"LA POLITICA DELLO STRUZZO,
ovvero LA TASSA SOTTO LA SABBIA"

26-10-2021 -

Il disegno di legge delega sulla riforma fiscale, approvato dal governo, contiene anche un progetto di revisione del catasto immobiliare, al quale sembrava si opponessero sia i partiti del centro-destra che fanno parte del governo sia Fratelli d’Italia che è all’opposizione.

Il braccio di ferro tra Salvini e Draghi, iniziato il 5 ottobre quando i ministri della Lega non hanno partecipato alla riunione del Consiglio dei ministri per non votare quel disegno di legge, è finito con un compromesso; Salvini ha ingoiato il rospo fingendo di credere all’ambigua dichiarazione del presidente del Consiglio che intenderebbe rassicurarci dicendo che, tanto, ci vorranno 5 anni perché il processo di revisione degli estimi venga a compimento e che quindi, nell’immediato, nessuno dovrà pagare un centesimo in più.

Una prospettiva che può rassicurare solo i ciechi.

Questa operazione di trasparenza, come Draghi la chiama, sarebbe tale se si limitasse a ricercare gl’immobili non catastati; in realtà essa porta a un ‘riclassamento’ e all’adeguamento dell’estimo degli immobili al c.d. valore di mercato, come vorrebbero i sostenitori dell’inasprimento della tassazione sugli immobili (ovvero della patrimoniale). Siamo convinti, piuttosto, che una tale operazione fornirà, a chi volesse in futuro usare la mano pesante sul patrimonio immobiliare, lo strumento per aumentare l’imposizione fiscale in modo esponenziale senza tenere in conto che il valore di mercato di un immobile, per quanto possa essere cresciuto, è da depurare da tutti i costi sopportati dai proprietari (interessi sui mutui, tasse e manutenzione) e dall’inflazione. Senza tenere in conto soprattutto che un tale inasprimento avrebbe effetti negativi sulle attività produttive (sull’edilizia in particolare). Le quali conseguenze, in un contesto di generale impoverimento dei ceti medi, si sommeranno agli effetti della paurosa inflazione che si profila anche a causa degli spropositati aumenti dei costi energetici, dovuti, almeno in parte, alla politica del governo (e dell’UE) in materia di ‘transizione verde’.

Tra i vari commenti sulla questione del catasto che si sono letti e sentiti a favore della posizione di Draghi – fatta propria dal PD perinde ac cadaver – e contro Salvini – compresi quelli dei ministri di Forza Italia – v’è n’è uno di un famoso ex direttore di giornale che merita di essere riportato ed è questo: che sarebbe vero quello che dice Draghi – nessun aumento delle tasse sulla casa – perché, in primo luogo, passeranno degli anni, e in Italia ciò può significare che passeranno decenni, prima che la riforma venga realizzata ed abbia qualche effetto; in secondo luogo perché, sostanzialmente, questa riforma sarebbe una sorta di ‘grida’ manzoniana: avendo bisogno di agitare un panno rosso davanti all’UE per non perdere i soldi PNRR, il governo ha scritto qualcosa che somiglierebbe vagamente a quella riforma del catasto chiesta dall’UE, ma, una volta approvata, resterebbe sulla carta.

Se così fosse, saremmo di fronte a un colossale raggiro; tuttavia non è verosimile che Draghi, il quale conosce molto bene le istituzioni europee, possa arrischiarsi a prendere in giro l’Europa (a proposito, perché l’UE dovrebbe dettarci la politica fiscale? Perché chi ha trattato il PNRR ha accettato che l’UE entrasse nel merito delle misure da adottare? Non basta che si diano garanzie per il prestito lasciando a noi la scelta dei mezzi per rimborsarlo?); è più facile invece che il raggiro riguardi gli elettori italiani, ai quali viene detto: adesso poniamo solo le basi per aumentare le tasse, l’aumento vero e proprio lo faranno altri, tra cinque anni.

A ‘babbo morto’, cioè dopo le elezioni del 2023.

Per un governo nato come è nato, senza una linea politica legittimata da una scelta elettorale, è difficile affrontare questioni politicamente divisive, dalla legge elettorale in giù o in su.

Ma un governo non può avere un raggio temporale o d’azione limitato: deve pure poter decidere questioni straordinarie emergenti e riforme incisive per affrontare le quali occorre unità politica e d’intenti. E d’incisivo finora poco s’è visto, per esempio in materia di giustizia o di welfare o in merito alle procedure di approvazione dei piani PNRR, che vedono già svantaggiato il Mezzogiorno: alle proteste che si sono levate già è stato risposto con la solita trita promessa di un riequilibrio. Vedremo!

La legge di bilancio, mentre toglie di mezzo quota 100 – forse con l’intento di mettere in difficoltà la Lega che la sostiene – mantiene, mutato nomine, misure da tutti criticate a parole – ma in realtà intoccabili perché la vogliono i 5S e il PD ora in concorrenza per accaparrarsi fette dello stesso elettorato – in un contesto di debito pubblico crescente: sarà questo debito buono?

È per questo motivo che, da sempre, pensiamo che sia stato un errore, purtroppo voluto, non tornare al voto già dopo le elezioni del 2018 o dopo la crisi del 2019 o, ancora, dopo la crisi del gennaio 2021: è possibile che da nuove elezioni uscissero governi più disastrosi di quelli che abbiamo avuto in questi anni ma, almeno, avremmo rafforzato la democrazia evitando il peggioramento dei rapporti tra le forze politiche e, soprattutto, la massiccia diserzione degli elettori che abbiamo registrato in questi giorni: chi volesse spiegarsi un tale esito non dovrebbe che ripercorrere le fasi della anestetizzazione, anzi ‘mitridatizzazione’, del corpo politico democratico.






Fonte: di GIUSEPPE BUTTA'