione più volte attribuisce l’inflazione all’aumento del costo delle materie prime, sommessamente ci aggiungerei anche l’aumento del costo dei prodotti agricoli (granaglie). Questi aumenti sono avvenuti senza che durante il rallentamento dell’economia, e quindi con un calo della domanda che secondo l’economia mainstream avrebbe dovuto provocare una diminuzione dei prezzi, ci sia stata una loro contemporanea contrazione. Si tratta di beni i cui prezzi vengono determinati in borse ad hoc, il Chicago Mercantile Exchange, con le sue aggiunte, è il più importante del mondo, così come in Europa l’Euronext che ha la sua sede principale ad Amsterdam sono fra le più importanti. Per quanto riguarda la movimentazione del grano quattro società controllano la vendita dal 75% al 92% del mercato mondiale, se ci si aggiunge che di default la speculazione finanziaria deve sempre guadagnare il piatto è servito. Situazione ben nota agli economisti, tant’è che Keynes, già dal 1936 nella sua Teoria generale, ci avverte: “Quando lo sviluppo del capitale è un sottoprodotto di un casinò, è probabile che vi sia qualcosa che non va bene”. Quando sul finire degli anni Settanta del secolo scorso economia neoclassica e neoliberalismo si sono incontrati, individuando il cosiddetto libero mercato come l’unico soggetto abilitato valutare l’efficienza di una società, il gioco era fatto. Complice anche una sinistra europea attardatasi ad interpretare la società con gli strumenti di un marxismo, oramai non più in grado di interpretare il mondo capitalistico che cambia. Come tutte le chiese, pronta a scomunicare che si discosta da codesto pensiero. Il 9 novembre 1989, con la caduta del muro di Berlino e la sconfitta del mondo comunista il neoliberismo appare come l’unica filosofia possibile. Abbiamo visto i disastri che in nome del “libero mercato” si sono verificati in questi ultimi trent’anni, il più grave dei quali è stato il progressivo smantellamento di ciò che è pubblico a favore del privato, a partire dal welfare. Dopo questa divagazione torniamo al nostro problema centrale, e cioè cercare di suggerire alcune ipotesi. La prima si potrebbe individuare nel programma europeo detto “Next Generation EU”. In questo programma si dice di puntare decisamente a creare le condizioni perché l’Europa si incammini verso un utilizzo sempre più massiccio di fonti energetiche rinnovabili, in un lasso di tempo, sempre troppo lungo rispetto alle necessità del pianeta, ma ritenuto troppo ristretto dal mondo produttivo. Obbiettivo condivisibile ma che ha una falla difficilmente riparabile, lascia questo obbiettivo nelle mani del libero mercato. Mi spiego, attualmente gran parte dei titoli delle fonti energetiche più inquinanti è nei portafogli di banche o istituzioni finanziarie di tutto il mondo. È evidente che queste istituzioni hanno tutto l’interesse ad avere non solo uno strumento che aumenti il proprio valore nel breve periodo, ma che attraverso la carenza di energia mantenga il più a lungo possibile il proprio valore. Basta vedere quello che sta accadendo: sono state riaperte immediatamente le centrali a carbone e ha ripreso corpo la produzione di energia nucleare. Proporre, come ha fatto la Commissione Europea, degli obbiettivi importanti è sacrosanto. Quello che manca è spiegare come si gestisce un percorso così complesso che riguarda la vita di tutti. Industrie che cambiano completamente le tecnologie produttive e che creano sì nuovo lavoro con mansioni completamente diverse da quelli tradizionali, ma che al contempo creano anche tanta nuova disoccupazione, fenomeno che si aggrava con l’inserimento di nuovi processi sempre più automatizzati. Visti i disastri compiuti fino ad adesso il mercato non è in grado di gestire questo processo senza creare eccessive turbative, occorre uno stato forte capace di tenere conto degli interessi di tutti, ma soprattutto dei più deboli. Dunque, per realizzare questo cambiamento epocale, reso ancora più urgente dalla tragica guerra dell’Ucraina, è necessario abbandonare tutto l’armamentario con il quale siamo arrivati a questo punto. Poche righe sopra ho parlato di Stato, nella mia accezione lo intende come un processo di partecipazione attiva dei cittadini al loro stesso futuro, dove lo Stato sia in grado di fare la necessaria sintesi.