Più volte parlando dei problemi economici abbiamo criticato la mancanza di risposte convincenti per affrontare il problema sociale più drammatico che abbiamo davanti a noi e che rischia di travolgere il nostro sistema democratico: la disoccupazione.
Fino ad ora il problema è stato affrontato con un solo schema interpretativo cioè quello neoclassico, secondo lo schema della domanda e dell’offerta. In altre parole le classi egemoni, attraverso la teoria economica dominante, hanno inculcato l’idea, falsa, che la disoccupazione esiste perché il costo del lavoro è troppo alto rispetto a quello dei paesi concorrenti per cui, la sua riduzione è la panacea di tutti i mali. Per raggiungere questo obbiettivo si va dall’aumento, più o meno realizzato, dei dazi secondo il credo sovranista (folle) preferendo gli abitanti del proprio paese rispetto agli altri, a politiche volte a ridurre il costo del lavoro attraverso una sistema di sovvenzioni agli imprenditori, sia nella fase di primo ingresso al lavoro sia facilitando l’esodo verso la pensione, affermando che per ogni pensionato si libererebbe un posto di lavoro a favore dei più giovani (falso). I vari Trump Renzi, Salvini hanno fatto di questo credo la loro ricetta per sconfiggere la disoccupazione. A questi occorre aggiungere lo Statista di Pomigliano d’Arco (l’On. Luigi di Maio) che ha inventato il reddito di cittadinanza col quale addirittura ha asserito di aver abolito la povertà.
I risultati di queste politiche sono così negativi che financo il Prof. Olivier Blanchard, ex economista capo del Fondo Monetario Internazionale grande ispiratore di queste politiche, le ha dovute dichiarare inidonee a risolvere il problema.
Ha ragione John Maynard Keynes, quando nelle righe conclusive del suo “Occupazione, Interesse e moneta. Teoria generale” afferma: “Gli uomini della pratica, i quali si credono del tutto liberi da qualsiasi influenza intellettuale, sono usualmente schiavi di qualche economista defunto. Pazzi al potere, i quali odono voci nell’aria, distillano le loro frenesie da qualche scribacchino accademico di pochi anni addietro.”
Il problema è irrisolvibile? No, se noi ragioniamo in maniera corretta ed inquadriamo il problema nella sua giusta dimensione. Cioè dobbiamo cessare di raccontare i fatti economici e di imporre questa narrazione senza alcuna teorizzazione dei fenomeni. L’innovazione tecnologica, come è sempre successo nella storia, tende alla sostituzione del lavoro umano con le macchine, per cui avremo sempre una riduzione di occupati necessari per produrre le stesse quantità di prodotto. Non possiamo affrontare i problemi dell’oggi con la mente rivolta all’indietro, cioè voler perseguire obbiettivi validi nel secolo scorso quando il sistema adottava un modo di produrre diverso da quello odierno e gli stati nazionali erano il punto di riferimento. Siamo in presenza di una realtà nella quale le politiche nazionali pesano sempre meno (una delle ragioni per rimanere in Europa, un’Europa però che muti in maniera profonda la sua politica economica). È necessaria un’economia capace di produrre e immettere tecnologia innovativa nel proprio sistema per aumentare la propria produttività e accrescere il valore aggiunto prodotto. Questa nuova situazione necessita di una politica che abbia il coraggio di guardare in faccia la realtà e proporre soluzioni coraggiose, anzi blasfeme rispetto al pensiero economico dominante. Un primo sbocco immediato, per diminuire la tensione sul mercato del lavoro, può essere quello di indirizzare l’occupazione verso il cosiddetto terzo settore. Questa misura non eluderà però quella della riduzione, a parità di salario, dell’orario di lavoro, come la storia ci insegna.
Del resto John Maynard Keynes, in un suo pamphlet utopico (Prospettive per i nostri nipoti, 1930) prevedeva “ Per ancora molte generazioni l’istinto del vecchio Adamo rimarrà così forte in noi che avremo bisogno di un qualche lavoro per essere soddisfatti. … dovremo adoperarci di fare parti accurate di questo «pane» affinché il poco lavoro che ancora rimane sia distribuito fra quanta più gente possibile. Turni di tre ore e una settimana lavorativa di quindici ore possono tenere a bada il problema per un buon periodo di tempo. Tre ore di lavoro al giorno, infatti, sono sufficienti per soddisfare il vecchio Adamo che è in ciascuno di noi.”