"LE REGOLE DEL GIOCO"

20-12-2020 -

Donald Trump non è il primo candidato alle presidenziali americane a contestare il risultato dell’elezione. Negli ultimi 20 anni è diventata una routine che i perdenti mettano in dubbio la legittimità del vincitore. Benché Al Gore avesse ammesso la sconfitta riconoscendo la vittoria di George W Bush dopo una lunga battaglia post-elettorale, molti democratici si rifiutarono di accettarla. Parecchi repubblicani, incluso Trump, contestarono la vittoria di Barack Obama nel 2008 invocando il motivo infondato che non era nato negli USA e quindi non era eleggibile. Nel 2016 i democratici sostennero senza prove che Trump era stato eletto grazie a una collusione con il Cremlino. Trump è andato oltre: a due mesi dalle elezioni, continua a insistere che il voto è stato truccato. Nonostante la Corte Suprema abbia respinto tutti i ricorsi per annullare il voto; nonostante i 538 membri del collegio elettorale abbiano confermato la vittoria di Joe Biden con 306 voti – ne sarebbero stati sufficienti 270; nonostante Mitch McConnell, il potente leader dei senatori repubblicani, abbia preso atto della sconfitta di Trump; nonostante perfino Vladimir Putin, dopo aver a lungo esitato, si sia congratulato con il presidente eletto, Donald Trump continua a tentare di ribaltare il risultato elettorale. Dice Chris Coons, senatore democratico del Dalaware: il fatto che ci siano ancora colleghi che rifiutino di riconoscere in Joe Biden il nostro prossimo presidente mette a rischio la nostra democrazia. Coons non è l’unico a pensarla così. Numerosi analisti politici vedono in questo comportamento ostinato e irragionevole un’ulteriore malaugurata pietra miliare sulla strada della disintegrazione della stabilità politica americana. Non è solo il rifiuto di accettare il risultato elettorale che mette in evidenza la fragilità della repubblica. Dati elettorali alla mano, non c’è dubbio che Trump, benché abbia perduto il voto popolare, ha avuto più voti di qualunque precedente candidato repubblicano. Se il 5 gennaio il partito potrà conservare uno dei due seggi al senato in Georgia, manterrà il controllo della Camera Alta del Congresso. Quanto alla Camera dei Deputati e a livello statale i repubblicani hanno guadagnato molti seggi. I sondaggi indicano che due terzi dei repubblicani condividono l’opinione di Trump che ci sono stati brogli alle elezioni. Il che significa che se questa convinzione persisterà, decine di milioni di americani respingeranno l’idea che il loro presidente li rappresenta. Il non riconoscere il principio che la legittimità non si limita alla propria tribù, ha dato il via in questi ultimi anni a una sorta di monomania politica, i cui aderenti ritengono che tutte le virtù stanno dalla loro parte, e tutti i vizi nei loro avversari politici. Questo e il fatto che Trump non fa mistero della sua decisione di ripresentarsi nel 2024 perché vuole la rivincita, indicano che i prossimi anni saranno dominati da una sorda guerra fredda dove i partigiani di un partito vedranno nell’avversario il cittadino di un paese nemico. Non a caso l’idea di secessione si sta riaffacciando con preoccupante frequenza. Il problema che presenta il dover governare una nazione divisa può anche trasformarsi per il presidente eletto Biden in opportunità, se lui e i suoi avversari politici riescono a coglierla. Se in Georgia il 5 gennaio vinceranno i repubblicani, Joe Biden sarà il primo Presidente eletto con un Senato controllato dal partito di opposizione negli ultimi 30 anni. Per riuscire a governare, per realizzare i suoi obiettivi dovrà fare ciò che nessuno dei suoi predecessori avevano dovuto fare: governare con la persuasione, conquistare metà di una assemblea legislativa ostile e metà di un pubblico scettico. Joe Biden è stato senatore per 30 anni e nessuno come lui ha gli strumenti per farcela. Sotto Biden, il potere di persuasione e non di forza è destinato a fare ritorno anche per quanto riguarda i rapporti con i paesi esteri. L’amministrazione Biden promette di finirla con una diplomazia machista in favore della promozione della democrazia nel mondo. Ha promesso di tenere un summit democratico entro un anno che rinnoverà “lo spirito e gli obiettivi condivisi delle nazioni del mondo libero” – e presenterà un fronte unito contro gli autocrati. E i capi di Stato populisti dalla Russia alla Corea del Nord, dalla Turchia all’Arabia Saudita, dal Brasile alla Bielorussia si sono resi conto che devono fare i conti con un futuro sotto un presidente democratico impegnato a promuovere il rispetto dei diritti umani. Anche su questo fronte, Biden dovrà risolvere problemi spinosi, come un Iran non nucleare, la denuclearizzazione della Corea del Nord e il contenimento della Cina. Percependo dove soffia il vento, tuttavia, alcuni alleati degli Stati Uniti hanno fatto qualche piccolo passo verso la legalità e i diritti umani. Qualche giorno dopo le elezioni USA, il presidente egiziano al-Sisi – definito da Trump il suo “dittatore favorito” – ha rilasciato centinaia di prigionieri politici. In Turchia Erdogan si è congratulato con i democratici per la vittoria e ha promesso che darà inizio a “un nuovo periodo di riforme in economia e nel sistema giudiziario”. Quanto alla situazione interna, Biden deve vedersela con un numero di casi dovuti al Covid 19 in continuo aumento (13 milioni di contagiati, 3.000 di morti al giorno), 11 milioni di disoccupati e innumerevoli aziende sull’orlo della bancarotta, 11 milioni di immigrati clandestini. Ha inoltre a che fare con un Congresso ostile e diviso e un fremente ex presidente che fa di tutto per rendergli ancora più difficile il difficilissimo compito. Deve inoltre, come ha promesso nella campagna elettorale, dare una svolta alla politica ambientale e alla politica estera. Per affrontare il non roseo futuro ha bisogno di circondarsi di collaboratori validi e che diano al Paese la percezione che l’era Trump è tramontata. Ha cominciato quindi a formare la squadra del suo governo. Alcuni sono politici di vecchia data, che hanno fatto parte dell’amministrazione Obama come John Kerry, designato quale “inviato speciale per il clima” e Antony Blinken, quale segretario di stato. Ma ci sono anche nomi nuovi: Janet Yellen, già presidente della Federal Reserve, sarà la prima donna a ricoprire l’incarico di Ministro del Tesoro; Neera Tanden, figlia di immigrati indiani, sarà la prima donna proveniente da una minoranza etnica a guidare l’ufficio di Gestione e Bilancio; Wally Adeyemo viceministro al tesoro, prima nera a ricoprire l’incarico; Cecilia Rouse, insieme con Jared Bernstein e Heather Boushey, prima donna a presiedere il team economico. Pete Buttigieg, primo gay a ricoprire l’incarico di ministro dei trasporti. E per la prima volta, quale capo della Difesa, un generale in pensione afroamericano, Lloyd Austin. Il 6 gennaio il Congresso formalizzerà la vittoria di Biden e a quel punto i giochi dovrebbero essere finiti. Ma Trump non gioca secondo le regole.


Fonte: di GIULIETTA ROVERA