"L’EUROPEISMO E' IL NUOVO INTERNAZIONALISMO?"

23-03-2021 -

Il neoeletto segretario del PD Enrico Letta, votato quasi all’unanimità dall’assemblea nazionale, si è presentato ribadendo con forza che l’identità del Partito democratico è costituita in gran parte anche dall’adesione agli ideali dell’europeismo. Ora, non c’è dubbio che questa presa di posizione costituisca una seria garanzia per contribuire a mettere mano alle riforme di cui l’UE necessita. Il problema è semmai, un altro; può l’europeismo, ancorché sincero e motivato, fungere da ideologia di un partito politico? Non è questa, ovviamente, la sede per ripercorrere gli eventi che hanno portato alla dissoluzione del PCI e della DC e alla successiva nascita del PD. Travolti i comunisti e i democristiani dal crollo di quella che è stata chiamata impropriamente la Prima repubblica, sono andate impallidendo e poi scomparendo le ideologie “forti” che avevano dato riconoscibilità e sostenuto quei due grandi partiti popolari. In particolare, a sinistra, dopo il 1989 e il crollo dei regimi a guida comunista nell’Est europeo, resisi presto conto dell’inservibilità del concetto di internazionalismo proletario lo si è sostituito in fretta con l’adesione all’europeismo, in formule acritiche e talvolta persino caricaturali.
Potremmo liquidare il tutto con una battuta e dire che l’europeismo è cosa troppo seria per essere lasciata al PD e tuttavia, questo non ci farebbe fare alcun passo in avanti. Ovviamente questi rilievi non si applicano a Enrico Letta il cui impegno europeista è testimoniato dai suoi comportamenti e dai suoi scritti. Resta, però, il dubbio che difficilmente l’europeismo possa rappresentare da solo la stella polare di una forza che si autodefinisce di sinistra tanto più che la stessa Unione europea richiederebbe l’impegno delle sinistre per tornare ad essere quell’aggregato sovranazionale che forniva sì, indicazioni rigorose ai propri membri in merito all’osservanza di principi e regole ma che sapeva, all’occorrenza fornire il proprio aiuto a chi di essi si fosse trovato in difficoltà.
Recentemente Luciano Canfora ha rilasciato una intervista in cui ha ben posto il problema: se ormai è la maggioranza a riconoscersi nell’europeismo, quale può essere la discriminante tra coloro che lo professano? Al giornalista che lo interroga sulle caratteristiche del PD, risponde: «Non è più un partito di sinistra. Ha sostituito al bagaglio intellettuale e pratico suo caratteristico, una parola priva di senso che diventa un Santo Graal discriminante: l’europeismo. Mi chiedo cosa significhi. Siamo tutti europeisti, ma stai con i lavoratori o con i detentori del capitale? Con gli sfruttati o con chi trae profitto dal lavoro dipendente? Un continente non è un’idea politica, magari lo era nella testa di Altiero Spinelli che diceva “l’Europa, se ci sarà, dovrà essere socialista”. Citano Spinelli ma non hanno letto il Manifesto di Ventotene».
L’Europa è al tempo stesso il problema e la soluzione. Il problema perché, con la sua inazione e peggio ancora con la sua fede nell’austerità espansiva ha permesso che all’interno dei paesi che ne fanno parte crescessero e maturassero rigurgiti nazionalisti e movimenti euroscettici e la soluzione perché, adottando rimedi non più in linea con l’ortodossia neoliberale ha tagliato le unghie a questi movimenti come la Lega in Italia e il Rassemblement national di Marine Le Pen in Francia entrambi rifluiti su posizioni più moderate. Teniamo poi presente che l’UKIP di Farage dopo aver ottenuto la Brexit è stata notevolmente ridimensionata e ci accorgeremo che, a presidiare i bastioni dell’euroscetticismo (e anche della violazione di alcuni importanti diritti dei loro cittadini), sono rimasti i paesi dell’ex-blocco sovietico le cui ragioni hanno radici ben più profonde di quelle dei paesi dell’Europa occidentale, ma ci sarà modo di tornare a parlarne.



Fonte: di ANDREA BECHERUCCI