"NON CI RESTA CHE DRAGHI"

22-02-2021 -

Il 7 dicembre 2020, ormai lontano, Matteo Renzi notificò al governo Conte bis di non potere accettare un Recovery plan «senza anima e raffazzonato», concepito da qualche demiurgo senza che vi fosse stato un serio dibattito con le forze politiche, l'opposizione parlamentare nonché le autonomie locali e le parti sociali: era un preavviso della crisi che sarebbe scoppiata un mese dopo ma nessuno lo prese sul serio né si adoperò per superarne le obiezioni e prevenire la crisi del governo. Nemmeno Conte; ma, poverino, bisogna capirlo! In attesa dei 300 giovani e forti esperti della governance, che egli aveva in animo di chiamare in soccorso e che quel cattivone di Renzi invece gli negava, Conte personalmente e quella squadra di ministri che si ritrovava non erano in grado di fare se non qualche rattoppo.
Solo il Presidente Mattarella se ne preoccupò e, nel suo discorso di fine anno, fece un appello ai ‘costruttori' perché puntellassero il governo; tuttavia non abbiamo alcuna remora ad affermare che il Presidente della Repubblica non ha saputo constatare tempestivamente il decesso del governo Pd-5S facendo sì che si perdesse più di un mese con le liturgie quirinalizie.
Una crisi al rallentatore – mai vista in queste proporzioni – della cui durata infinita non è responsabile chi l'ha aperta: dopo le dimissioni delle ministre di Italia Viva, il Presidente del consiglio Conte è salito al Colle non per presentare le dimissioni del governo ma per ottenere tempo per la ricerca dei ‘costruttori': tempo che gli fu concesso insieme con il ‘saggio' consiglio di non limitarsi a raccogliere voti sparsi, 'raccogliticci', dei fabbri del ‘trasformismo' sempre in servizio, bensì quelli dei 'raccogliticci uniti', di un gruppo parlamentare ‘nuovo' quale quarta gamba del ri-nascituro governo.
Non possiamo che esprimere tutta la nostra fierezza perché, dopo un lungo letargo, il genio italico – che, con Machiavelli, aveva dato l'ultimo suo contributo alla scienza politica ormai 500 anni fa – ora ha formulato la legge ferrea dei 'raccogliticci uniti', frutto di un concepimento miracoloso partorito dalla cosiddetta 'Costituzione più bella del mondo'.
Dopo un tale tentativo, che vide il governo non andare in minoranza solo grazie all'astensione dei renziani ma fermarsi a 155 voti in Senato, il Conte ottenne ancora cinque giorni per assumere altri senatori oltre i dieci già arruolati, giorni durante i quali abbiamo sentito l'ormai ex Presidente del consiglio rivolgere un elevato appello «a socialisti, liberali, moderati» perché costruissero quella quarta gamba di cui s'è detto: purtroppo venne fuori solo una gamba di legno non abbastanza solida perché il quadrupede potesse rizzarsi sulle 4 zampe.
A quel punto Mattarella ha nominato Fico esploratore – ma non di terre vergini bensì, più modestamente, solo dell'orticello di casa – che si fece addirittura pronubo convocando una quattro giorni di ritiro spirituale durante il quale i partiti della vecchia coalizione, compreso quello di Renzi, avrebbero dovuto elaborare il programma del nuovo governo da consegnare a chi, poi, sarebbe stato nominato presidente del consiglio – cioè a chi in teoria avrebbe il potere-dovere di determinare l'indirizzo politico del governo – perché lo facesse proprio senza cambiare una virgola: un inedito assoluto e assurdo ma un altro bel contributo alla scienza politica!
Questo sforzo immane si spense in un aborto procurato dal solito Renzi mentre un incessante tam tam, suonato dai dem e da Casalino, avvertiva l'attonito mondo come l'apertura di quella crisi fosse stata fatta da un irresponsabile e lo stratega di Zingaretti, il povero Bettini – a lutto per la perdita di Conte da lui addirittura elevato a futuro candidato premier dell'alleanza organica PD-5S – accusava Renzi di essere stato il sicario di occulti mandanti.
Da sempre avverso al ‘renzismo', io non esito a dire che, in questo caso, Renzi, aprendo quella che è stata la crisi di governo più necessaria della storia della Repubblica, piuttosto che irresponsabile si è reso benemerito per avere procurato il bene incommensurabile della rimozione della coppia Conte-Casalino.
A questo punto, finalmente, è intervenuto Mattarella che – con un discorso da molti lodato come elevato, degno di Churchill – ha spiegato come e qualmente egli, garante della costituzione e piccolo padre della nazione, si trovasse a dover scegliere tra elezioni o governo di ‘alto profilo'.
Devo dire che, a me, quel discorso è sembrato piuttosto una litania degli impedimenti dirimenti e impedienti che non permetterebbero di andare al voto. Il Presidente ci ha pure spiegato che, è vero, altrove si vota anche con pandemia imperversante ma solo perché si e giunti alla scadenza naturale dei mandati di parlamenti o presidenti: non è giusto né necessario votare se, invece, come nel nostro caso, il parlamento non è capace di dare vita a un governo decente. A suo avviso, tra indizione delle elezioni, insediamento del nuovo Parlamento e formazione del nuovo governo, si perderebbe troppo tempo, più di quattro mesi, sicché in questo lungo periodo non sarebbe possibile governare la pandemia nei suoi effetti sanitari e sociali né definire, finalmente, il Recovery plan.
Molte delle ragioni addotte da Mattarella per non sciogliere le Camere e mandare il paese alle elezioni – che sarebbero l'unico mezzo idoneo a chiarire il quadro politico ed esprimere di una maggioranza politica, di destra o di sinistra, che assuma la responsabilità del governo ma alle quali è stata preferita una manovra di palazzo ogni qualvolta si sia determinata (almeno dal 2011) la necessità di un tale chiarimento – ci appaiono poco fondate se non pretestuose.
Il fatto è che il calcolo dei tempi occorrenti per lo svolgimento delle elezioni, sebbene preciso, non tiene conto del tempo perduto da quando Renzi minacciò di ritirare dal governo i propri ministri e della possibilità, che il Presidente avrebbe avuto, di inviare un messaggio alle Camere per sollecitare quel dibattito sul Recovery plan che il governo PD-5S, sprecando i lunghi 7 mesi da luglio 2020 a gennaio 2021, non aveva voluto promuovere, e perché il governo disponesse le opportune misure per lo svolgimento delle elezioni in sicurezza sanitaria e riducesse anche i tempi per l'insediamento del nuovo Parlamento e la formazione del governo (anche, per esempio, rendendo più snelle le sfarzose consultazioni quirinalizie che si svolgono tra drappelli di corazzieri marcianti e commessi con uniformi medievali, cose che non si vedono nemmeno a Buckingham Palace): forse sarebbe il caso di imitare Gran Bretagna o Israele dove, in poco più di due mesi, si è votato e si voterà in piena pandemia; sarebbe una riforma da annoverare insieme con quelle della giustizia e della burocrazia, così necessarie al nostro Paese.
E poi, se non si può votare a causa della pandemia, perché non si rinviano tutte le elezioni previste da qui a giugno, Calabria, Roma, Milano, etc., e la suppletiva nel collegio di Siena, dove verrebbe paracadutato Conte perché non resti disoccupato troppo a lungo?
Ma, come vogliono PD e 5S, elezioni non se ne devono fare se non dopo che l'attuale Parlamento – la cui composizione è anche difforme da quella prevista dalla riforma pentastellata – avrà eletto il Presidente della Repubblica, speso i 209 mld. del Recovery fund, fatte le nomine di sottogoverno e una nuova legge elettorale che impedisca la vittoria degli oppositori come qualche giorno fa ha consigliato un certo Corrado Augias, ospite di Bianca Berlinguer su Rai 3, che ci ha avvertito di un pericolo incombente: «stando ai sondaggi, il Centrodestra vince e se vince avrà la mano vincente anche sull'elezione del prossimo Presidente della Repubblica e questo sarebbe un disastro».
Un bell'esempio di antifascismo in continuità con la grande ammucchiata dell'agosto 2019, motivata dal PD nello stesso modo.
Quando il Presidente della Repubblica ha tirato fuori dal cappello il nome di Draghi – per fortuna senza sentire il bisogno di nominarlo senatore a vita anche se Draghi lo avrebbe meritato molto più di altri elevati al laticlavio quasi dal nulla e che da più di qualche lustro pesano sul nostro erario esangue – non si poteva che esserne lieti perché si poneva finalmente fine alla penosa ricerca dei ‘raccogliticci uniti'. Tuttavia abbiamo temuto che, dietro l'appello per la formazione di «un governo che non debba identificarsi con alcuna formula politica» se non quella della responsabilità verso la nazione, potesse esservi un retropensiero: sembrava possibile – e forse si auspicava – che i partiti del centro-destra rifiutassero di aderire a un tale appello lasciando così il campo alla coppia 5S-PD e alla formazione di un governo con ministri (compreso lo stesso Conte) espressione dei partiti che avevano formato quello precedente; insomma, la speranza era di formare un governo con il solo pennacchio di Draghi ma con la stessa maggioranza PD-5S appena defunta, così evitando ancora una volta le elezioni con ragioni ammantate di tremebonda saggezza.
Non so se tale soluzione fosse il frutto di un calcolo; tuttavia la sensazione che fosse stato tentato un bluff non era infondata. La decisione di Salvini di appoggiare il governo Draghi – imprevista quanto quella di Renzi di far finalmente cadere l'imbarazzante governo Conte – ha impedito a PD e 5S di realizzare questo disegno una cui parte essenziale, sebbene illusoria, sarebbe l'alleanza organica che riserva ai 5S un ruolo ancillare, da Partito contadino polacco'. Da qui le reazioni scomposte di questi due partiti e dei loro caudatari dell'informazione: sentimmo sinanco il misurato Gianni Cuperlo gridare all'untore, la Lega, e ipotizzare lo sganciamento del PD per evitare la contaminazione; i 5S poi, per bocca dell'avvocato del popolo, hanno tentato di ostacolare fino all'ultimo l'entrata della Lega nel governo e, a governo Draghi fatto, qualcuno – utilizzando servizievoli tam tam televisivi – ha cercato e cercherà ancora di far saltare i nervi a Salvini spingendo Draghi a polemizzare sulla «irreversibilità della scelta dell'euro e … di un'Unione europea sempre più integrata».
Prima di questa ‘mossa del cavallo' salviniana, tutti – compresi i 5S che tre anni fa rifiutarono perfino di incontrare il ‘pregiudicato' – avevano invece accettato di buon grado l'adesione di Berlusconi nella speranza che il centro-destra si spaccasse, con Lega e Fratelli d'Italia fuori: ciò conferma il sospetto che si volesse un ‘falso' governo di emergenza al solo fine di evitare le elezioni e non si fa peccato se si pensa che, se i veti di 5S-PD-LEU contro Salvini avessero portato all'insuccesso nella formazione del governo, questi partiti avrebbero pure beneficiato di un effetto collaterale desiderato: l'eliminazione di Draghi dall'orizzonte politico e da quello del Quirinale.
In atto assistiamo a una difficoltosa digestione della partecipazione di Salvini mentre si cerca di addolcire il boccone amaro; per esempio, Zingaretti attribuisce alla Lega una (falsa) ‘contorsione' europeista e, a Draghi, l'intenzione di una ulteriore cessione di quote di sovranità in favore della U. E.: una sorta di contrappasso per Salvini i e ‘sovranisti'.
È chiaro a tutti che l'unica alternativa decente alle elezioni è stata quella di un governo d'emergenza guidato da Draghi con l'appoggio di tutte le forze politiche disponibili, benché non molto ricco di ‘spirito' di unità nazionale o di quello spirito repubblicano invocato da Draghi nel suo discorso al Parlamento (basta sentire Zingaretti dire, a governo fatto, «noi premiati … vinta la sfida!»: come se fino all'ultimo non avesse detto ‘o Conte o morte!').
Forse Draghi avrebbe fatto meglio, nel primo consiglio dei ministri, a non limitarsi a un appello all'unità dei ministri, ma a concordare le linee generali della politica e dei comportamenti che essi dovrebbero seguire; egli avrebbe così evitato di sentirsi accusato di ‘monadismo' e di dare ai partiti che lo sostengono l'alibi di essere stati esclusi dalla definizione del programma sebbene tutti tentino di spacciarlo come modellato sul proprio; egli così avrebbe pure evitato che i ministri facciano di testa propria: nel primo giorno di attività del governo, il ministro Speranza ha provocato un primo incidente annullando la riapertura delle attività sciistiche autorizzata appena una settimana prima, misura alla quale, poi, Draghi ha dovuto dare la propria copertura con una tardiva nota che, però, fa figura di toppa peggiore del buco.
Resta il fatto che, «per la contraddizion che nol consente» – vecchia regola che ha già impantanato la coalizione PD-5S-LEU-IV come prima aveva fatto con quella tra Lega e 5S – il pur ottimo Draghi difficilmente potrà realizzare una politica coerente con una maggioranza così composita, senza un programma condiviso se non genericamente, indebolito dalla presenza di parecchi ministri del passato governo, peraltro da molti ritenuti inadeguati e, probabilmente, imposti dall'alto – sembrerebbe che si sia tornati allo Statuto Albertino – in esecuzione di un disegno politico che si sovrappone a quello del Presidente del consiglio, se non lo contrasta.
Non so se Draghi sia pure capace di smentire Dante ma, fatto salvo il suo valore personale, temo fortemente che lo scacco al suo governo non verrà da Fratelli d'Italia, unico partito all'opposizione, bensì dall'interno della sua coalizione. È dunque un errore non limitare il raggio d'azione del governo Draghi nel tempo e ai pochi punti programmatici – Recovery plan, un piano vaccinale che ripari alle gravi deficienze e omissioni di quello Conte/Arcuri, provvedimenti economici urgenti – realizzabili a breve termine.
Quelli di più lungo termine – certamente importanti ma, nello stesso tempo fuori dalla portata temporale del governo limitata, al massimo, a solo due anni – vanno lasciati sullo sfondo: infatti non vogliamo e non dobbiamo rinunciare alla speranza che si possano indire le elezioni entro l'autunno prossimo; è per questo motivo che abbiamo molto apprezzato che Draghi non abbia in programma la riforma della legge elettorale.



Fonte: di GIUSEPPE BUTTA'