"L’ELEZIONE BIS E IL DISCORSO DEL ‘BISPRESIDENTE’ "

20-02-2022 -

Mattarella non è Paganini, ha concesso il bis; il Presidente uscente ha accolto la supplica di una inusitata accolta di pellegrini – compresi leghisti e forzaitalioti – inginocchiati sui ceci per rendergli l’omaggio ligio; ma non li ha ricevuti come privato cittadino, a casa sua, da Cincinnato, ha scelto invece il teatro del Quirinale: la liturgia è stata quella della messa cantata, in pompa magna, con corazzieri schierati e bandiere spiegate: poi, bontà sua, ha esaudito la preghiera.

Mentre Mattarella faceva visite di congedo a papi e imperatori (tutto tempo e soldi sprecati) e lo si sentiva ‘promettere’ – più o meno per 10 volte – che mai sarebbe rientrato al Quirinale (e qualcuno tra noi aveva pure tirato un sospiro di sollievo) c’era chi pensava a questa scenografia e a questa sceneggiatura che pare abbia avuto un regista altolocato e Boys di tutto rilievo a servizio. Egli aveva pure spiegato (non manca mai di tornare sulla cattedra) che una rielezione avrebbe costituito un vulnus, se non alla lettera, allo spirito della Costituzione e che questa lezione l’aveva appresa dai suoi predecessori, Segni e Leone. Ma che bisogno aveva di maestri? Chi più di lui poteva saperlo essendo stato, oltre che professore in utriusque, anche giudice ‘emerito’ della Corte Costituzionale!

A meno che – aggiungevano i caudatari – a meno che non glielo chiedano ‘tutte le forze politiche’. Poi, più modestamente, il Presidente quasi ‘uscito’ si è accontentato che glielo chiedessero ‘quasi tutte': fino al coup de théâtre andato in scena dopo la ventilata candidatura Belloni, nessuno nel centro-destra aveva mai proposto di rieleggere Mattarella né apprezzato il suo posizionamento politico nelle crisi di governo o la sua pilatesca gestione del dossier magistratura-CSM, di cui invece erano felici PD e M5S – nessuno pertanto avrebbe potuto prevedere una tale conversione: solo gli ultimi giapponesi non hanno partecipato al pellegrinaggio e hanno fatto mancare il plebiscito bulgaro.

Ma ci consoliamo; a chi sta a cuore la costituzione repubblicana, questo mancato plebiscito apparirà sicuramente come una grazia di Dio: nel Parlamento italiano ci sono ancora liberi pensatori!

Preparata da tempo – almeno a partire dalle ovazioni scaligere e dalla messa in scena da teatro greco del trasloco degli scatoloni – la bomba atomica della rielezione di Mattarella non era necessaria per vincere la guerra mossa dagli anti-papeete; era infatti pronta un’arma bianca, ‘casinaria’, che però non è stata usata per paura di non riuscire a infilzare anche la Lega e, forse, nemmeno i rancorosi forza-italioti.

L’arma finale è stata sganciata per stringere il papeetico Salvini e il tenebroso Giorgetti nella camicia di forza della maggioranza ‘ursula’, così isolando definitivamente la destra e riducendola a un’opposizione numerosa ma in condizione di non nuocere (e vedremo se non riusciranno a ridurla ai minimi termini anche numericamente con lo sport nazionale dell’arrembaggio al carro del vincitore); la bomba atomica della rielezione è stata sganciata, soprattutto, a futura memoria: perché nessuno dimentichi che la sinistra possiede armi segrete!

Certo non c’è da temere molto perché, oltre a non essere Paganini, Mattarella non è nemmeno Napoleone III, ma ai i suoi colonnelli non dispiacerebbe se lo fosse: senza battere ciglio, molti autorevoli politici e commentatori, dimenticando il ruolo di garante della costituzione proprio del Presidente della Repubblica, gli attribuiscono il ruolo, fondamentalmente improprio, di garante politico del governo in carica; un ruolo, dicono, che nessun altro avrebbe potuto esercitare: appunto.

D’altra parte, pare che questo sia un ruolo che non dispiaccia al Presidente Mattarella: già nel discorso di fine anno 2021, egli ha fatto il panegirico della governabilità e dei Presidenti del Consiglio – Letta, Renzi, Gentiloni, Conte, Draghi – che, nominati da lui, avrebbero evitato pericolosi salti nel buio.

A quale salto nel buio si riferiva? Forse alle elezioni anticipate. Una bella e buona idea della democrazia: la scelta può essere affidata agli elettori solo se non si salta nel buio e quale sia il buio lo decidono i saggi. O il salto nel buio è stato quello di imporre un governo senza base politica che, come si sta vedendo ogni giorno, è diviso su quasi tutto?

Il ‘discorso’ di insediamento bis di Mattarella è stato accompagnato da ovazioni che il Parlamento non si poteva permettere inferiori a quelle che furono tributate al Presidente alla Scala per intensità e frequenza di applausi e standing ovation. Il discorso – che tutti attendevano durissimo contro i partiti incapaci di trovare soluzioni diverse, come lo fece Napolitano anche per segnare il suo territorio – è cominciato con la replica dell’ovvio: «La lettera e lo spirito della nostra Carta continueranno a essere il punto di riferimento della mia azione». Tutto sommato si è trattato solo di un ‘rimbrottino’ per il travaglio cui lui stesso, in attesa della rielezione, era stato sottoposto dai partiti rissosi ma ‘travagliati’.

Ne riassumiamo i passaggi più significativi: «nel momento in cui i Presidenti di Camera e Senato [gli] hanno comunicato l’esito della votazione», il suo primo pensiero è stato per le «urgenze — sanitaria, economica e sociale — che ci interpellano. Non possiamo permetterci ritardi, né incertezze. La lotta contro il virus non è conclusa». Preoccupato per il fatto che le attese del paese sarebbero state fortemente compromesse «dal prolungarsi di uno stato di profonda incertezza politica e di tensioni, le cui conseguenze avrebbero potuto mettere a rischio anche risorse decisive e le prospettive di rilancio del Paese impegnato a uscire da una condizione di grandi difficoltà», il Presidente ha capito di essere insostituibile e di doversi piegare alla «nuova chiamata – inattesa – alla responsabilità».

Il discorsetto – riassuntivo di tutti i mali della società italiana (del resto mai affrontati da nessuno nemmeno sotto il suo precedente settennato), nella sua brevità (38 min.: ma è durato molto di meno, al netto delle 55 demagogiche interruzioni dei plaudenti in piedi, che ricordano lontane immagini di osannanti) – è riuscito ad assommare tutti i difetti dell’oratoria: retorico, ripetitivo (la cibernetica può aiutarci a contare le volte in cui ha ripetuto “un’Italia” e “dignità”), noioso. Il Presidente ha levato alto l’appello all’unità (un appello che sembra però il massimo dell’ipocrisia, visto che la sua rielezione è frutto non dell’unità ma del veto posto a una parte del Paese di potere esprimere un suo candidato alla presidenza) e ha concluso con il panegirico delle ‘magnifiche sorti e progressive’ che ora si sono aperte, con misteriose riforme: già si parla di un’agenda Mattarella come prima si parlò di un’agenda Napolitano.

Poi il bispresidente ha gettato la palla in tribuna, ha ricordato al governo che non deve restringere i tempi delle discussioni parlamentari specialmente per le leggi di rilievo come la legge di bilancio: ci chiediamo come mai, quando l’opposizione parlamentare glielo aveva chiesto, non abbia sollecitato questo governo – che, anche in occasione del PNRR, aveva concesso al Parlamento tempi brevissimi – a presentarla per tempo.

Quindi egli ha pure ricordato il dovere di imparzialità che incombe sui magistrati, e, al CSM, che le correnti, le appartenenze politiche, le derive carrieristiche non sono ammissibili; che occorre provvedere alla riforma delle procedure elettorali per la sua composizione; che indipendenza e autonomia sono principi preziosi e basilari della Costituzione ma che il loro presidio risiede nella coscienza dei cittadini: questo sentimento è fortemente indebolito e va ritrovato con urgenza: BENE, BENISSIMO, ma perché non glielo ha ricordato prima, quando avrebbe potuto farlo da Presidente del CSM?

Da presidente del CSM, invece di barricarsi dietro il bastione della sua neutralità, non avrebbe potuto, anzi dovuto, intervenire prima per imporre almeno una discussione, non meramente formale, sui numerosi casi di manifestazione di quei mali che affliggono l’ordine giudiziario da lui denunciati nel discorso e porre un freno alla deriva che si è registrata in quell’organo e nella magistratura?

Invece, se non ricordo male, Mattarella, da ultimo, si è pure rallegrato e ha ringraziato il CSM per aver tenuto in non cale la sentenza del Consiglio di stato che, dichiarando illegittima la nomina del Presidente della Cassazione fatta dallo stesso CSM, la annullava.

Comunque, ci compiacciamo con Mattarella perché, se non fosse stato rieletto, egli non avrebbe avuto più occasione per levare questo alto monito a magistrati e Parlamento. Anche Claudio Cerasa, nella chiusa del suo distico elegiaco (Per chi suona la campana di Mattarella, ‘Il Foglio’), pur sottolineando la ‘tardività’ della rampogna a magistratura e CSM, si compiace perché il bispresidente ha ora «l’occasione di offrire un bis alla guida del CSM migliore di quello del primo giro»: quasi che una rielezione al Quirinale debba essere una sessione di esami di riparazione!

La retorica e la vacuità non sono mancate su molti dei giornali; segnalo solo alcuni esempi: Francesco Bei (Il manifesto dei diritti, ‘Repubblica’), è stato addirittura biblicamente poetico: «Sono loro che l'hanno richiamato in servizio, contro la sua volontà più volte manifestata persino in punta di diritto. Si spellano le mani, si alzano in piedi in decine di applausi liberatori, quasi a scaricare l'angoscia accumulata in questi giorni. I Grandi elettori, sbandati e smarriti, si aggrappano a lui e sembrano chiedergli, con Isaia: "Sentinella, a che punto è la notte". Mattarella risponde che è quasi finita».

Marcello Sorgi (Decalogo etico di un Presidente, ‘La Stampa’), ha detto che Mattarella, a differenza di Napolitano, ha fatto un discorso pacato, «ha fatto tesoro del suo settennato, trascorso vedendo avvitarsi, giorno dopo giorno, la crisi del Paese e cercando razionalmente di contrastarla … ma ha voluto aggiungere una sorta di decalogo etico … per rompere la spirale delle divisioni».

Ma una domanda potrebbe essere fatta a Sorgi: in che cosa è consistita questa azione di contrasto e, altresì, ha fatto tesoro anche degli errori da lui commessi nel settennato?

Tutti a esaltare il valore dell’unità, intesa come sottomissione degli avversari, per esempio con le lodi sperticate all’alzata d’ingegno che ha portato alla rielezione di Mattarella e le frecciate velenose alla solitaria Meloni e ai pasticci di Salvini che Massimo Franco e Marzio Breda non hanno fatto mancare sul ‘Corriere’. Almeno Cacciari (‘La Stampa’) con le sue iperboli filosofiche, ha messo controluce gli equivoci e le contraddizioni che si celano dietro la retorica del discorso presidenziale riassumendoli in un motto latino: quieta non movere et mota quietare.

Torniamo al dunque: vi è già chi, nella sinistra, sollecita da Mattarella «un segnale inequivocabile che [egli] non considera il suo mandato a tempo, perché consegnare l’elezione del successore alla prossima assemblea di Parlamentari e rappresentati regionali, sarebbe davvero un tradimento della Costituzione. Il Parlamento che verrà eletto tra un anno e due/quattro mesi sarà infatti, sic stantibus rebus, a schiacciante maggioranza di destre ostili alla Costituzione repubblicana (nata dalla Resistenza antifascista, se lo si dimentica o omette, la Costituzione la si è già tradita)». Firmato, Paolo Flores d’Arcais. Il quale, pur definendo questa rielezione un atto di restaurazione e nonostante lo squagliamento del centro-destra, continua da par suo a gettare benzina sul fuoco dell’odio politico.

Dopo il botto finale, vi sarà infatti la ‘normalizzazione’: ora gli ultimi giapponesi saranno rastrellati e messi alla gogna come il nuovo ‘vituperio delle genti; forse i vincitori metteranno mano alla più ‘bella’ costituzione del mondo, sicuramente per renderla ancora più splendida. Forse, però – nel timore che gl’italiani non comprendano la grandezza della riforma e respingano il ‘belletto’ con un referendum – si terranno più terra terra: non ci sarà bisogno di riforme ex art. 138, basterà l’interpretazione evolutiva e il suo consolidamento nella ‘costituzione materiale’: basterà reintrodurre una legge elettorale proporzionale per assicurare alla nazione l’eterna vigilanza dei nuovi ‘resistenti’: i ‘leghisti’ e i ‘forza-italioti’ ursulanti saranno i primi collaborazionisti?

Oggi sono tutti contenti e soddisfatti dell’abbandono del principio cardine della democrazia liberarotation in office – e i sedicenti ‘progressisti’ si stracciano le vesti applaudendo alla stabilità del sistema che verrebbe offerta dalla rielezione di Mattarella ma non si accorgono, o fingono di non accorgersi, che questa stabilità è sinonimo di conservazione.

Questi ‘eroi’ ci hanno salvato dai nuovi barbari; ad essi dobbiamo una riconoscenza eterna – la stessa nutrita da polacchi, ungheresi, cecoslovacchi, etc. per i loro liberatori – per il ‘buon reggimento’ che stanno apparecchiando. In un certo senso potremmo dire che la sconfitta dei ‘populisti’ è stata ottenuta a un prezzo molto alto, quello pagato da quel marito che voleva fare dispetto alla moglie.





Fonte: di GIUSEPPE BUTTA'