"GAETANO ARFE´"

20-05-2017 -

Il 13 settembre 2017 saranno dieci anni dalla scomparsa di Gaetano Arfè (1925-2013). Lo storico e uomo politico napoletano è stato esemplare nel coniugare impegno storiografico assiduo e militanza politica appassionata, rispecchiate entrambe, in un´indiscutibile coerenza morale e intellettuale. Figlio della migliore tradizione illuministica napoletana, erede della lezione del 1799, aveva assorbito, ancora ragazzo, lo spirito della crociana "religione della libertà" che, unita alla fede socialista del padre, ne aveva fatto un giovanissimo oppositore del regime fascista. Trasferitosi, per volontà della famiglia, in Valtellina, presso uno zio, vi è incarcerato e qui conosce, grazie a un compagno di detenzione, il pensiero di Gramsci. Tornato a Napoli si dedica alla ricerca storica sotto la guida di Nino Cortese e Federico Chabod. In breve tempo, risulta essere tra i più dotati storici di quella generazione che fonderà gli studi di storia contemporanea nel nostro paese.
Parallela all´attività storiografica è la militanza politica che lo vede, dopo la giovanile avventura con il PSLI saragattiano, iscritto per lunghi anni al partito socialista fino a rappresentare, nell´immaginario collettivo, la figura stessa dello storico "ufficiale" del PSI. Si farebbe tuttavia un torto ad Arfè a rappresentarlo come uno storico "di corte". Nulla di più falso per chi l´ha conosciuto come chi scrive. Se è vero che a lui si deve la rivalutazione del riformismo turatiano nella storia del partito socialista è anche vero che sempre da lui sono partiti gli attacchi a quel simulacro di riformismo autentico che come tale era spacciato dalla dirigenza craxiana del partito a meta degli anni Ottanta. In un articolo comparso sulla rivista "Il Ponte" dell´ottobre 2005, Arfè scrive: «In Italia il socialismo passato alla storia come riformista, quello che ebbe in Turati il suo maestro e il suo capo, non s´irrigidí nel dogmatismo, ma neanche rinunciò mai alla propria autonomia ideale e la tradusse in atti. Esso credette nella funzione della classe operaia, ne promosse l´organizzazione e la guidò nella costruzione delle sue autonome istituzioni di classe a fini dichiaratamente socialisti».
In quest´articolo, penetrante quant´altri mai, Arfè ribadisce che anche la svolta del Congresso di Venezia del 1957 che pose fine al patto d´unità d´azione con il PCI non avvenne sotto il segno di un imprecisato "riformismo" ma seguendo la stella polare dell´autonomia. Quanto a Craxi, Arfè lo definisce un volontarista che inclinava con una certa accondiscendenza verso le posizioni movimentiste presenti nella sinistra extraparlamentare e un opportunista che brandiva il riformismo come un´arma ideologica per combattere contro un partito comunista che aveva ormai ripiegato le proprie bandiere e combatteva una battaglia di retroguardia.
Il rischio che la parola riformismo possa aver subito un torsione permanente di significato ci sembra con tutta evidenza sempre presente nel momento in cui, con il termine riforme, si è cercato di far passare di fronte all´opinione pubblica di questo paese solo pochi mesi fa una serie di provvedimenti che Arfè mai avrebbe riconosciuto come frutti dell´albero del socialismo.



Fonte: di ANDREA BECHERUCCI