"LA MASCHERA E IL VOLTO"

26-10-2021 -

Dopo otto mesi dall’insediamento del governo guidato da Mario Draghi, chi mal sopportava la presenza della Lega nel governo è riuscito finalmente a fare saltare i nervi a Salvini.

Qualche settimana fa, dopo il primo turno delle elezioni amministrative, il capogruppo della Lega alla Camera, Molinari, ha detto che qualcuno sta tentando di accompagnare alla porta i ministri della Lega impedendogli di discutere «un provvedimento che rischia di avere pesanti conseguenze per i cittadini». Era accaduto che, nel consiglio dei ministri del 5 ottobre, era stato portato un disegno di legge-delega sul fisco il cui testo definitivo pare sia stato fatto conoscere ai ministri della Lega solo mezz’ora prima del Consiglio e che, pare, non corrispondesse con gli accordi raggiunti in commissione parlamentare, specialmente riguardo alla revisione del catasto; a quel punto i ministri leghisti non hanno partecipato per protesta al Consiglio.

Non v’è dubbio che ora, dopo l’insuccesso elettorale del centrodestra soprattutto a Torino e Roma, le spinte e le idee per cacciare la Lega fuori dal governo – messe in campo quasi quotidianamente almeno da quando il cervello rimpatriato da Parigi ha cominciato a brandire la sua ‘durlindana’ e a menare fendenti come lo ‘ius soli’, il voto ai sedicenni, il ddl Zan, il ‘green pass’, la tassa di successione e, da ultimo, la riforma del catasto (nonché della famosa ‘quota 100’) e vari altri giri di cacciavite contro il risparmio italiano – si faranno sempre più forti e incalzanti per realizzare compiutamente il disegno politico che stava dietro l’invenzione del governo Draghi, partorita durante la crisi del governo PD-5S, che non riusciva a condurre in porto la vaccinazione e il PNRR.

Nelle intenzioni degli autori – che accampavano motivi sanitari per non fare ricorso alle elezioni mentre in Gran Bretagna, Spagna, Israele, paesi con una epidemia diffusa più che in Italia, le elezioni si svolgevano regolarmente – il disegno non troppo nascosto era quello di dare ancora tempo al PD per superare la fase di declino elettorale.

L’idea era di una perfezione machiavellica: era fondata sull’ipotesi che le ‘destre’, cioè la Lega e FdI, non avrebbero aderito alla maggioranza; l’altro corno di questa idea era che, auspicando e benedicendo la copertura all’accrocco da parte di Berlusconi – improvvisamente vezzeggiato dall’intera ‘sinistra’, compresi i 5S – si potesse determinare una frattura nel centrodestra.

In questo modo, l’ennesimo rifiuto di dare la voce al corpo elettorale per risolvere la grave crisi in cui ci aveva cacciato il governo PD-5S sarebbe passato con l’immagine di Lega e FdI isolati come nemici del bene comune, nemici delle ‘magnifiche sorti e progressive’ rappresentate dal ‘governo del Presidente’.

Se questa operazione fosse riuscita, il PD (con il suo partito contadino polacco, i 5S) avrebbe ottenuto il controllo assoluto del nuovo governo coronato dall’aureola, sia pure evanescente, dell’unità nazionale. Il disegno non riuscì per intero. Il becero Salvini entrò inaspettatamente nel governo in parte con lo scopo di fare fallire questo progetto, in parte sperando di poterne condizionare la politica.

Da qui, naturalmente anche in vista delle elezioni amministrative, il bombardamento incessante e a tappeto contro Salvini e la Meloni con tutte le armi mediatico-giudiziarie (soprattutto la Luftwaffe delle TV a reti unificate), che un gruppo di potere, insediato nei gangli vitali dello stato e della società, usa con disinvoltura da anni per mantenere la sua presa sul paese.

Alcuni partiti preferiscono una lotta politica non di confronto tra programmi, idee e uomini ma di delegittimazione degli avversari; partiti che non si definiscono per quello che sono, per i programmi che hanno ma in opposizione al nemico di turno: ponendosi su un piedistallo di superiorità morale e culturale, presentandosi come il bene che contrasta il male, delegittimando l’avversario una volta perché sovranista, l’altra perché è fascista, l’altra ancora perché è moralmente indegno, penalmente perseguito e, infine, condannato e destituito dalla sua carica di rappresentante del popolo. Una delegittimazione che riguarda circa la metà dell’elettorato italiano.

Non è uno spettacolo degno di una democrazia che – come da ultimo ha ripetuto Letta – vanta di avere la ‘costituzione più bella del mondo’!

La demolizione della Lega, che nelle europee del 2019 aveva avuto il 34% dei voti, è ormai a buon punto. Prima ancora, il bombardamento era toccato, come tutti ricorderanno, a Berlusconi. Ora – dopo l'inchiesta di Fanpage sulla lobby nera di Milano e l’assalto che qualche gruppo fascista ha potuto portare alla CGIL senza trovare alcuna resistenza (e c’è da chiedersi perché) – tocca a FdI, al centro dell’attacco perché sembra essere in forte espansione: come dice Ezio Mauro su Repubblica, «non è stato inutile far carico alla Meloni delle ambiguità del suo partito rispetto all'eredità del fascismo. Proprio la crescita nei consensi della formazione dei "patrioti" ha imposto questa necessità, perché oggi si tratta del primo o secondo partito del Paese».

Che – per inciso – è stato dichiarato fuori dall’arco costituzionale, se non fuorilegge, dal ‘rosso-malpelo’ Provenzano: forse però bisognerebbe ricordare al giovane, e forse ignaro, vicesegretario del PD che nessuno accollò le brigate rosse e compagni al PCI.

Ma tutto ciò da solo non spiega l’odierna sconfitta del centrodestra che ha presentato nelle grandi città candidati scelti con metodo discutibile e, spesso, con ritardo. Se non vuole rischiare di perdere quel vantaggio che i sondaggi gli attribuiscono a livello nazionale, esso – memore del bombardamento finora subito e che sicuramente non cesserà almeno fino alle prossime elezioni e, forse, continuerà ad oltranza – deve interrogarsi nel profondo sulle ragioni della sconfitta e risolverle: deve darsi una leadership unitaria, visibile, autorevole, e un programma comune; deve superare la disarticolazione, tra governo e opposizione, dei partiti che lo compongono nonché la concorrenza che questi si fanno per primeggiare (l’ordine sparso non può funzionare).

Questi sono gli effetti del tramonto del tentativo, fatto in vari momenti, di unificarne le sparse membra: quando nacque il PdL, fu la Lega a sottrarsi all’unificazione; poi venne il governo Monti che, insieme con la condanna definitiva in Cassazione, dette il colpo di grazia alla leadership di Berlusconi; oggi le maggiori resistenze vengono da FdI anche a causa delle incertezze sulla legge elettorale, tirata in tutte le direzioni dalle convenienze momentanee dei partiti.

Venendo al PD, il suo segretario, Letta – che pure ha ragione di compiacersi della vittoria ottenuta soprattutto non per i suoi meriti ma per i demeriti degli avversari – sembra inebriato dalla ‘saldatura dell’elettorato’ della sinistra che, avendo consentito questo risultato, comproverebbe il successo della sua strategia per la costruzione del campo largo ‘progressista’, largo abbastanza da includere tutti, dai 5S a LEU e dintorni: ma ricordi che questo campo non può essere quello per una scampagnata sotto un ‘ulivo’ immerso nella nebbia.

Nei prossimi mesi vedremo il progredire di questa costruzione, con tutti i mezzi, anche con la riforma della legge elettorale. Ma, a meno di un anno e mezzo dalle prossime elezioni, a mio avviso non dovrebbe esserci più tempo per mettere mano alla legge elettorale perché, se lo si facesse, sarebbe scandaloso perché chiaramente qualsiasi riforma verrebbe dettata dalla convenienza dei partiti; ci auguriamo comunque che, se nessuno sentisse questo impedimento morale prima che politico e si dovesse rifare la legge, non si vada in direzione del sistema proporzionale: sarebbe il trionfo del trasformismo dopo che, ancora qualche mese fa, abbiamo sentito autorevolissimi teorici elevare i ‘costruttori’ a salvatori della patria e visto qualcuno andare a cercarli con la lampada di Diogene in mano.

L’arnese preferito dall’ex professore di Sciences Po per il lavoro politico è il cacciavite: ce lo ‘narra’ egli stesso in Anima e Cacciavite, il libro ideologico-programmatico di Enrico Letta che propone una ricetta mefistofelica per la salvazione dell’anima del PD, per riscattarla dopo che, negli ultimi anni – cioè da quando è nato – l’aveva venduta al diavolo rinunciando agli alti scopi di giustizia sociale e ridistribuzione della ricchezza. Questo diavolo sarebbe il ‘blairismo’; noi ci permettiamo di suggerire all’autore di chiamare questo satanasso con un altro nome: potere.

A suo avviso, questi errori della sinistra avrebbero generato il successo del populismo e del sovranismo: e non c’è dubbio che egli abbia ragione quando dice che la perdita di consenso elettorale subita dal PD sia stata provocata dalla serie di errori che ne caratterizzano la linea politica e il suo modus vivendi.

Ma di quanti errori la ‘sinistra’ non dovrebbe fare ammenda? Se il populismo e il sovranismo ne sono il parto, di quanti altri figli, sia pure illegittimi, partoriti nello scorso secolo non dovremmo chiederle il riconoscimento? E perché dovremmo fidarci di una così prolifica madre di errori?

Secondo il segretario del PD, sarebbe stata l’epidemia Covid a far tornare alla luce l’esigenza improcrastinabile di perseguire nuovamente questi scopi, di cui perfino lui, quando era al governo, s’era dimenticato; pare che ora, dopo i risultati delle elezioni comunali, il PD voglia porre rimedio a questi errori e non abbia più paura delle elezioni politiche anticipate; pare che – se si sarà assicurato, ancora una volta, un posto al sole al Quirinale – voglia addirittura chiederle per l’autunno prossimo. Speriamo che il PD non perda questo coraggio: anche se solo di qualche mese rispetto alla scadenza naturale della legislatura, vale comunque la pena di anticipare le elezioni. Insomma, non possiamo affidare tutto alla saggezza del Presidente, al carisma di Draghi o ai giochi parlamentari: per rispettare lo spirito della costituzione, le scelte decisive devono essere affidate al popolo.






Fonte: di GIUSEPPE BUTTA'