"«UCCIDETE PURE ME, MA NON UCCIDERETE MAI LE IDEE CHE SONO IN ME»"

22-02-2021 -

L'Italia è un Paese che ama celebrazioni e ricorrenze, ma che dimentica anche molto in fretta. A ricordarcelo, proprio in questi giorni, è un articolo apparso sull'edizione romana de «Il Corriere della Sera» (M. Pelati, Il monumento a Matteotti diventa discarica e rifugio per i senzatetto, 9 febbraio 2021): «Tra i rifiuti – si legge – ci sono anche escrementi, dietro alla scultura c'è un rifugio fatto di cartoni e coperte, poveri oggetti di un senzatetto. Abbandonato al degrado, il monumento dedicato a Giacomo Matteotti su lungotevere Arnaldo da Brescia è inghiottito dalla trascuratezza. A rendere omaggio all'ex parlamentare socialista ucciso da una squadraccia fascista il 10 giugno 1924, è rimasto solo un mazzo di fiori secchi sulla targa del 1974, realizzata in occasione del 50esimo anniversario dell'omicidio quando è stato eretto il monumento». Così, innanzi all'opera dello scultore Jorio Vivarelli, in un'area di competenza del Campidoglio dove, tra l'altro, la sindaca Virginia Raggi si recò nel giugno 2018 per «rendere omaggio ad un uomo e un politico che […] è un grande esempio di difesa della libertà» (Raggi alla cerimonia in ricordo di Giacomo Matteotti, «Roma Today», 10 giugno 2018), vi sono soltanto povertà, sporcizia e degrado.
Già in passato era stata distrutta la lapide posta alla base del monumento dal rinato Psdi in occasione dell'80esimo anniversario dell'assassinio del deputato di Fratta Polesine. Ma quello fu un atto vandalico; adesso si parla delle responsabilità pubbliche di un'amministrazione comunale che non presta le dovute accortezze al mantenimento di un opera dedicata alla memoria di uno dei primi martiri della violenza fascista, che osò denunciare in Parlamento i brogli e il clima intimidatorio in cui si svolsero le elezioni dell'aprile 1924, quelle della celebre legge Acerbo.
Matteotti pagò con la vita quelle denunce! Rapito e ucciso il 10 giugno 1924, il suo cadavere venne ritrovato soltanto in agosto, occultato nel bosco della Quartarella, poco fuori la capitale, nelle proprietà terriere del principe Francesco Boncompagni Ludovisi, deputato fascista e presidente del Banco di Roma. Si trattò di un omicidio politico che fece scalpore in Italia e all'estero e che, come ha scritto Aldo Garosci nella biografia dedicata a Carlo Rosselli – anch'egli assassinato, assieme al fratello Nello, su mandato del fascismo italiano – «significava chiaramente la fine della finzione parlamentare, della finzione del blocco nazionale, della finzione liberale. Attraverso la quale fino allora, nel regime personale mussoliniano, vecchia Italia e stato totalitario squadrista avevano convissuto». In molti reagirono all'omicidio del leader socialista iscrivendosi al suo partito. Lo fece Rosselli; fu così anche per Sandro Pertini che a Italo Diana Crispi, segretario del Partito Socialista Unitario di Savona, scrisse: «Ho la mano che mi trema, non so se per il grande dolore o per la troppa ira che oggi l'animo mio racchiude. Non posso più rimanere fuori dal vostro partito, sarebbe vigliaccheria. Pertanto, pronto ad ogni sacrificio, anche a quello della mia stessa vita, con ferma fede, alimentata oggi dal sangue del grande Martire dell'idea socialista, umilmente ti chiedo di farmi accogliere nelle vostre file» (l. del giugno 1924, in S. Pertini, Carteggio 1924-1930, a cura di S. Caretti, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 2005, p. 21).
Eppure il monumento a Matteotti, voluto ed inaugurato negli anni Settanta – anni terribili per il Paese tra tentativi golpisti, stragismo, terrorismo, fino all'omicidio di Aldo Moro – lasciava presagire tutt'altro futuro per il mantenimento della memoria del segretario del Psu. All'inaugurazione, il 10 giugno 1974, parteciparono il Presidente della Repubblica Leone e il Presidente del Consiglio Rumor, Nenni, Amendola per il Pci, Lama in qualità di segretario generale della Cgil, il Presidente dell'Internazionale socialista Bruno Pittermann; Saragat tenne, poi, l'orazione ufficiale (Inaugurato il monumento a Matteotti, «Avanti!», 11 giugno 1974).
Come abbiamo scritto in principio, però, gli italiani dimenticano rapidamente. Nelle scuole, oltretutto, certi argomenti sono trattati poco o, peggio ancora, narrati con superficialità e discipline come la storia e l'educazione civica non sono più elevate a materie d'insegnamento per formare gli uomini e i cittadini di domani. Perché dunque sorprendersi per un monumento dedicato ad un caduto della lotta antifascista lasciato nel completo degrado? Probabilmente perché ci sono ancora persone in grado di indignarsi di fronte ad una tale situazione, testimonianza di una cittadinanza e di una classe politica oramai idealmente lontane rispetto a determinati valori. I nostri “politicanti” vivono ed esercitano il proprio mandato popolare in un Italia civile, membri di istituzioni democratiche in rappresentanza di milioni di elettori, ma trascurano e, a volte, ignorano il lungo percorso che ci ha portati – a che prezzo in vite umane, in sofferenze e privazioni! – alla costituzione di una «Repubblica democratica, fondata sul lavoro», nella quale «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Ricordiamocelo, ricordiamoglielo.
Giacomo Matteotti era un uomo che credeva fermamente nella libertà e nella democrazia, così come nella lotta socialista per l'emancipazione del proletariato e per i diritti dei lavoratori contro ogni sfruttamento e sopruso. Egli credeva, sì, nella lotta di classe, ma condotta con metodi non violenti. E così, dopo aver rimproverato a Togliatti – relativamente alla proposta del Partito Comunista d'Italia di dar vita a un blocco unitario delle sinistre alle elezioni del 1924 –, di concepire l'unione delle forze operaie con un «indirizzo tattico comunista ben sapete antitetico» a quello del Psu, così scriveva alla direzione del Pcd'I: «Restiamo ognuno quel che siamo: Voi siete comunisti per la dittatura e per il metodo della violenza delle minoranze; noi siamo socialisti e per il metodo democratico della libera maggioranza. Non c'è quindi nulla di comune tra noi e voi» (ll. del 25 gennaio e 16 aprile 1924, in G. Matteotti, Epistolario 1904-1924, a cura di S. Caretti, Pisa, Plus, 2012, pp. 213-214, 243-244).
Ci pare opportuno concludere questa breve riflessione con le parole di Gaetano Arfè, storico e militante socialista, riprese da un saggio del 1966, anno della riunificazione tra Psi e Psdi: «si può dire, senza retorica, che con la morte di Matteotti nasce l'etica dell'antifascismo, motivo ispiratore dei venti anni successivi della storia d'Italia, e forse ancora qualcosa di più: la “religione della libertà” quale storicamente si esprime in un largo scorcio del nostro tormentato secolo» (Giacomo Matteotti uomo e politico, «Rivista Storica Italiana», LXXVIII, 1, 1966).
Ecco, dunque, chi è stato Giacomo Matteotti, alla cui memoria questo Paese non è nemmeno in grado di conservare omaggio.



Fonte: di MIRCO BIANCHI