Mentre scriviamo queste righe è giunta la notizia della tregua che interrompe per cinque giorni le ostilità tra le truppe turche e le milizie curde nella regione del Rojava (il Kurdistan siriano).
Tutto nasce dall’improvvida uscita del presidente americano Donald Trump che, nel corso di una telefonata con il premier turco Erdogan ha annunciato, il 6 ottobre scorso, la volontà dell’amministrazione di ritirare i propri uomini dal territorio siriano. Non è la prima volta che Trump aveva preso le distanze dai combattenti curdi. Già poco meno di un anno fa questa decisione del presidente USA aveva portato alle dimissioni del Segretario alla Difesa Jim Mattis.
Le truppe americane erano dispiegate nel nord-est della Siria come forza di supporto alla coalizione capeggiata dai curdi delle Unità di protezione popolare (YPG) che hanno prima sostenuto l’urto delle schiere dei combattenti appartenenti allo stato islamico (ISIS o Daesh) e poi hanno riconquistato i territori caduti sotto il loro controllo. Si deve, dunque, a queste milizie curde, se lo stato islamico, al momento, è stato messo in condizione di non nuocere.
Queste milizie costituiscono la prova che anche nei paesi islamici sono possibili esperimenti sociali di grande interesse. Esse ospitano nelle loro file combattenti di sesso maschile e femminile, e le donne vi hanno esattamente gli stessi diritti e doveri degli uomini. È in gran parte grazie a loro, combattenti efficaci e motivate, che la guerra contro lo stato islamico può, al momento, considerarsi vinta. Dovremmo, dunque, essere grati a queste avanguardie per aver fatto ciò che noi occidentali non abbiamo potuto o voluto fare: esporci direttamente per salvare quello che la candidata presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen ha chiamato «lo stile di vita europeo» corrispondente a «libertà, uguaglianza, democrazia e rispetto della dignità umana».
Dall’altra parte della barricata troviamo il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan, un autocrate la cui politica è venata sempre di più da velleità neo ottomaniste. Le Unità di protezione popolare curde (YPG) sono considerate da Erdogan un’organizzazione terroristica in quanto hanno relazioni con il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) che, nato come gruppo paramilitare con un’impostazione marxista-leninista, si è negli anni parlamentarizzato e democratizzato, eleggendo deputati nel parlamento di Ankara. Tuttavia il PKK è assimilato in Turchia a un gruppo terroristico e, non sfugge a questa classificazione nemmeno lo YPG.
La decisione di Erdogan di invadere con l’operazione “Ramoscello d’ulivo” il nord-est della Siria è giustificata dal premier turco con la volontà di creare una zona cuscinetto tra gli insediamenti curdo-siriani e i curdo-turchi vicini al PKK. D’altra parte, Erdogan aveva, a suo tempo, consentito ai foreign fighters di transitare dalla Turchia per raggiungere la Siria con la speranza di poterli utilizzare in funzione anti curda e nulla vieta di pensare che intenda fare altrettanto con i prigionieri dello stato islamico incarcerati in Siria. I russi, altro giocatore importante a questo tavolo, nel frattempo, hanno cercato di contenere le mire espansionistiche di Erdogan, mentre i curdo-siriani hanno cercato e ottenuto la sponda del presidente siriano Bashar al-Assad. Oltretutto va tenuta presente la volontà di Trump di cercare il consenso di Ankara per poter contare, in quel quadrante, su un alleato NATO pronto a schierarsi al fianco di Washington per arginare i disegni egemonici di un’altra potenza regionale come l’Iran.
In tutto questo sconvolgimento c’è un convitato di pietra ed è l’Europa, la cui politica estera, ancora una volta, si è dimostrato non esistere. A fronte delle minacce di Erdogan di invadere l’Europa con tre milioni e mezzo di profughi siriani, la risposta si è limitata a qualche balbettio confuso e, per di più, in ordine sparso.
D’altra parte chi si era ritenuto soddisfatto prima del tempo della nomina di Ursula von der Leyen a candidata presidente della Commissione europea, non aveva fatto i conti con la balcanizzazione del parlamento europeo che ha avuto come esito una serie di vendette trasversali al momento delle audizioni dei candidati commissari che hanno portato alla bocciatura di tre nomi il più importante dei quali è senz’altro quello della liberale francese Sylvie Goulard e che potrebbe perfino avere rimesso in gioco il tedesco Manfred Weber per la carica di candidato presidente della Commissione.