"LA QUESTIONE DEL SOCIALISMO NON PUO’ ESSERE ELUSA" di Paolo Bagnoli

20-12-2020 -

Qualche volta ritornano. E’ proprio così. E’ la volta di Massimo D’Alema che, recentemente, in un colloquio con Antonio Polito (“Corriere della Sera”, 19 dicembre 2020) ha lanciato l’idea di un “partito nuovo”; di “una forza nuova, una vera e propria associazione politica.” Un partito che, in “più dovrebbe avere una ideologia.” Bene che D’Alema, se pur impegnato in altre cose di alto livello internazionale come consulente, abbia deciso di tornare nella politica italiana ragionando e proponendo sulla sinistra del nostro Paese anche se il “cantiere della sinistra” di alcune settimane orsono, promosso da Italianieuropei, ci è sembrato più che un luogo di lavori in corso una specie di sommersi e salvati che ben poco possono dire su una così grande questione.
Presa alla lettera, tuttavia, la proposta di D’Alema, in linea generale, la condividiamo; anzi, la sosteniamo da tempo. Il problema, però, è ben più complesso di come lo pone l’ex-presidente del consiglio e, alla fine, riguarda la questione di quale ideologia per quale partito. Sembrerà strano, ma intanto bisogna capire cosa si intenda per sinistra. La visione di D’Alema, tutta impregnata di politicismo realistico, non ci sembra avere un valore strategico, ma solo tattico. Il nuovo partito, a fronte di una nuova legge elettorale con sbarramento, dovrebbe dare una casa a tutti quelli – da Speranza, a Renzi, a Calenda, a Bonino, ai Verdi – che sono fra si e no al 3%, di ritrovarsi insieme al Pd per intercettare, si capisce, quei voti di sinistra – alcuni milioni – andati a suo tempo ai 5Stelle, soprattutto nel Meridione sperando in “un programma di redistribuzione del reddito” e che, quindi, non possono considerarsi di destra. Il nuovo soggetto poi, a suo parere, dovrebbe avere talune caratteristiche proprie del modo di essere del vecchio Pci. In tutta sincerità ci sembra un discorso di corto respiro e non perché non torni sul piano logico, ma in quanto tradisce il riproporsi di un’abitudine, che è stata fallimentare, del post-comunismo; quella di ideare, di volta in volta, qualcosa di nuovo per contendere nell’immediato il governo; finalizzata esclusivamente alla conquista del potere. Se questo è il partito nuovo, la sua ideologia non può che essere il governismo. E, a proposito di governo, è vero che quello di Conte non ha alternative e, quindi, l’operazione dovrebbe configurarsi senza destabilizzare l’assetto presente facendo capire che la formula in atto – con Conte o senza Conte – dovrebbe riproporsi anche nel futuro. E’ chiaro che si vuole impedire alla destra di andare a Palazzo Chigi e ciò non è criticabile, ma allora perché parlare di una forza nuova e non, come sarebbe più appropriato, di un’alleanza elettorale che, come tale, sarebbe destinata a segnare un passaggio e non ad aprire un processo rifondativo della sinistra? Nel caso italiano, inoltre, il problema va a braccetto con quello della riedificazione etica e giuridica delle nostre istituzioni.
Il vuoto della sinistra, di un suo campo di riferimento e di un partito che ne sia l’asse portante, si avverte sempre più. Tale processo, tuttavia, non può prescindere dal porre la questione nel vivo della storia italiana, di quanto ha portato alla fine della prima repubblica nonché del paradigma destrutturante della democrazia italiana che ha caratterizzato quanto è venuto dopo, fino all’esplodere e all’affermarsi del populismo, del razzismo, dell’antieuropeismo e del disprezzo per la democrazia liberale. Occorre fare i conti con le responsabilità di chi ha creato questo vuoto; della morte del Psi e di quanto rimasto del Pci, e non era poco, ci ha messo di suo. La situazione attuale non è colpa solo della destra, cui riteniamo appartenga nella sostanza, anche il grillismo, ma anche di chi ha abbandonato la lotta non dimostrandosi all’altezza di quanto la stagione storica ha squadernato nei fatti con conseguenze assai negative sul piano sociale e istituzionale; sul complesso effettuale della politica democratica.
La sinistra, per essere, deve essere mossa da un’intenzione non tattica, bensì strategica, al fine di riorganizzare, in un contesto di lotta democratica, i ceti più deboli, gli esclusi, gli sfruttati, i salariati senza salario; per ridare dignità di vita e prospettiva civile alle donne e ai giovani; per disegnare una società non basata sull’occasionalità e sullo sfruttamento, ma su certezze di libertà e di giustizia sociale. Per difendere lo stato di diritto. Occorre riconfigurare il ruolo dello Stato, combattere la cultura del mercatismo, impegnarsi per una cultura della solidarietà internazionale, per porre l’uomo prima dei processi di profitto di un’economia malata che umilia e toglie morale anche all’impresa sana, concepita come produttività non solo destinata a fare guadagni e a dare lavoro, ma a creare incivilimento. Ma se tutto ciò significa chiarire le basi per far rinascere la sinistra e richiamare alla militanza e alla lotta ceti e persone che si riconoscono in tale necessità, occorre dotare il processo di uno strumento che interpreti e rappresenti il movimento. Ciò non può che avere lo sguardo lungo della storia e che, quindi, anche il problema immediato di impedire alla destra di andare al potere, assuma un’altra valenza che si misuri, appunto, sui tempi un po’ più lunghi della storia. E che nessuno, al proposito, ripeta la frase di Keynes che “sui tempi lunghi saremo tutti morti” perché così continuando, politicamente s’ intende, lo saremo prima visto il forte vento di destra che spira in Italia.
Allora: problema dello strumento, ossia di quale partito occorra e dell’ideologia che lo deve caratterizzare sono le due inevitabili facce della medesima medaglia. Ecco perché serve un partito socialista nuovo la cui ideologia sia quella socialista liberale. Nelle considerazioni di D’Alema si parla della necessità di avere un nuovo partito, che esso si doti di una ideologia e abbia una virtuosità stile Pci; si capisce a cosa possa servire nell’immediato, ma che cosa in effetti possa essere non lo si comprende; ovvero, si comprende che con il socialismo non dovrebbe avere nulla a che vedere. Così pensando si fa poca strada, deficitando la compiutezza della questione. Il che non è un problema da poco.
Le proposte di D’Alema ci dicono quanto ancora il problema non abbia maturato se stesso e come, per tornare in campo, la sinistra non debba avere né un comportamento tatticistico né tantomeno reducistico, ma il senso del presente riletto sulla lezione che ci viene dal passato, per elaborare un futuro che ridia speranza e voglia di riesserci, e di lottare, per gli ideali della libertà, della democrazia e della giustizia sociale. In tale percorso, il problema del soggetto socialista è ineludibile.