"LA FANTASTORIA DI SCALFARI"

27-04-2021 -

Eugenio Scalfari è ormai posseduto dalla mania di Cavour: lo vede dappertutto anche là dove non c'era perché non poteva esserci essendo morto 4 anni prima dell'atto che egli gli vorrebbe attribuire.
Nel breve giro di un anno, Scalfari prima ha preso Camillo Cavour come parametro di grandezza – ma in realtà lo ha declassato affermando che Giuseppe Conte, allora presidente del consiglio, ne era il legittimo erede, anzi la copia esatta – e ora, con l'editoriale intitolato Mario Draghi e la lezione di Cavour dell'11 aprile scorso, gli fa impartire una lezione al nostro attuale Presidente del consiglio.

Gli editoriali domenicali di Scalfari sono ormai divenuti pezzi di fantastoria e, se su Cavour e Conte ognuno può avere le opinioni che vuole, questa volta non si può non ricordargli come gli errori e la distorsione dei fatti abbiano le gambe corte come le bugie: questa volta, Scalfari si è inventato di sana pianta che il povero Cavour, primo ministro «non in buona salute … [ma] pronto ad agire per l'Italia unificanda … fece il trasferimento da Torino a Firenze della nostra capitale riservandosi di andare a Roma … In questa situazione l'incontro tra il nostro Re Vittorio Emanuele II e Giuseppe Garibaldi era estremamente opportuno ed avvenne infatti il 26 ottobre 1860 a Teano».
Il Regno d'Italia venne proclamato il 17 marzo 1861, qualche mese prima della morte di Cavour e fu soltanto dopo la Convenzione di Settembre con Napoleone III, del 1864, che il trasferimento della capitale da Torino a Firenze, deciso dal governo Minghetti, avvenne nel febbraio 1865.
Schiaffata sulla prima pagina di ‘Repubblica' dell'11 aprile 2021, una tale notizia falsa – non un errore, perché dobbiamo pensare che Scalfari non ignori la storia, al massimo una licenza che, una volta, era riservata solo ai ‘poeti' e che ora usano molto i giornalisti – produrrà effetti negativi non solo sui suoi lettori del giorno, abituati alle fake news, ma, stante la grande ignoranza storica dei nostri connazionali, anche sulle generazioni future.

A parte ciò, quello che appare piuttosto arcano è il collegamento tra questa premessa e la successiva ‘lezione' che Scalfari intende trarre stabilendo una analogia tra l'incontro di Teano e la «situazione politica interna notevolmente interessante» creata da Draghi.
Il nesso avrebbe due ‘corni': il primo è che Draghi, nei giorni scorsi, «ha dovuto tuttavia occuparsi anche di politica estera» – e questa notizia, francamente, non è un grande ‘scoop' giornalistico – e ha dovuto dare del ‘dittatore' a Erdogan per lo ‘sgarbo' da questi fatto alla von der Leyen. In sostanza Draghi si è trovato a fronteggiare una situazione poco «tranquilla, a difendere gl'interessi italiani nei confronti di interventi stranieri inaccettabili … Questo è il tema, andiamo dai tempi di Cavour a quelli del nostro attuale presidente del consiglio. Non è cosa da poco».

Aggiungiamo noi che, se questa fosse veramente la politica estera di Draghi, affidata per altro al ministro Di Maio, staremmo freschi – e infatti s'è visto come gl'interessi italiani siano stati difesi: la Turchia ha subito annullato i contratti di acquisto di elicotteri italiani come ritorsione per le parole di Draghi – oltre che mossi al riso da tali imprese; ma, in verità, possiamo sorridere solo per le banalità propalate dall'ex direttore di ‘Repubblica' che si fanno ancora più ‘grosse' quando egli spiega il secondo ‘corno'.
In sostanza, dice Scalfari, il governo Draghi è appoggiato anche da un Salvini che persegue la sua politica e «in Europa si muove con la massima indipendenza soprattutto [dalla] politica europea dell'esecutivo di cui fa parte». Questo è certamente vero: Salvini e il suo partito hanno una posizione critica verso alcune politiche dell'UE. Non si vede però perché «una tale situazione non può essere accettata» e sarebbe incompatibile con la partecipazione di Salvini al governo mentre da Draghi dovrebbero essere accettate le ‘politiche' dissonanti degli altri partiti che compongono il suo governo.

Questa opinione di Scalfari era già nota ed è la stessa di quanti nel PD e nei 5S, convinti che la Lega sarebbe andata all'opposizione, avevano ingoiato il rospo della sostituzione di Conte con Draghi: avrebbero preso due piccioni con una fava, avrebbero avuto il governo ed evitato le elezioni.
Ed è sempre per questo motivo che Scalfari vuole rendere Draghi consapevole «dell'accordo sostanziale tra la sua politica italiana ed europea e quella del PD». Insomma, vuole convince Draghi a iscriversi a questo partito come ultimo tassello della costruzione del famoso ‘partito scalfariano'.
Andando avanti, Scalfari aggiunge che è altresì inaccettabile che «Giorgia Meloni, dall'opposizione, utilizza questa libertà europea perseguendo i propri interessi che non coincidono affatto con quelli del governo Draghi». Di questo suo giudizio, certamente per un nostro limite, non riusciamo a capire il senso e Scalfari dovrebbe avere la bontà di piegarcelo: forse che, alla Meloni, non dovrebbe essere ‘concessa' la libertà europea e le si dovrebbe imporre che gl'interessi dell'opposizione coincidano con quelli del governo?

C'è infine un altro importante punto dello Scalfaripensiero che, pur essendo chiarissimo, merita di essere ulteriormente chiarito: oltre all'endorsement per la rielezione di Mattarella in quanto ‘pilastro della democrazia', in quest'articolo Scalfari dice pure che «i nomi che rinforzano la democrazia italiana sono: Sergio Mattarella, Mario Draghi, Giuseppe Conte e il PD», invece non dice nulla di un altro pilastro della democrazia – le elezioni – lasciato in rovina da anni visto che alle elezioni si preferisce il trasformismo.

Bene! ma – non soltanto per fargli notare che non è carino associare a ‘nomi propri' così importanti e consolidati un ‘nome' che forse cambierà ancora dopo la ‘femminilizzazione' del partito voluta da Letta: PCI/PDS/DS/PD/PDF? – ci permettiamo, sommessamente, di suggerire a Scalfari di aggiungere il proprio nome a quel quartetto – cosa che, sicuramente per modestia, non ha fatto in questa occasione – e di chiedergli, umilmente, di spiegare quale sia la lezione cavouriana di cui parla – quella di Firenze e Teano o quella della politica estera, o entrambe? – perché vorremmo impararla anche noi.




Fonte: di GIUSEPPE BUTTA'