"L’EUROPA HA TRADITO SE STESSA?"

23-04-2019 -

Le prossime elezioni europee costituiscono un passaggio fondamentale per frenare il passo ai sovranismi e ai nazionalismi che minacciano il futuro dei popoli europei. Sappiamo che l'Europa così com'è non va,ma i suoi ideali sono vivi e sempre più validi per la civiltà che l'Europa rappresenta e per la quale tutti i democratici devono impegnarsi. Con questo fascicolo dedicato all'Europa “La Rivoluzione Democratica” vuole offrire un luogo di riflessione convinti come siamo che nessuna vera sfida politica ce la può fare se non è presupposta da ideali e idee forti con cui affrontare la lotta per l'incivilimento democratico.
P.B.

1.Introduzione

Per la prima volta dal 1979, le elezioni europee previste per il prossimo 26 maggio non assumeranno le sembianze di uno stanco rituale.
L'Europa, che per anni era stata vista come la panacea di tutti i mali, ha intrapreso – almeno dall'inizio dell'ultima grande crisi economica - una deriva che l'ha portata ad essere vista, ormai, non più come la soluzione ma come il problema.
Eppure per più di cinquant'anni non c'è stato un progetto politico che abbia catalizzato gli entusiasmi degli europei come il processo d'integrazione del continente. Un investimento ingente anche sotto il profilo emotivo ha accompagnato per anni la storia di un continente che, dopo la seconda guerra mondiale, aveva scommesso sulla possibilità di crescere insieme nella pace e nella prosperità.
Tutto è sembrato andare (più o meno) bene fino alla fine di quelli che si è soliti chiamare i trente glorieuses – ossia gli anni della crescita che vanno dalla fine della guerra fino alla metà degli anni Settanta – mentre, in seguito, qualcosa sembra essersi rotto nell'impostazione che stava alla base di questo progetto.
Cos'è successo, dunque, di così sconvolgente da far cambiare strada al processo d'integrazione europea rispetto al progetto originario?
La risposta non è semplice. Dalla metà degli anni Settanta molti sono stati i fattori di cambiamento economici e geopolitici. Alcuni di questi hanno avuto necessariamente un impatto dirompente (pensiamo solo alla sospensione della convertibilità del dollaro in oro, agli shock petroliferi del 1973 e del 1979, alla rivoluzione digitale e ai nuovi meccanismi che si sono imposti nel mercato del lavoro o alla trasformazione epocale degli equilibri interni all'Europa imposti dalla caduta del Muro di Berlino e dall'implosione dell'Unione Sovietica).

2.Il lento scivolamento verso il neoliberismo

Tuttavia, alcune decisioni concernenti il processo d'integrazione europea che aprono una crepa nel disegno di una Europa unita sotto il segno dei diritti sociali sono rilevabili già a partire dalla seconda metà degli anni Settanta.
È questo il caso del rapporto Tindemans del 1976 (dal nome del primo ministro belga dell'epoca), col quale, fra le altre cose, si invitava la CEE ad accelerare il processo di convergenza verso l'unione economica e monetaria. In questa occasione era suggerita la possibilità di estendere le competenze del cosiddetto “serpente monetario” al controllo del deficit di bilancio e del livello d'inflazione.
Dal Rapporto Tindemans (1976)
3. Le «serpent». Le mécanisme du «serpent», qui a fait ses preuves dans le maintien de la stabilité des taux de change, doit être utilisé pour rechercher une convergence des politiques économiques et monétaires entre les pays qui sont en mesure de la réaliser. Pour cela, il faut que le «serpent»: — soit consolidé, — étende son action aux éléments clés de la politique économique et monétaire, — ait clairement un caractère communautaire.
Dans ce but, je fais les propositions suivantes;
1) Le fonctionnement et le contrôle du «serpent» s'effectuent aujourd'hui partiellement en marge de la Communauté. Ils doivent désormais s'effectuer à l'intérieur des institutions communes selon des modalités à convenir. Sans intervenir dans la gestion du mécanisme, les pays membres qui ne participent pas au serpent seront associés à la discussion afin d'éviter l'accroissement des divergences et de pouvoir saisir les chances de rapprochement. La gestion communautaire est d'autant plus indispensable qu'il s'agit du point de départ d'une politique qui s'étendra plus tard à tous les membres de la Communauté, affectant ainsi favorablement l'ensemble des échanges à l'intérieur de celle-ci.
2) Le «serpent» se limite actuellement à imposer des obligations dans la politique monétaire extérieure. Son action est dès lors précaire et déséquilibrée. Des contraintes analogues doivent être acceptées dans: — la politique monétaire interne: contrôle des masses monétaires, — la politique budgétaire : ampleur et financement des déficits, — les éléments clés de la politique économique en matière de conjoncture et de contrôle de l'inflation.
3) Le système doit prévoir, dans le cadre des institutions, des modalités de décision commune pour la modification des taux pivots des devises. A ces discussions doivent être associés les pays membres qui ne participent pas au « serpent ». Les pays participant au serpent s'engagent à ne le quitter que dans le cas de «crise manifeste» constatée par une décision commune.
4) En contrepartie de ces obligations, des mécanismes de soutien à court et à moyen terme entre pays membres du «serpent» doivent être rendus automatiques et considérablement renforcés. Ceci suppose en tout cas un accroissement de l'activité et de l'efficacité du fonds européen de coopération monétaire qui doit devenir l'embryon d'une banque centrale européenne, notamment par la mise en commun d'une partie des réserves.
5) Les pays participant au serpent doivent supprimer graduellement entre eux les entraves qui subsistent dans la libre circulation des capitaux, en particulier celles qui ont été imposées depuis 1970 et qui témoignent de la dégradation du processus d'intégration.
6) Enfin, des structures d'accueil et des mesures d'assistance doivent être prévues pour les pays qui ne font pas partie du serpent. Celles-ci ne peuvent être définies in abstracto et ne seront pas automatiques. Elles seront déterminées cas par cas. Ces mesures d'assistance devront être recherchées aussi dans le domaine structurel par le biais des actions régionales, sociales, industrielles, agricoles. Il est important que dans les développements indiqués aux paragraphes précédents il soit tenu compte des intérêts des pays qui ne font pas partie du serpent, afin que leur participation future soit facilitée. D'où la nécessité de discuter ces développements dans un cadre communautaire.
Ainsi consolidé et étendu, le noyau de stabilité monétaire qui existe aujourd'hui devient la base d'une véritable convergence des politiques économiques et monétaires. Le renforcement du serpent contribuera aussi directement à un retour progressif à plus de stabilité monétaire internationale. Le premier élément d'un tel retour consiste à créer dans le monde d'importantes zones de stabilité au sein desquelles on puisse maintenir des taux de change stables.
Ce renforcement nous permettra de rechercher une meilleure concertation des politiques économiques et monétaires entre grands ensembles afin de réduire les fluctuations, qui ont été excessives dans un passé récent, entre grandes monnaies ou groupes de monnaies et plus particulièrement entre le «serpent» et le dollar. Dans ce contexte, le Fonds européen de coopération monétaire devrait graduellement être chargé de la politique d'intervention du «serpent» vis-à-vis du dollar. La consolidation du «serpent» permettra à la Communauté de participer comme telle aux négociations financières internationales.

Come giustamente rileva il giurista Alessandro Somma, l'enunciazione di questa intenzione fu sufficiente a provocare il primo vulnus all'Europa dei diritti sociali visto che si intendeva esplicitamente sganciare il raggiungimento degli obiettivi che ci si era prefissati (contenimento del debito pubblico e dell'inflazione) dalla piena occupazione «che pure veniva menzionat[a] dal Trattato di Roma assieme alla stabilità dei prezzi, quindi preparando la svolta monetarista della politica europea e con essa l'affossamento del compromesso keynesiano» (1).
Dunque i germi del virus neoliberale che insidia l'Europa va retrodatato di molti anni rispetto al Trattato di Maastricht (1992).
Vi è chi ha rintracciato le origini intellettuali del disegno che governa l'Europa di questi anni in un articolo del 1939 dell'economista austriaco Frederick Von Hayek intitolato The Economic Conditions of Interstate Federalism nel quale l'autore ipotizza una formula di federalismo interstatale obbediente unicamente agli interessi del mercato (2).
Tuttavia, una cosa è certa: al momento non è possibile - come ha affermato di recente Lucio Caracciolo – sapere che idea dell'Europa hanno i ventisette paesi membri dell'UE e forse, aggiunge il direttore di Limes, è opportuno non porsi neppure la domanda visto che, molto probabilmente, si otterrebbero ventisette risposte diverse.
Come spesso accade nelle contingenze storiche più confuse, le risposte migliori non si trovano nei saggi degli accademici ma nei romanzi. In questo caso si tratta di un'opera che ha colto al meglio, a parere di chi scrive, lo spirito dei tempi.
Stiamo parlando del libro La capitale del giornalista austriaco Robert Menasse che ha dipinto il ritratto di un'istituzione, la Commissione europea, in piena crisi d'identità (3).
È vero, però, che la deriva neoliberista dell'attuale Unione europea subisce una decisa accelerazione a partire dai negoziati per il Trattato di Maastricht in cui, tra i principali protagonisti, troviamo il ministro del Tesoro ed ex-governatore della Banca d'Italia, Guido Carli, il quale, dopo la firma del trattato, nelle sue memorie conviene sul fatto che
L'Unione Europea implica la concezione dello ‘Stato minimo', l'abbandono dell'economia mista, l'abbandono della programmazione economica, una redistribuzione delle responsabilità che restringa il potere delle assemblee parlamentari e aumenti quelle dei governi, l'autonomia impositiva degli enti locali, il ripudio del principio della gratuità diffusa (con la conseguente riforma della sanità e del sistema previdenziale), l'abolizione della scala mobile, la riduzione della presenza dello Stato nel sistema del credito e dell'industria, l'abbandono di comportamenti inflazionistici non soltanto da parte dei lavoratori, ma anche da parte dei produttori di servizi, l'abolizione delle normative che stabiliscono prezzi amministrati e tariffe. In una parola: un nuovo patto tra Stato e cittadini, a favore di quest'ultimi.

Le parole di Carli sono il miglior commento al Trattato di Maastricht. Lo stesso banchiere, del resto, era perfettamente consapevole delle conseguenze che questo avrebbe avuto, in particolare per l'Italia. Tuttavia i risultati dell'adesione dell'Italia a Maastricht erano stati da Carli ricercati per obbligare il paese a seguire precise linee di condotta nella gestione dei conti pubblici introdotte da quello che lui stesso chiamerà il «vincolo esterno» (4).
È evidente, però, che con l'adozione dei criteri imposti da Maastricht si abbandonano volontariamente le implicazioni del dettato costituzionale della Repubblica italiana contenute all'art. 3 dove questo recita
E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Purtroppo il momento della ratifica parlamentare di Maastricht in Italia coincide con la seconda metà del 1992 corrispondente al periodo in cui la magistratura inizia ad approfondire le indagini su Tangentopoli. Del resto nei paesi in cui il trattato è sottoposto a referendum popolare (Danimarca e Francia) il risultato è positivo ma con uno scarto minimo.
Ma torniamo alle origini del processo d'integrazione europea.
Il Trattato di Parigi che dà origine alla Comunità europea del carbone e dell'Acciaio al punto e) dell'art. 3 prevede che
Nel quadro delle loro rispettive attribuzioni e nell'interesse comune gli organi della Comunità devono promuovere, in ciascuna delle industrie che rientrano nella sua competenza, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro della mano d'opera, consentendone la parificazione verso l'alto

Mentre l'art. 18 stabilisce che
Presso l'Alta Autorità è istituito un Comitato Consultivo. Esso è composto di almeno trenta e al massimo cinquantuno membri e comprende, in numero uguale, produttori, lavoratori, consumatori e commercianti.
In questo modo è introdotto il dialogo settoriale tra le parti sociali.
L'art. 55, infine, decreta che
L'Alta Autorità deve incoraggiare le ricerche tecniche ed economiche concernenti la produzione e l'espansione del consumo del carbone e dell'acciaio, nonché la sicurezza del lavoro in dette industrie. A tale fine essa organizza ogni opportuno contatto fra gli organismi di ricerca esistenti.

Come si può constatare l'impostazione del Trattato di Parigi riserva precise garanzie per i diritti dei lavoratori.
Nel 1957, i Trattati di Roma da cui originano la CEE e l'EURATOM crea un mercato comune tra le parti contraenti (Francia, Italia, Germania, Benelux) per merci, lavoratori, servizi e capitali. L'accordo auspica un coordinamento delle politiche economiche e la libera circolazione dei lavoratori le cui conseguenze negative sul mercato del lavoro dei vari paesi saranno contrastate, almeno nelle intenzioni, dall'azione del neocostituito Fondo Sociale Europeo in funzione di ammortizzatore sociale.
Una lettura dei trattati di Roma evidenzia all'art. 3, punto i)
la creazione di un Fondo sociale europeo, allo scopo di migliorare le possibilità di occupazione dei lavoratori e di contribuire al miglioramento del loro tenore di vita.
Tuttavia ai punti 2 e 3 dell'art. 4 dei Trattati di Roma si stabilisce che
2. Parallelamente, alle condizioni e secondo il ritmo e le procedure previsti dal presente trattato, questa azione comprende la fissazione irrevocabile dei tassi di cambio che comporterà l'introduzione di una moneta unica, l'ECU, nonché la definizione e la conduzione di una politica monetaria e di una politica del cambio uniche, che abbiano l'obiettivo principale di mantenere la stabilità dei prezzi e, fatto salvo questo obiettivo, di sostenere le politiche economiche generali nella Comunità conformemente al principio di un'economia di mercato aperta e in libera concorrenza.
3. Queste azioni degli Stati membri e della Comunità implicano il rispetto dei seguenti principi direttivi: prezzi stabili, finanze pubbliche e condizioni monetarie sane nonché bilancia dei pagamenti sostenibile.

Qui, per la prima volta si affaccia, insidioso, il fantasma dell'ordoliberismo. Corrente del pensiero economico di matrice tedesca, l'ordoliberismo viene teorizzato dallo studioso Walter Eucken, caposcuola dei neoliberali di Friburgo, nell'opera Die Grundlagen der Nationalökonomie nella quale viene proposto un sistema con un ridotto intervento dello Stato sul mercato ma che, allo stesso tempo, allo Stato chiede di indicare in una precisa cornice normativa e istituzionale le direttrici dell'attività economica. Ci troviamo, tuttavia, ancora nel periodo dei Trente glorieuses in cui è possibile far valere il “compromesso socialdemocratico” «caratterizzato da una crescita economica relativamente sostenuta e da un accettabile livello di redistribuzione della ricchezza, alla base di un equilibrio altrettanto accettabile tra capitalismo e democrazia» (5).
Ma è con gli anni Ottanta, in un quadro macroeconomico profondamente cambiato e con l'arrivo alla presidenza USA di Ronald Reagan e al premierato, nel Regno Unito, di Margaret Thatcher, che le cose sono destinate a cambiare.
L'assunzione dogmatica e acritica dei postulati del neoliberismo da parte di Reagan e Thatcher porta presto, insieme ai loro indubbi successi in campo economico, il senso comune a riconoscere come vincenti le teorie secondo cui «il mercato assicura la migliore redistribuzione della ricchezza, sicché i pubblici poteri devono limitarsi ad assicurare il funzionamento della concorrenza. Il che significava rinunciare allo stimolo della domanda, ridurre la pressione fiscale, e svalutare e precarizzare il lavoro: significava cestinare le politiche di matrice keynesiana» (6).
Con la decennale presidenza Delors della Commissione europea (1985-1995) si apre un nuovo capitolo della storia dell'integrazione europea. Nel 1985 la Commissione mette mano al Libro bianco con l'obiettivo del completamento del mercato interno, un mercato fatto di (di lì a poco) di dodici paesi e 320 milioni di abitanti. Nel documento si enfatizza il ricorso alla formazione permanente dei lavoratori e l'apertura alla digital economy.
Con l'Atto Unico Europeo si pongono le basi dell'Unione economica e monetaria spingendo però i paesi che vi aderiranno ad essere competitivi rispetto all'attrazione dei capitali ormai liberi di transitare dove sarà più conveniente. Da qui l'ossessione per il contenimento della spesa pubblica e per la lotta all'inflazione.
La riunificazione tedesca ripropone antiche e mai sopite paure. Di fronte all'ipotesi che una Germania nuovamente unita possa riproporre la sua leadership, stavolta sub specie oeconomiae, il presidente francese Mitterrand pensa che sia opportuno imbrigliarla in una costruzione economica e giuridica capace di preservare la stabilità del continente (7).
Le conclusioni della presidenza al termine della riunione del Consiglio europeo di Roma (27-28 ottobre 1990) sottolineano che i progressi verso l'Unione economica e monetaria avrebbero comportato
un sistema di mercato aperto, che combini la stabilità dei prezzi con la crescita, l'occupazione e la protezione dell'ambiente; che miri a condizioni finanziarie e di bilancio sane ed equilibrate, nonché alla coesione economica e sociale. A tal fine la capacità di azione delle istituzioni della Comunità sarà rafforzata (8).

L'approvazione del Trattato di Maastricht (1992) vede la realizzazione definitiva del progetto neoliberista. Viene inserito un articolo, il 3 A che recita
I. Ai fini enunciati all'articolo 2, l'azione degli Stati membri e della Comunità comprende, alle condizioni e secondo il ritmo previsti dal presente trattato, l'adozione di una politica economica che è fondata sullo stretto coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri, sul mercato interno e sulla definizione di obiettivi comuni, condotta conformemente al principio di un'economia di mercato aperta e in libera concorrenza.

2. Parallelamente, alle condizioni e secondo il ritmo e le procedure previsti dal presente trattato, questa azione comprende la fissazione irrevocabile dei tassi di cambio che comporterà I' introduzione di una moneta unica, l'ECU, nonché la definizione e la conduzione di una politica monetaria e di una politica del cambio uniche, che abbiano l'obiettivo principale di mantenere la stabilità dei prezzi e, fatto salvo questo obiettivo, di sostenere le politiche economiche generali nella Comunità conformemente al principio di un'economia di mercato aperta e in libera concorrenza.

3. Queste azioni degli Stati membri e della Comunità implicano il rispetto dei seguenti principi direttivi: prezzi stabili, finanze pubbliche e condizioni monetarie sane nonché bilancia dei pagamenti sostenibile.

Nel Trattato di Maastricht sono indicati i parametri di convergenza che i paesi interessati dal passaggio dalle monete nazionali all'Euro avrebbero dovuto osservare per ultimare la procedura di adozione della moneta unica.

Questi criteri sono ben noti. Essi sono:

•Rapporto tra deficit pubblico e PIL non superiore al 3%.
•Rapporto tra debito pubblico e PIL non superiore al 60% (Belgio e Italia furono esentati).
•Tasso d'inflazione non superiore dell'1,5% rispetto a quello dei tre Paesi più virtuosi.
•Tasso d'interesse a lungo termine non superiore al 2% del tasso medio degli stessi tre Paesi.
•Permanenza negli ultimi 2 anni nello SME senza fluttuazioni della moneta nazionale.

In tal modo non potendo più fare spesa sociale o per investimenti in deficit, gli Stati – che per una norma contenuta nel trattato non possono ricorrere all'aiuto della Banca centrale, di altri paesi o dell'Unione - sono costretti ad approvvigionarsi di risorse piazzando il proprio debito pubblico sul libero mercato ma per fare questo devono risultare appetibili mantenendo i conti in ordine. Non avendo più modo di contare sulla leva fiscale neutralizzata dalla libera circolazione dei capitali, per rientrare in tali parametri gli Stati in difficoltà sono costretti a tagliare la spesa sociale, precarizzare il lavoro, comprimere i salari, procedere a privatizzazioni selvagge. Di fatto questo sistema svuota di significato le decisioni politiche dei singoli paesi mettendole alla mercé delle incognite del mercato.
D'altra parte, la stessa Banca Centrale Europea nasce col compito di preservare la stabilità dei prezzi sul modello della Bundesbank.

Interventi successivi (Patto di stabilità e crescita, Fiscal compact, Six-pack, Two-pack) hanno reso ancora più stringenti questi criteri finendo col rappresentare un vero e proprio cappio per i paesi cosiddetti “meno virtuosi”. L'esempio più lampante dell'applicazione di questi parametri e dell'inefficienza dei meccanismi che regolano la governance dell'Eurozona è ciò che è successo in Grecia negli anni della crisi (9).
Recenti tardivi pentimenti sull'azione della Troika in Grecia da parte del capo economista del Fondo Monetario Internazionale Olivier Blanchard (10) e del presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker (11) non sembrano purtroppo preludere ad alcun ripensamento.

3.E la sinistra?

In questa narrazione c'è evidentemente un convitato di pietra ed è la sinistra. Qual è stata l'azione della sinistra nell'epoca della globalizzazione e del turbocapitalismo?

Indubbiamente la “fine della storia” preconizzata dal politologo Francis Fukuyama nel suo celebre libro del 1992 sembra trovare la sua realizzazione quando il presidente democratico degli Stati Uniti Bill Clinton e il primo ministro britannico laburista Tony Blair agli inizi degli anni Novanta abbracciano senza riserve il credo neoliberista.

Come fa opportunamente notare Amartya Sen, il tema della globalizzazione è strettamente interconnesso a quello della disuguaglianza e questa non è da riferirsi solo alla distribuzione della ricchezza ma anche
[al]le macroscopiche asimmetrie nel potere politico, sociale ed economico. Una questione cruciale è la divisione, tra paesi ricchi e paesi poveri o tra differenti gruppi in un paese, dei guadagni potenziali generati dalla globalizzazione (12).

Il manifesto che il partito socialista europeo prepara per le elezioni del 1999 sostiene, nella parte riservata all'Euro, che la moneta unica
doit contribuer de manière significative à une croissance durable, une inflation maîtrisée et des niveaux élevés d'emploi. La réussite de l'euro est dans l'intérêt de tous les Etats membres, qu'ils y participent ou non. Un euro stable préservera l'Europe contre les pressions déstabilisatrices de la spéculation monétaire, permettra la baisse des taux d'intérêts et contribuera à réformer le système financier international pour le rendre plus stable. Il permettra également une augmentation du pouvoir d'achat des consommateurs grâce à une plus grande stabilité des prix, réduira les coûts des entreprises et favorisera la concurrence. La Banque centrale européenne doit dialoguer étroitement avec les institutions démocratiques et les instances de politique économique de l'Union. Nous nous engageons à ce que l'introduction de la monnaie unique soit une réussite et favorise à la fois croissance, emplois et stabilité.

Le forze della sinistra europea non sono state, però, capaci di porre fine all'autentica frana di risultati elettorali che le hanno viste, nel 2017, raggiungere i loro risultati peggiori. Il combinato disposto della crisi economica e degli effetti nefasti della globalizzazione, in particolare sulle classi medie dei paesi europei, hanno ridotto i partiti di ispirazione socialista e socialdemocratica alle performances peggiori mai registrate.

In Germania il risultato fatto registrare dall'Spd è il peggiore dalla fine della seconda guerra mondiale (20,5%). Ancor peggiore, se possibile, la situazione in Francia dove il presidente Hollande ha rinunciato alla ricandidatura e il PS alle legislative del 2017 ha finito per raccogliere meno del 7% dei suffragi. La stessa situazione di profondo disagio attraversa le forze socialiste di Olanda, Austria e Repubblica Ceca. Unica eccezione è la Gran Bretagna dove il Labour Party di Jeremy Corbyn pare aver tratto vantaggio dall'improvvido voto favorevole alla Brexit.

L'Italia non pare fare eccezione in questo panorama. Il partito democratico a guida renziana aveva confidato nel nuovo presidente francese Emmanuel Macron per costruire un'alleanza capace di fronteggiare la spinta delle forze sovraniste presenti in Europa. Il progetto, però, si è scontrato con la débacle del PD alle ultime elezioni politiche e con lo stato di fibrillazione in cui è entrata la République assediata dalle rabbiose rivendicazioni dei gilets jaunes.

4.Extra Europam nulla salus ?

L'appuntamento che ci attende il 26 maggio avrà ripercussioni importanti, non solo, com'è naturale, nella composizione del nuovo parlamento europeo e nell'elezione del suo presidente ma anche sulla nuova Commissione che entrerà in funzione a novembre e, anche se in maniera meno definita, sulla nomina del nuovo presidente della Banca Centrale Europea che sostituirà Mario Draghi.

Gli effetti della Brexit faranno sparire molti seggi dai gruppi che ospitavano i deputati conservatori, l'ECR (European Conservatives and Reformists Group) e gli euroscettici dell'UKIP di Farage, l'EFDD (Europe of Freedom and Direct Democracy).

La situazione che le nuove elezioni europee ci consegneranno sarà per molti aspetti completamente nuova. La linea di frattura non passerà più, com'è stato per quarant'anni, tra i due maggiori gruppi politici presenti, i socialisti e i popolari – i quali, normalmente, si spartivano le cariche all'interno dell'europarlamento, ma tra coloro che sostengono lo status quo e coloro che vorrebbero tornare ad impegnare la forma dello Stato nazione nell'arena delle relazioni internazionali.

A parere di chi scrive entrambe queste alternative sono da rifiutare. Se non è possibile condividere una forma di austerity economica che da eventuale necessità si presenta sempre più sotto le spoglie di una ideologia non è pensabile neppure immaginare che singoli paesi dell'UE siano in grado di reggere l'urto di politiche commerciali aggressive messe in atto da giganti come Stati Uniti, Cina o Russia. Attualmente nelle sinistre europee si fronteggiano due posizioni: quella di chi ritiene la situazione presente nell'Unione europea di fatto irriformabile e quella di chi pensa ci sia ancora spazio per un'Europa unita sotto il segno del lavoro e dei diritti.

Un sovranismo di sinistra sostiene che il ritorno allo Stato nazione rappresenti una necessità in quanto solo entro la forma statuale è possibile garantire lo svolgersi regolato del conflitto sociale e con questo anche l'avanzamento e il rispetto dei diritti sociali dei lavoratori.
Un esempio di questa convinzione è ancora nelle parole di Alessandro Somma:
Insomma, l'Europa della moneta unica si regge sulla spoliticizzazione del mercato e sulla sterilizzazione del conflitto sociale. Per cambiarla occorre contrastare la prima riattivando il secondo: occorre tornare alla dimensione nazionale per ripristinare la dialettica democratica e rifondare le basi di una comunità di popoli. E a monte si devono combattere i luoghi comuni che impediscono di vedere in questo percorso l'unica via di uscita, che continuano cioè a illudere circa la possibilità di percorrere scorciatoie. Primo fra tutti la credenza secondo cui l'europeismo coincide con l'internazionalismo, e deve pertanto essere difeso, e poi la confusione tra identità nazionale e nazionalismo, che deve pertanto essere combattuta senza esitazione (13).

Tuttavia combattere per un'Europa più giusta e solidale può significare anche credere di poter ancora cambiare i meccanismi della governance europea dall'interno.

È certamente vero che, almeno negli ultimi quindici anni la Commissione europea ha perso molto potere a tutto vantaggio del Consiglio europeo che rappresenta la volontà degli Stati membri. Del resto questo semplice fatto è confermato anche dalla rappresentatività degli ultimi presidenti della Commissione, da Barroso a Juncker.

Allo stesso modo la Banca Centrale Europea, nonostante il Quantitative Easing messo in campo da Mario Draghi sconta un peccato che sta alla sua origine: essa nasce, in contrasto anche con quanto auspicato dai vertici di Banca d'Italia – come ricordato di recente da Pierluigi Ciocca – modellata sulla Bundesbank tedesca il cui obiettivo principale è la stabilità dei prezzi e la lotta all'inflazione e non sulla Federal Reserve americana il cui obiettivo comprende anche il massimo dell'occupazione come indicato dal suo statuto:
the goals of maximum employment, stable prices, and moderate long-term interest rates (14).

Queste considerazioni hanno portato a leggere l'attuale configurazione dell'Unione europea come un sogno tradito. Ne sono testimonianza le parole di Giulio Tremonti

E' così che, se l'Europa non ha preso il posto degli Stati, che essa stessa ha oggettivamente reso sempre meno «nazioni», tuttavia e per suo conto essa stessa è venuta via via perdendo la sua configurazione ideale iniziale. Ed è proprio così che questa Europa appare oggi ai «suoi» cittadini e si presenta ai «suoi» popoli come un'entità ormai avvolta nella sua crisi generale (15).

Tremonti scrive ancora di «potere senza responsabilità per l'Unione», di «responsabilità senza potere per gli Stati» e di una democrazia «senza la voce dei popoli» (16).

A questo punto le ipotesi sul tavolo sono due: decidere per una confederazione di Stati con l'intenzione di mettere in comune poche ma chiare aree di sovranità statuale, o, in alternativa, condurre una battaglia, lunga, impegnativa e senza alcuna garanzia di successo verso l'unione federale. Ogni altra soluzione pare, al momento destinata a condurre all'implosione di questo modello di Europa.

L'appuntamento del 26 maggio potrebbe non ripresentarsi non tanto nella forma quanto nella sostanza. Per la prima volta esiste la reale possibilità che l'intervento dei cittadini possa riorientare nel senso, ormai perduto, degli ideali delle origini, la politica dell'unione europea. Restituire dignità al lavoro, promuovere una riforma della BCE, imprimere nuovo slancio al ruolo della Commissione europea, favorire la crescita della politica estera comune per dispiegare un'azione a favore dei paesi africani.

La ricerca del perseguimento di questi obiettivi ci deve convincere che l'Europa può ancora essere uno straordinario vettore di pace e cooperazione.

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  1. A. Somma, Il futuro dell'Europa. Integrazione differenziata e ortodossia neoliberale in «Ricerche giuridiche», vol. 6, n. 1, giugno 2017, p. 57.
  2. A. Costa https://www.senso-comune.it/rivista/oltreconfine/lunione-europea-e-lutopia-neoliberale-di-von-hayek/
  3. R. Menasse, La capitale, Palermo, Sellerio, 2018.
  4. E. Diodato, Il vincolo esterno. Le ragioni della debolezza italiana, Milano Mimesis, 2014.
  5. A. Somma, http://temi.repubblica.it/micromega-online/un-quarto-di-secolo-con-maastricht-liberiamocene-o-sara-fascismo/
  6. Ibidem.
  7. G. Sapelli, https://www.ilmessaggero.it/politica/editoriali_giulio_sapelli-4079017.html
  8. https://www.consilium.europa.eu/media/20552/1990_ottobre_-_roma__it_.pdf
  9. V. Da Rold, La Grecia ferita. Cronaca di un waterboarding spietato, Trieste, Asterios Abibiblio Editore, 2015.
  10. https://keynesblog.com/2018/07/12/blanchard-le-elites-hanno-confidato-troppo-nel-capitalismo/
  11. https://www.repubblica.it/economia/2019/01/15/news/ue_draghi_sovranita_-216613039/
  12. A. Sen, Globalizzazione e libertà, Milano, Mondadori, 2002, p. 5.
  13. A. Somma, https://www.sinistrainrete.info/europa/12894-alessandro-somma-l-europa-e-le-false-credenze-della-sinistra.html
  14. https://www.federalreserve.gov/aboutthefed/section2a.htm
  15. G. Tremonti, Mundus furiosus. Il riscatto degli Stati e la fine della lunga incertezza, Milano, Mondadori, 2016, p. 89.
  16. Ivi, p. 91.



Fonte: di ANDREA BECHERUCCI