"UNA VITTORIA SENZA TRIONFO"

27-04-2022 -

Con il 58,5% dei voti Emmanuel Macron ha vinto le elezioni presidenziali, sconfiggendo al ballottaggio Marine Le Pen, leader dell'estrema destra Rassemblement National. E l'Europa ha tirato un respiro di sollievo: la vittoria di Le Pen avrebbe infatti sconvolto non solo la politica francese ma anche quella europea, emulando il trionfo anti-establishment del voto in favore della Brexit, che trascinò il Regno Unito fuori dall'EU. Macron ha dovuto affrontare una non facile battaglia. Perché nonostante sia riuscito a tenere a galla scuola e economia, a sconfiggere la pandemia e il suo impegno in prima persona per mediare nel conflitto russo-ucraino, il 60% dei francesi lo disapprova, lo considera arrogante, “il presidente dei ricchi” appartenente all'élite parigina. E perché per larga parte del Paese, inclusi molti giovani sotto i 30, Le Pen, che ha riformulato la propria immagine presentandosi ammantata di patriottico nazionalismo, non è più uno spauracchio: in milioni ormai la considerano una politica non più di destra, ma di centro. Le Pen ha perduto, pur avendo cercato di “disintossicare” l'immagine del suo partito e fatto molte promesse: di mettere più soldi nelle tasche degli elettori, di restituire alla Francia la sua giusta collocazione nel mondo e di privilegiare i cittadini francesi a scapito degli immigrati per quanto riguarda abitazione, accesso al lavoro, assistenza sanitaria e sussidi. Ha perduto nonostante il favore di chi vive lontano dai centri cittadini e dei lavoratori a basso reddito delle periferie delle grandi città. Ha perduto perché per la maggior parte del Paese l'ascesa all'Eliseo di una forza politica di estrema destra il cui programma è considerato “razzista, xenofobo e islamofobo” è inaccettabile. Marine Le Pen ha perduto, ma ha raggiunto il miglior risultato elettorale di sempre per un candidato di Rassemblement National. Negli anni 80, la possibilità che l'estrema destra avesse anche la minima chance politica sembrava fantascienza. Nel 1986, l'elezione del 35enne Jean Marie Le Pen – padre di Marine, fondatore del partito di estrema destra Front National - all'Assemblea Nazionale fu accolta pertanto con incredulo stupore. Ma fu il risultato del primo turno elettorale alle elezioni presidenziali del 21 aprile 2002 a suscitare sgomento: sugli schermi televisivi accanto a Chirac apparve lo sfidante al ballottaggio: Jean Marie Le Pen. Due milioni di persone si riversarono allora nelle strade per protestare. Vinse Chirac con l'82,2%. Le front républicain aveva tenuto. Lo scorso sabato, erano in 20.000 nelle strade di Parigi a dimostrare contro la presenza dell'estrema destra al ballottaggio, 100 volte in meno rispetto al 2002. In realtà non è la seconda, ma la terza volta che i francesi sono posti di fronte alla scelta fra un candidato democratico o un demagogo quale futuro leader. Cinque anni fa, la sfida elettorale era stata fra il nuovo arrivato Emmanuel Macron e Marine Le Pen. Da quando ha preso il timone del partito nel 2011, la figlia di Jean Marie ha cercato di ingentilire la sua immagine. In parte ce l'ha fatta, da cui la sua crescente popolarità fra gli elettori. Il politologo francese Jérôme Fourquet, direttore dell'IFOP, l'istituto francese di sondaggi d'opinione e autore del best seller L'Archipel français : Naissance d'une nation multiple et divisée, osserva che la crescita dell'estrema destra è cominciata nella seconda metà degli anni 80, con il declino delle due forze strutturali della società francese nel 20esimo secolo: il cattolicesimo e il comunismo. A tenere unita la nazione sono rimasti alcuni ideali repubblicani come il secolarismo, il che si è rivelato insufficiente. La scomparsa del cattolicesimo, in particolare, ha contribuito ad accelerare il disintegrarsi dell'omogeneità culturale favorendo l'affermarsi del multiculturalismo e dell'individualismo. La società francese si è frantumata in tanti gruppi autonomi, dal punto di vista sociale, geografico, etnico e culturale. Il sogno rivoluzionario di vivere insieme – un popolo, una nazione – non fa più presa sulle nuove generazioni. Emmanuel Macron, nel breve discorso rivolto ai suoi elettori la sera del 25 aprile radunatisi al Campo di Marte ai piedi della Tour Eiffel per festeggiare la vittoria, ha dichiarato che farà ogni sforzo per riunire il Paese. Macron, il più giovane leader francese da Napoleone, il primo presidente rieletto dai tempi di Jacques Chirac nel 2002, ha vinto ma è consapevole del fatto che lo aspettano molti problemi. In primo luogo, le elezioni parlamentari del prossimo giugno. Alla consultazione della prima tornata del 10 aprile, il leader del partito di estrema sinistra France Insoumise Jean-Luc Mélenchon, grazie ai giovanissimi e alle minorità etniche, ha raggiunto il 21,95% dei voti, e sta spingendo i francesi a dare al suo partito la maggioranza alle prossime elezioni di modo che Macron sia obbligato a nominarlo primo ministro. Il che paralizzerebbe le possibilità di Macron di muoversi, e non aiuterebbe la Francia a ricompattarsi. Al contrario. Le destre stanno avanzando: 17,9% delle preferenze al primo turno elettorale nel 2012; il 33,94% al ballottaggio nel 2017; il 41,46% al ballottaggio nella consultazione elettorale del 25 aprile. Anche se a metà giugno Macron avrà la maggioranza in Parlamento, il futuro si prospetta tutt'altro che roseo. Oggi, il prezzo del carburante è alle stelle. Nel 2017, fu la tassa sul carburante a scatenare l'ira nelle periferie e il movimento dei gilets jaunes che spaventò la Francia con la sua violenza e il suo radicalismo. Il piano di aumentare l'età pensionabile da 62 a 65 anni, prospettato prima dell'arrivo della pandemia - che provocò ondate di indignazione nei politici populisti e nei sindacati che considerarono il progetto “brutale” e “ingiusto”, e 55 giorni di sciopero – sarà riproposto nel tentativo di abbassare il deficit in cui versa il sistema pensionistico. Sotto Macron, la disoccupazione è scesa al livello più basso dal 2008; il governo spende il 55,6% del prodotto interno lordo – più degli USA o della Gran Bretagna – per l'istruzione, la sanità, i trasporti pubblici, i programmi sociali, sussidi e integrazione al reddito. La sicurezza materiale è aumentata. Il tasso di omicidi si è dimezzato. Eppure, sotto Macron, le latenti spaccature socioeconomiche si sono approfondite: fra le fiorenti grandi città – soprattutto Parigi – e i piccoli centri in difficoltà; fra la Francia urbana e quella rurale; fra giovani e meno giovani; fra borghesia e classe operaia; fra filoeuropei e nazionalisti; fra i partiti tecnocratici di governo e i populisti di destra e di sinistra. Fra tutti costoro che vivono in uno stato di permanente esasperazione, la violenza può divampare in qualsiasi momento. Macron ne è consapevole. Ma è persuaso che durante questo secondo mandato riuscirà nell'impresa di riconciliare la le varie anime del Paese, riformare l'economia, e ripristinare il ruolo preminente di Francia e Europa in campo strategico, industriale e culturale nel mondo.





Fonte: di Giulietta Rovera