IL “SOCIALISMO NUOVO”
di Vincenzo Orsomarso

21-12-2025 -


Un recente volume della Biblion edizioni, Riccardo Lombardi, Tre interventi per tre stagioni. Dall'azionismo al socialismo critico [1], offre l'opportunità di tornare a riflettere su una delle figure politiche più rilevanti della sinistra del secondo Novecento. Più in generale sulla cultura socialista che tra gli anni '50 e ‘60 si confrontò, anche con toni accesi, sulla ricerca di una strategia in grado di mutare i rapporti di forze politici e sociali a vantaggio dei ceti popolari. Ciò nel quadro di un capitalismo monopolistico di Stato che, in conseguenza della tendenza alla riduzione del saggio di profitto, “ha bisogno - scrive Lombardi - di dominare lo Stato [...], perché dallo Stato attende servizi essenziali, senza i quali [...] è costretto a perdere le ragioni stesse della sua esistenza” [2].

La pubblicazione della Biblion, introdotta e curata da Jacopo Perazzoli e Giovanni Scirocco con una postfazione di Paolo Bagnoli, ripropone tre dei più significativi interventi di Riccardo Lombardi, ciascuno dei quali è rappresentativo di una differente stagione politico-culturale del nostro paese. Si tratta de Il partito d'Azione. Cos'è e cosa vuole, pubblicato clandestinamente nel dicembre 1943, Per una società diversamente ricca, orazione pronunciata a Torino il 1 maggio 1967, e Il discorso di Piacenza del 1981.
In apertura del primo saggio, che presentava il programma del Partito d'Azione, Lombardi sottolineava l'urgenza di un rinnovamento radicale della vita pubblica e sociale del paese, che passava per l'immissione “risoluta” in ambito politico, amministrativo, economico e culturale di “nuove leve provenienti dai ceti popolari” [3].
Il compito assegnato al Partito d'Azione era quello di guidare il paese, “nelle condizioni più difficili della sua storia moderna, in questa operazione innovatrice”, nella prospettiva di una sintesi sociale e politica in grado di accogliere istanze liberaldemocratiche e socialiste [4].
Ed è sul terreno delle riforme sociali che il Partito d'Azione incontrava i comunisti da cui si differenziava per il rifiuto della “sottaciuta” aspirazione di questi ultimi alla “dittatura del proletariato” e per l'assoluta mancanza di fiducia nello Stato - guida e nello “Stato-produttore”. A cui Lombardi e il Partito d'Azione opponevano l' “organizzazione federale degli Stati Uniti d'Europa” e un'idea di “economia [...] agile, articolata, dotata di un alto grado di automatismo, fondata sulla solidarietà sociale e cooperativa ma anche sull'iniziativa e sulla responsabilità personale” [5].

Lombardi ipotizzava un quadro economico caratterizzato dalla presenza della libera iniziativa, della cooperazione e delle imprese socializzate e controllate da organismi rappresentativi del territorio. A tali soggetti si sarebbe affiancato un numero ristretto di aziende nazionalizzate [6] e affidate ad organismi di governo autonomi con la prevalenza, in questi ultimi, "delle rappresentanze degli utenti diretti e dei lavoratori in essi impiegati".
Ma la rivoluzione italiana doveva essere prima di tutto una "rivoluzione contadina" che non poteva essere ridotta al semplice diritto del lavoratore agricolo alla proprietà. Andava sollecitata e sostenuta la cooperazione che doveva diventare la forma di gestione della grande azienda agricola industrializzata.
Insieme al decentramento amministrativo, la cooperazione è posta a fondamento della rivoluzione democratica sostenuta da Lombardi che indicava, allora, nell'economia di mercato la base dello sviluppo economico.
Una convinzione poco dopo abbandonata per una politica economica di piano, quindi per la programmazione democratica, per la strategia delle riforme di struttura, facendo leva sui mutamenti intervenuti nella forma-Stato.

Stato e neocapitalismo

Ed è proprio sul problema dello Stato che sul finire degli anni Cinquanta si confrontano Lombardi e alcuni esponenti della sinistra socialista. Tanto l'uno quanto gli altri colgono il passaggio di tale istituto a dispositivo essenziale per l'accumulazione capitalistica; a cui compete la gestione diretta di settori rilevanti della produzione e del credito, il controllo e il sostegno ai prezzi, la regolazione dei servizi di pubblica utilità, nonché garantire la formazione professionale e lo sviluppo tecnico e scientifico.
Ma dalla comune premessa sulla funzione dello Stato nel capitalismo monopolistico Lombardi e la sinistra socialista giungevano a conseguenze strategiche diverse. Per Vittorio Foa, Lucio Libertini e Lelio Basso i legami tra l'apparato statale e i monopoli, progressivamente moltiplicatisi, avevano impresso allo Stato una ancora più profondo carattere di classe.

Tra i protagonisti di quel confronto, come ricorda Lombardi, anche Raniero Panzieri che riportava la possibilità di una trasformazione dello Stato alla diffusione di organismi di democrazia operaia, all'affermazione del controllo operaio sui processi di produzione.
La tesi era posta a fondamento della “via democratica al socialismo”, con un esplicito richiamo all'indicazione morandiana di operare all' “interno del sistema”, “entro le strutture stesse capitalistiche”. Facendo delle “riforme [...] momenti di un ‘piano' organico di azione delle forze lavoratrici per l'intervento nella produzione su scala aziendale, settoriale e generale”, per mutare i rapporti di potere a livello strutturale. Era questo, secondo Panzieri, il senso, nelle specifiche condizioni storiche dei primi anni del secondo dopoguerra, della “rivendicazione dei consigli di gestione”. Adesso, dopo il 1956, la questione andava ripresa realizzando “forme di totale democrazia[7] e abbandonando il meccanicismo proprio della cultura della Terza Internazionale che assegnava al proletariato, “dove la borghesia non avesse compiuto ancora la sua rivoluzione, il compito [...] di costruire o di favorire la costruzione dei modi di produzione e delle forme politiche della società borghese compiuta” [8].

La storia, viene precisato nelle Sette tesi sulla questione del controllo operaio, non è un succedersi regolare di fasi l'una distinta dall'altra. Accanto alle nuove relazioni sociali e produttive spesso permangono vecchi rapporti; un intreccio che non consente di “inseguire modelli prefabbricati” ma richiede di “prendere coscienza della realtà sempre complessa e specifica” in cui si opera.
Per ciò che riguarda la società italiana, “il dato fondamentale è costituito dal fatto che la borghesia non è stata mai, non è, non può essere una classe ‘nazionale', [...] capace cioè (come è avvenuto in Inghilterra e in Francia), di assicurare, sia pure per un certo periodo di tempo, lo sviluppo della società nazionale, nel suo insieme”.
Oggi nel paese coesistono un “eccesso di sviluppo capitalistico” e “forze semifeudali”, realtà che “non possono essere isolate e separate l'una dall'altra, perché il loro insieme - scrive Panzieri - è il nostro capitalismo”. Un “capitalismo timido, incapace, parassitario, che mai è stato in grado di costituire un mercato nazionale”, alleato con gli agrari e da sempre protetto dallo Stato [9].
Le contraddizioni che “lacerano acutamente la società italiana” richiedono un'iniziativa politica in grado di “affrontare insieme compiti di natura diversa” e di favorire uno sviluppo democratico interessato a forzare il quadro delle compatibilità di sistema [10]. Un proposito che può realizzarsi grazie ad un sistema di alleanze sociali il cui motore costitutivo non può che essere la classe operaia organizzata in propri istituti democratici, che non sostituiscono quelli parlamentari. Questi ultimi, sotto la pressione delle nuove istituzioni dei lavoratori, potranno essere trasformati “da sedi rappresentative di diritti meramente politici, formali, a espressione di diritti sostanziali, politici ed economici allo stesso tempo” [11].
Pertanto, è attraverso gli organismi democratici di fabbrica e grazie alla “lotta per il controllo” della produzione che i lavoratori possono diventare artefici di una “nuova politica economica”, intesa ad eliminare il potere dei monopoli e gli squilibri che ne derivano, “tra regione e regione, tra ceto e ceto, tra settore e settore”.
Panzieri non propone al movimento operaio di sostituirsi al capitalismo, di compierne l'opera, bensì di tenere insieme lo “sviluppo economico” e “una parallela trasformazione dei rapporti di produzione” [12]. Un'ipotesi strategica non dissimile, come vedremo, da quella di Lombardi, ma il socialista romano precisava che era illusorio pensare di poter far leva sulle “istituzioni politiche esistenti (Parlamento, organi esecutivi dello Stato), così come sono” [13].
Più lo Stato accresce “le sue funzioni” tanto più diventa necessaria la “rottura della vecchia macchina statale”. Panzieri accoglie così la tesi centrale contenuta in Stato e rivoluzione [14], ma con il richiamo al più libertario dei testi di Lenin Panzieri esprime un orientamento di ricerca il cui fine consiste nella costruzione di una democrazia radicale e sostanziale, che può trovare le sue premesse nella realizzazione dei fondamenti del dettato costituzionale.

Il “nucleo veramente sostanziale” della Costituzione - scrive nel dicembre 1957 - “è nel superamento della concezione dello Stato rappresentativo borghese attraverso una determinazione di diritti e di istituti democratici non più meramente formali”. Da qui era necessario partire per introdurre “sensibili modificazioni nei rapporti di proprietà e nella […] struttura e macchina dello Stato”, per “dar vita a un nuovo potere e a un nuovo sistema di diritti”, ad “una fase preliminare nel processo di creazione dello stato socialista”.
Un processo che era illusorio affidare semplicemente al “giuoco […] di tipo parlamentare”, andava realizzato da un movimento di rivendicazione sociale e popolare organizzato in propri organismi (partiti, sindacati, istituti di democrazia operaia e organismi culturali), a cui spettava “fornire gli esempi vivi e concreti di una democrazia completa, sostanziale, dal basso” [15].

Lombardi, pur ritenendo giuste le critiche “ai limiti e alle illusioni che il parlamentarismo comporta”, sollecita la sinistra e in particolare Foa, in occasione del congresso socialista di Napoli del 1959, a non convertire la critica al parlamentarismo “in sfiducia nell'azione politica, attribuendo valore solo all'azione svolta direttamente sulle strutture, commettendo inoltre il grave errore di considerare come struttura solo la fabbrica”. Oggi, aggiunge Lombardi, per operare seriamente nelle strutture “bisogna necessariamente prendere atto della correlazione intima tra strutture e sovrastrutture” [16]. Quindi, per modificare i rapporti di forza nella sfera produttiva e strutturale, è necessario agire nell' “intima correlazione tra struttura e sovrastrutture, quindi nella connessione tra economia e Stato” [17].
In un periodo - dichiarò alcuni anni dopo - “di depressione politica e sociale” della classe operaia, “succeduto ad anni di umiliazioni e sconfitte”, un' “attività di carattere legislativo e […] illuministico a priori” avrebbe avuto un valore mobilitante delle forze “addormentate o latenti nella società”. Quindi avrebbe reso possibile superare il “riformismo spicciolo” e implementare “una serie di riforme capaci di autopropagazione e di autoincentivazione”. Cioè

un processo a catena, in cui ogni riforma, rompendo un equilibrio, costringe a riequilibrare la società a livelli più elevati, e riequilibrandola a livelli più elevati crea nuovi problemi che esigono nuove e successive riforme, così che si stabilisce non una serie di riforme disarticolate e fra loro indipendenti, ma una serie di riforme successive fra loro rigorosamente e logicamente interconnesse, fino ad arrivare alla rottura definitiva degli equilibri, al mutamento qualitativo [18].

Ciò che Lombardi va tracciando è un'idea, con tratti giacobini, di trasformazione orientata ad un socialismo sottratto tanto al riformismo socialdemocratico, che pure non disprezza, quanto all'attesa del “crollo”, della catastrofe generata automaticamente da contraddizioni insite nel modo di produzione capitalistico. Un'interpretazione della concezione materialistica della storia ampiamente diffusa nella Seconda Internazionale e riproposta dall'economicismo staliniano, che aveva prodotto un blocco della ricerca marxista all'altezza della fase, con particolare riguardo alla funzione dello Stato nel neocapitalismo.
Durante il congresso di Napoli, nel mettere a fuoco le proposte di politica economica che dovevano essere oggetto di confronto con la Dc e di verifica dell'esistenza delle condizioni necessarie per la svolta di centro-sinistra, Lombardi si sofferma sulla questione del mutamento dello Stato che - suscettibile di conquista dall'interno - da veiller de nuit, da semplice espressione degli interessi della classe dominante era diventato anche strumento di intervento in economia. Il che sembrava rendere possibile, a certe condizioni, affermare il primato della politica sull'economia, da realizzare attraverso interventi di piano in grado di imporre le decisioni delle istituzioni pubbliche al potere dei monopoli che agivano nell'interesse privato.
Lombardi richiama l'attenzione sulla necessità di procedere ad un aggiornamento e ad una revisione teorica del marxismo, inteso, tra l'altro, a superare la contraddizione tra una “teoria prevalentemente rivoluzionaria” e una pratica riformista semplicemente compatibile con il processo di accumulazione vigente. Ciò - scrive Bagnoli - per dare “continua coniugazione tra l'idea e la forma del suo farsi concreto che spetta naturalmente alla politica innestare nella storia” [19].
Da questo punto di vista la questione centrale per il leader socialista è sempre quella dello Stato che “pur essendo, come sempre è, espressione organica degli interessi della classe dominante, [...] non è più soltanto questo, o non lo è più nella forma diretta ed esclusiva” [20]. Se lo Stato era essenzialmente “sovrastruttura” oggi è anche “struttura”, è “stato-operatore”, amministratore, imprenditore economico [21], pertanto un istituto come il controllo operaio, per quanto importante, è insufficiente ad incidere sul governo dell'economia nazionale.

Oggi la direzione degli investimenti - dichiara Lombardi al XXXIV Congresso del PSI -, che è la cosa essenziale, e il controllo del credito, che ne è la molla necessaria, cioè gli strumenti decisivi di una pianificazione, non si possono fare operare efficacemente al livello locale e neppure di fabbrica. Non si tratta soltanto dei limiti del controllo che gli operai possono esercitare nella direzione della fabbrica. Il controllo della direzione della fabbrica è una rivendicazione elementare, del resto costituzionalmente sancita, da parte degli operai. […] ha un valore educativo e di controllo, […] non ha un valore decisivo per ciò che riguarda l'influenza che il controllo operaio può avere su un processo che si svolge al di fuori del ristretto ambiente della fabbrica [22].

Alla “pianificazione del neocapitalismo” bisogna opporre “la pianificazione collettiva, […] controllata e diretta dai poteri pubblici”. Allo “sviluppo produttivo subordinato [...] al sistema del profitto” deve subentrare un modello di sviluppo subordinato all'utile collettivo e va stabilita “una scala di consumi rispondente ai bisogni elementari e ai bisogni elevati della collettività nazionale” [23].
Durante il XXXV Congresso nazionale socialista Lombardi sottolineò come fosse stata ormai acquisita da tutte le componenti del movimento operaio italiano la necessità della ricerca di una via autonoma e nazionale al socialismo. Inoltre, come fosse venuto meno “il mito rivoluzionario considerato nella sua vecchia impostazione di azione eversiva atta a distruggere lo Stato”, sulle cui “rovine edificare la società socialista”. Era ormai patrimonio comune della sinistra la convinzione che la rivoluzione democratica e socialista non potesse che passare per “la via obbligata delle riforme di struttura” [24].

Piano e rapporti di classe

Ma non si tratta solo di fare fronte a “bisogni elementari di occupazione e di reddito dei lavoratori”, il neocapitalismo - avverte Lombardi - “è in grado di assicurare un minimo di livello di benessere, un certo tipo di accumulazione di capitale, di espansione dell'economia e di ripartizione del reddito”, sebbene “rigorosamente subordinata alle sue prospettive e necessità di profitto”. Ciò che si stava per imporre era un “modello di sviluppo [...] pagato con costi sociali elevatissimi”, con la desertificazione produttiva delle regioni meridionali e con la trasformazione delle aree “del triangolo industriale [...] in un costipato campo di concentramento” [25].

La questione pertanto che si pone ai socialisti, più in generale a tutto il movimento operaio, è quella di un governo partecipato dello sviluppo economico, del trasferimento in mani pubbliche delle attività decisionali finora monopolio del capitale, quindi di cambiare i rapporti di potere tra le classi e il modello di sviluppo economico [26].
In ciò consiste “l'essenza della programmazione democratica” [27] e la partecipazione del sindacato alla elaborazione degli obiettivi del piano è la condizione necessaria per realizzarla. Le organizzazioni dei lavoratori non potevano limitarsi a svolgere semplicemente un ruolo rivendicativo, dovevano porsi il problema di contribuire alla direzione della produzione, cioè alla politica degli investimenti [28]. Per Lombardi era anche il modo per mantenere aperto un canale di comunicazione e di confronto, ai fini della definizione delle politiche economiche, con il partito comunista che era la forza egemone nel movimento operaio [29].

La questione della partecipazione del sindacato ad una politica di piano era un problema aperto tanto nei paesi capitalistici quanto in quelli “collettivistici”. In questi ultimi il sindacato, in ragione di una “astratta” e “mistificante identificazione Stato-classe”, era stato ridotto ad esecutore della volontà dello Stato, a collaborare alla realizzazione “di un piano deciso dall'autorità politica” e dalla cui formulazione era stato escluso.
Al sindacato, secondo Lombardi, non spetta solo partecipare all'elaborazione e all'applicazione del piano, deve svolgere un ruolo essenziale nella verifica dei mutamenti prodotti dal conseguimento degli obiettivi disposti dalla programmazione. Ma deve soprattutto “alterare in senso progressivo [...] l'equilibrio esistente”, deve svolgere un'azione che, oltre a rivendicare una più equa distribuzione del prodotto sociale, operi nella direzione di un nuovo modello di sviluppo e di un sistema di “consumi di valore sociale”. [30]
Perché la vita economica sia governata democraticamente è essenziale la partecipazione delle regioni e degli enti locali, dei rappresentanti delle “istanze democratiche a livello verticale e orizzontale, oltre che di quelle istituzioni che garantiscono la presenza dei valori culturali più vivi del paese” [31].

Programmazione democratica, riforme di struttura, ruolo attivo del movimento sindacale nella realizzazione di un nuovo modello di sviluppo, mutamento dei rapporti sociali e politici è quanto specifica per Lombardi una “politica socialista” e la differenzia da quella socialdemocratica. Quest'ultima, per quanto “seria”, si “propone di essere un elemento di acceleramento e di ammodernamento del sistema capitalistico”, ed è rivolta anche al miglioramento delle condizioni materiali delle masse popolari, “ma senza incidere [...] sui rapporti di potere rispetto alle classi subordinate” [32].

Il processo politico sostenuto da Lombardi non poteva che essere graduale ma la crisi del primo governo organico di centro-sinistra e la scelta dei socialisti di cedere ad un programma moderato che accantonava riforme essenziali per uno sviluppo democratico del paese, come la riforma urbanistica e l'istituzione delle regioni, provocò nel Psi, già indebolito dalla scissione del Psiup del gennaio 1964, la rottura della maggioranza autonomista e il passaggio di Lombardi all'opposizione nel partito. Per il leader della nuova sinistra socialista la rinuncia da parte del Psi ad una sia pur rimodulata strategia delle riforme costituiva un arretramento politico che difficilmente sarebbe stato recuperato [33].
Il partito, scrive Lombardi il 7 ottobre 1964 all'allora segretario Francesco De Martino, si avvia a farsi garante non del cambiamento ma dell' “equilibrio”, della “stabilità sociale e politica” [34].
In quello stesso anno Panzieri scrive che alla formazione dei monopoli e degli oligopoli, allo sviluppo smisurato della composizione organica del capitale, ai processi di integrazione della classe operaia, alla razionalizzazione del lavoro all'interno dell'azienda corrisponde una sempre più ampia pianificazione della produzione, dello scambio, della distribuzione e del consumo.
Come “il capitale ha bisogno di garantirsi sempre di più dalla insubordinazione operaia, così sempre più nella sfera della distribuzione e del consumo ha bisogno di garantirsi una possibile produttività […] a lungo periodo” [35].
Ciò interessa in primo luogo lo Stato che tende ad assumere il compito di mediare tra i diversi interessi settoriali del capitale, “diventando […] capitalista collettivo”, e in quanto tale agente principale della pianificazione [36].

Il processo di sviluppo capitalistico “tende” ad integrare sempre di più strutture che nei suoi primi stadi appaiono come sfere indipendenti. Tende a fare della fabbrica, della società civile e dello Stato “una sfera sola”, senza per questo annullare i caratteri specifici di ciascun ambito [37].
La razionalità conseguita dal modo di produzione capitalistico fa venire meno l'opposizione tra la razionalità della fabbrica e l'anarchia del mercato, a cui la Seconda e la Terza internazionale avevano affidato la transitorietà del capitalismo. Nessun fattore oggettivo, insito nel modo di produzione dominante, può garantire la trasformazione sociale automatica. Il “rovesciamento dei rapporti esistenti” dipende dal “valore totalmente eversivo che, di fronte all'ossatura oggettiva sempre più indipendente del meccanismo capitalistico, tende ad assumere ‘l'insubordinazione operaia' ” [38], che va convergendo verso richieste gestionali[39].
Anche per Lombardi, come abbiamo già detto, se la pianificazione era inammissibile per il “vecchio capitalismo”, che “si basava sulla potestà del mercato”, non lo era per il neocapitalismo che era “diventato pianificatore” [40] e ciò in conseguenza di una serie di eventi.
In primo luogo le pressioni delle lotte sociali e politiche degli ultimi decenni avevano costretto il capitalismo ad immettere “nel corpo sociale la pratica [...] delle spese sociali, a lasciare la presa su una quota sempre più rilevante di reddito destinata all'investimento e a trasferirla ai consumi”. Inoltre l' “insorgere del movimento di liberazione dei popoli oppressi” e la nascita di economie che tendono “ad una propria organizzazione autonoma”, hanno fatto venire meno la funzione compensativa dei mercati coloniali rispetto alla riduzione della domanda interna. In più l' enorme quota di investimenti in capitale fisso implica la necessità di una produttività sempre crescente e di evitare i costi conseguenti la immobilizzazione del capitale fisso nelle fasi calanti del ciclo economico.
Era un insieme di fattori che richiedeva al capitalismo di far ricorso alla pianificazione della produzione in ambito aziendale e intersettoriale, così come ad una programmazione da parte dello Stato, a cui spettava introdurre elementi di stabilizzazione e compensazione del ciclo. Ma soprattutto di realizzare e gestire infrastrutture essenziali per l'accumulazione, quali l'istruzione e la formazione professionale, il sistema dei trasporti, le fonti energetiche e i comparti industriali essenziali ma non sufficientemente profittevoli.
Pertanto la razionalizzazione del sistema, la necessità “di sottrarlo al suo naturale impulso anarchico e dissolvitore”, di dare coerenza agli interventi sia privati che pubblici, cioè di assegnare un fine allo sviluppo economico, non è un obiettivo specificatamente socialista. Diventa tale nella misura in cui si propone, con tutta la gradualità necessaria, di cambiare i rapporti di potere nella sfera delle relazioni economiche e sociali. Era l'obiettivo che il Psi doveva conseguire ricorrendo alla realizzazione della pianificazione democratica, predisposta da una “serie concatenata di riforme”; quali quella urbanistica e dell'istruzione, la nazionalizzazione dell'energia elettrica e l'istituzione delle Regioni, queste ultime “come corpi capaci di imprimere un effettivo contenuto democratico alle scelte prioritarie e settoriali” [41].

Quindi la questione che pone Lombardi nei mesi precedenti la formazione del primo governo organico di centro-sinistra è quella di “rimuovere gli ostacoli strutturali che, nell'odierna società economica nazionale, si oppongono […] ad una seria politica” di piano e creare, allo stesso tempo, la strumentazione essenziale perché la programmazione acquisti un carattere democratico [42]. La “specificazione ‘democratica' ”, sottolinea Lombardi, vuole avere “una esplicita carica polemica non soltanto rispetto alla pianificazione regolata dai monopoli privati, ma altresì rispetto a sistemi di pianificazione pubblica a carattere autoritario e centralizzato”.

Gli obiettivi e i relativi strumenti di attuazione delle riforme sono “complementari e si sostengono a vicenda, pertanto si può discutere sul terreno strettamente tecnico la pertinenza e l'efficacia di questa o di quell'altra misura, ma solo per confrontarla con una misura diversa che si dimostrasse di pari o maggiore efficacia per lo stesso fine. La globalità degli obiettivi è e deve rimanere irrinunciabile” [43]. Non può essere diversamente se i mutamenti introdotti negli assetti economici, sociali e culturali devono costituire la premessa a passi successivi, che non si propongono semplicemente di razionalizzare e ammodernare l'economia neo-capitalistica. Anche questo obiettivo va conseguito “ma in un contesto coerentemente indirizzato ad uno sviluppo alternativo a quello dell'economia capitalistica”. Si tratta, attraverso una strategia di riforme di struttura, di determinare una costante rottura negli assetti economici e sociali vigenti e promuovere una loro ricostruzione ad un livello democratico sempre più avanzato.
Ma il centro-sinistra si esaurì “sette mesi dal suo inizio”, la “struttura stessa della Democrazia cristiana”, dichiarava Lombardi, “lo rendeva inutilizzabile ai fini, non solo della trasformazione del sistema, ma di una semplice razionalizzazione nell'ambito del sistema” [44].
La differenza, tra Lombardi e la maggioranza del partito, non era tra chi voleva resistere e chi voleva cedere “ma - come lo stesso leader socialista scrisse - fra chi voleva dare alla politica di centro-sinistra il significato di spostamento dei rapporti di classe attraverso il trasferimento graduale e democratico dei centri di potere e coloro che puntano prevalentemente o esclusivamente sulla formula, sull'incontro storico o meno fra socialisti e cattolici” [45].

Sul fallimento della “svolta a sinistra” aveva pesato anche la scelta del Pci che, per Lombardi, non aveva dato seguito all'impegno di spendere la propria “disponibilità democratica” a fronte di un “governo capace di impostare i problemi avanzati di riforma democratica e di attuazione della Costituzione” [46].
Nell'orazione del 1 maggio 1967, Per una società diversamente ricca, Lombardi registrava il venire meno del progetto socialista di una “trasformazione graduale della società” ricorrendo alla programmazione democratica [47] , per cambiare “i rapporti di forza” [48] nella società e nello Stato. Altrettanto carente era stata la capacità di distribuire, attraverso il welfare, parte dei profitti conseguiti dalle imprese a vantaggio delle classi lavoratrici, come avevano fatto le socialdemocrazie europee.
Allo stesso tempo, proprio mentre si delineava una vasta e radicale contestazione dell'ordine vigente, Lombardi ritornava sul tema di una ricostruzione sociale fondata sul recupero del senso più profondo del socialismo; cioè della critica esercitata nei confronti dell'individualismo, dell'ordinamento gerarchico, della disumanizzazione prodotta dal capitalismo in tutte le sue manifestazioni antiche e attuali. Ciò con il proposito, espresso da Lombardi, di far leva sulle forze sociali interessate a trasformare e a non stabilizzare il sistema [49]
Quattordici anni dopo l'orazione del 1967 - ne Il discorso di Piacenza dell'8 marzo 1981 - dichiarava che la base economica su cui poggiava la strategia socialdemocratica, a cui si ispirava la nuova direzione craxiana, stava venendo meno: la crisi produttiva, la ristrutturazione tecnologica, l'espulsione di quote crescenti di forza lavoro e l'invecchiamento della popolazione stavano rendendo impraticabile una semplice ridistribuzione del reddito.
Ragione per la quale, anche in considerazione dell'offensiva globale neoliberista condotta dalla coppia Thatcher – Reagan, si poneva l'urgenza di intervenire non solo nella distribuzione del reddito ma anche nella produzione e nell'accumulazione per stabilire “che cosa, come, per chi produrre, con quali intendimenti e con quali rapporti” [50].
Lombardi ritorna sul tema di un nuovo modello di sviluppo, più che mai urgente a fronte dell'evidente insostenibilità di quello vigente, e di un nuovo sistema di relazioni sociali e produttive incentrato sulla partecipazione e sull'autogestione.
Paolo Bagnoli ha sottolineato la connessione tra il discorso di Torino del 1967 e quello di Piacenza del 1981, in quest'ultimo sono precisati, alla luce delle lotte sociali e delle esperienze politiche degli anni Settanta, alcuni dei fondamentali caratteri di “una società diversamente ricca”, del “socialismo nuovo” [51] come “progetto dell'uomo diverso”, portatore di bisogni qualitativamente più elevati da quelli indotti dalla “società affluente”.

Movimenti sociali e riforme di struttura; ovvero l' “alterazione del potere”

Ma tra i due momenti va forse ricordata la rivisitazione critica, condotta da Lombardi, del confronto, a cui abbiamo già fatto riferimento, che si svolse alla vigilia del centro-sinistra tra due linee d'azione presenti in ambito socialista. Da una parte Lombardi stesso e Antonio Giolitti, che puntavano sul momento istituzionale per dare una direzione allo sviluppo, per realizzare un controllo sugli investimenti, sulla politica del credito e sui profitti; dall'altra Foa e Panzieri, che insistevano, “in modo pressoché esclusivo”, sul momento sociale, sui contropoteri e sulla contestazione a livello di fabbrica. Erano due concezioni che Lombardi a distanza di tempo, nel 1974, non riteneva antagoniste bensì complementari: “è impossibile - scrive l'esponente socialista - concepire un movimento d'azione e di direzione politica dello sviluppo […] non sostenuto da un movimento di massa […]; in assenza del quale […] l'opera istituzionale si muta nella migliore delle ipotesi in tecnocrazia, nella peggiore in governo autoritario” [52].
Lombardi sostiene la saldatura tra riforme di struttura e conflitto sociale, tra alternativa di sinistra e le nuove soggettività che si sono messe in movimento nei luoghi di lavoro e specialmente nelle aree metropolitane.

Già durante il XXXVIII Congresso nazionale del Psi, 23-27 ottobre 1968, Lombardi sollecitava il partito a prendere coscienza dell'insorgenza della contestazione giovanile e operaio, della crescita di un movimento cattolico autonomo dalla Dc, i cui “rapporti di parentela” con “i centri di potere conservatori” ne avevano fatto un ostacolo alla realizzazione di riforme destinate ad “alterare” i rapporti di reddito e di potere tra le classi.
L'esperienza del centro-sinistra aveva dimostrato che una politica di riforme in Italia doveva vincere poderose resistenze, contro le quali occorreva garantirsi la partecipazione delle masse popolari e il sostegno delle forze politiche che avevano in comune la finalità del superamento del sistema capitalistico [53].

La strategia delle riforme di struttura, non realizzata dal centro-sinistra anche “nella sua interpretazione moderata di razionalizzazione del sistema politico”, viene ripresa e riproposta, sul finire degli anni Sessanta, “come strategia di massa” [54] in presenza di un imponente movimento di forze sociali e sindacali, portatore di nuove istanze economiche ma anche morali e intellettuali.
Un movimento che per Lombardi non consentiva “di considerare […] la conquista del potere, o meglio dei poteri [55] con lo stesso grado di successioni temporali che erano intrinseche […] nella strategia dell'alternativa democratica”. Le “condizioni della società industriale […], lo stato di coscienza, di maturità” che le masse popolari vanno acquisendo consentono di porre la “strategia complessiva delle riforme su un terreno non più soltanto democratico ma di vera e propria acquisizione di elementi qualitativamente importanti di iniziativa e di realizzazioni socialiste”. Nella prospettiva di una “democrazia socialista” intesa nei termini di “una democrazia integrale”, che necessita nel breve termine della riforma degli apparati condizionanti l'opinione pubblica: dall'informazione all'istruzione, all'assistenza sociale, alla sanità, garantendo forme di controllo e partecipazione sociale [56].
La contestazione giovanile, operaia e studentesca, va ponendo radicalmente in discussione il potere costituito autoritariamente nello Stato, nelle fabbriche, nella scuola, nella società civile. “Chiedendo una diversa distribuzione del potere, i giovani hanno aperto una strada nuova” o per lo meno potenzialmente “nuova alla sinistra”. La critica alle incrostazioni burocratiche, che determinano un diaframma fra società civile e società politica ed impediscono una più ricca vita democratica, aprono prospettive completamente nuove anche per le forme istituzionali della sinistra storica. Il movimento operaio deve proporsi non solo una migliore distribuzione del reddito e la trasformazione delle strutture fondamentali di una società attualmente dominata dal profitto, ma anche lo sviluppo di forme di partecipazione dal basso, di una articolazione democratica del potere, di un ricambio di classi dirigenti. Questioni che investono in misura non inferiore - seppure in forme diverse - “anche le società dove pur è evidente la socializzazione dei mezzi di produzione”. “In sostanza, nell'attuale realtà europea, un modello socialista di iniziativa politica deve ricomprendere in una sintesi complessiva una proposta di riforme strutturali e di riforme sociali, collegata alla conquista di nuovi livelli di partecipazione e di potere”.

I movimenti e l'azione di massa non rendono marginale la funzione dei partiti a cui spetta l'organizzazione di quegli “sbocchi politici e istituzionali che sono […] necessari” perché i “movimenti di massa, anche trionfanti, non vengano riassorbiti o addirittura degenerino in puri movimenti eversivi. […]. Di qui la necessità di un rapporto sempre aperto, dialettico tra partiti e movimenti” [57], di una “ristrutturazione” politica e culturale della sinistra tutta [58]. Non si tratta di proporre una riedizione del frontismo ma di lavorare alla costruzione di una nuova sinistra, portatrice di un ripensamento dell'organizzazione economica e sociale, dei consumi e dei valori. Impegnata nella ricerca e nella realizzazione di un modello di sviluppo e di governo altro da quello finora perseguito e realizzato dalla sinistra socialdemocratica e comunista, incentrato sul produttivismo e sullo statalismo.
Nel quadro di un aggiornamento della politica della sinistra andava riconsiderata “l'eredità e la reviviscenza dell'apporto” teorico di Raniero Panzieri a una strategia operaia; “apporto coevo con quello dell'équipe di ‘Socialismo ou barbarie' ” e relativo al complesso problema dell'autogestione. Un'istanza riproposta dai movimenti operai e studenteschi a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta e che esprimeva, “confusamente ma energicamente”, l'esigenza di formulare una strategia rivoluzionaria antiautoritaria.
Quello dell'autogestione, considerati i limiti fino ad allora mostrati da tali esperienze, era un terreno accidentato ma da cui la sinistra non poteva prescindere, iniziando dal conseguire, preliminarmente, “le condizioni democratiche della transizione” socialista. Cioè determinando “una serie di misure” per “controllare efficacemente e democraticamente il quadro istituzionale e i poteri non elettivi” (esercito, burocrazia, polizia, informazione, finanza, magistratura), realizzando momenti di partecipazione effettiva delle masse al controllo della produzione sui luoghi di lavoro [59].
Una strategia socialista all'altezza del neocapitalismo, precisa Lombardi in una lunga intervista del 1976, richiede di affiancare alla conquista “dei poteri” (perché gli organismi istituzionali svolgano il proprio ruolo in modo imparziale e siano sottoposti al controllo democratico) la costituzione di una rete di contropoteri (consigli di fabbrica, di quartiere e di zona, consigli scolastici e forme aggregative realizzate in “rispondenza a problemi sociali anche elementari”) da irrobustire e allargare [60]. Istituti di democrazia diretta in grado di mettere in moto una “serie ininterrotta di riforme, l'una richiamantesi all'altra e occasionante quella successiva”, facendo leva sul mutamento dei rapporti di forza sociali e politici.
Lombardi prospetta un gradualismo rivoluzionario, o meglio un “riformismo rivoluzionario”, alimentato dalla combinazione dialettica di iniziativa politico-istituzionale e autodeterminazione sociale, da tradurre nell'ampliamento di spazi di autogoverno [61].
La prospettiva di una società tendente all'autogestione, caratterizzata da un processo di restituzione alla società civile dei poteri dello Stato e nella quale crescano gli stimoli agli scambi non mercantili, richiede una strategia politica incardinata su una crescente giustizia redistributiva, su una produzione orientata alla realizzazione di beni durevoli e a forte utilità sociale [62], che non può non risultare da una pianificazione democratica [63].
Ma la questione che va posta al centro di un processo di trasformazione è soprattutto quella della “generalizzazione del lavoro e dell'occupazione attraverso la riduzione del tempo di lavoro, turnazioni ecc.”. Ciò, per quanto possa apparire inizialmente economicamente non proficuo, “è un modo di mobilitare e valorizzare al massimo le risorse umane e […] liberare, attraverso il tempo libero, quelle nuove e maggiori capacità di gestione e direzione (capacità di autogoverno e di governo) che sono essenziali alla transizione”.
Ecco che la sinistra al governo non è “una variazione nel potere” bensì “un'alterazione del potere”, pertanto il mutamento sociale non può essere circoscritto ai rapporti di proprietà, all'espropriazione e alla statalizzazione, “bisogna […] cambiare gerarchie e organizzazione del lavoro” [64].
Su questa base Lombardi mette in discussione “l'essenza teorica della società sovietica”, espressa nello scritto di Lenin del settembre 1917, La catastrofe imminente, che indicava nel capitalismo monopolistico di Stato, giunto alla fase imperialistica, la premessa materiale del socialismo, che si realizza con il passaggio dello Stato alla direzione politica operaia. Quest'ultima liberando lo sviluppo delle forze produttive dagli ostacoli posti dai rapporti di produzione capitalistici ne avrebbe consentito la piena realizzazione.
Riconosciuto lo stato di necessità che portava Lenin e il gruppo dirigente bolscevico ad assegnare allo Stato sovietico postrivoluzionario il compito di garantire lo sviluppo delle forze produttive [65], Lombardi sottolineava come la riduzione del socialismo a statalizzazione e pianificazione autoritaria aveva garantito la permanenza dei vecchi rapporti di produzione.

Nella “società sovietica - dichiara il leader socialista - la struttura produttiva, la divisione fra lavoro intellettuale e lavoro manuale, fra contadini e operai, il rapporto salariale, sia pure con il padrone che è lo Stato e non più l'imprenditore, sono rimasti immutati” [66].
Dalla rivoluzione dell'ottobre 1917 “la cultura e la politica sovietica hanno attribuito” un' “importanza predominante […] alla questione della crescita delle forze produttive rispetto a quella dei mutamenti dei rapporti di produzione”. Una sottovalutazione che, insieme alla mancanza di pluralismo politico, ha “favorito e accelerato la corsa al totalitarismo” [67].
Senza una partecipazione dei lavoratori all'amministrazione del plusvalore, senza l'abolizione, della gerarchizzazione del lavoro e della divisione del lavoro “non c'è rivoluzione socialista”, poiché si riproduce un sistema di relazioni sociali che è la fonte di tutte le alienazioni. Si tratta pertanto di abolire “la divisione del lavoro, le gerarchie, la dipendenza del lavoro manuale dal lavoro intellettuale” [68].

Crisi e transizione al socialismo

Un complesso di questioni che per Lombardi si poneva nel momento in cui il meccanismo di sviluppo si era inceppato per il venire meno dei presupposti che dalla fine del secondo conflitto mondiale avevano reso possibile una nuova fase di espansione capitalistica.
La crisi degli anni Settanta aveva un carattere strutturale, era un fenomeno globale, era crisi dell'imperialismo e del mercato mondiale funzionante sull'ineguale sviluppo tra paesi produttori di materie prime e aree industrializzate [69]. Tale sistema di relazioni economiche e commerciali tra il centro e la periferia dell'impero, che aveva garantito una relativa stabilità sociale, era ormai destinato a finire per la concomitante insorgenza operaia e dei paesi del Terzo mondo [70].
Quanto aveva fino ad allora funzionato nei paesi capitalistici non poteva essere ripristinato, “riaggiustato o riformato con i metodi [...] dell'antico riformismo” [71]; la crisi erodeva lo stesso sistema democratico e si riproponevano le tendenze autoritarie insite nel modo di produzione capitalistico [72].
L'imponente sviluppo capitalistico degli ultimi trent'anni - sottolineò Lombardi intervenendo al XL Congresso nazionale del PSI - si era realizzato sulla base non soltanto dello “sfruttamento nazionale” della forza lavoro, ma anche sulla scorta di un flusso continuo di “scambi ineguali” fra paesi sviluppati e paesi sottosviluppati. Gli enormi profitti conseguiti dal capitalismo occidentale avevano consentito a quest'ultimo di alimentare il processo di accumulazione in modo considerevolmente sostenuto e allo stesso tempo di ottenere il consenso interno che gli è necessario È stata appunto la possibilità di devolvere a vantaggio delle masse popolari una parte delle risorse prelevate dai paesi sottosviluppati a rendere “ ‘tollerabile' il capitalismo”, “l'alienazione, le catene di montaggio, le varie forme di sfruttamento”
Ma il meccanismo di natura imperialistico che aveva garantito in Occidente la stabilità sociale e un relativo benessere si era “ormai inceppato in modo irreparabile, per via dei mutati rapporti di scambio con i paesi del Terzo mondo” [73].
Da qui per Lombardi la necessità di mutare l'ordine sociale attraverso una nuova distribuzione del lavoro, una drastica perequazione dei redditi, una profonda revisione del modo di produrre e del modo di consumare, rinunciando ad un'economia di spreco.
Ciò non voleva dire che il processo di accumulazione capitalistico non avesse possibilità di ripresa ma solo che il meccanismo di sviluppo che fino ad allora aveva consentito la riproduzione allargata del capitale non era più in grado di funzionare e l'esito non era scontato; poiché non “è assegnato da nessuna provvidenza e da nessun senso riposto della storia” [74] ma dipende dalla lotta politica [75].
In ogni caso non si tratta di attribuire al socialismo la responsabilità di portare a compimento lo sviluppo di “tutte le potenzialità produttive di cui la società è pregna”, secondo l'impostazione marxista che assegna allo sviluppo delle forze produttive la funzione di “regolatore supremo del corso della storia”. Ma, in considerazione del grado di sviluppo materiale conseguito, “i problemi della trasformazione socialista divengono non più semplicemente quantitativi ma qualitativi, e riguardano [...] il modo di fruire dei beni prodotti e di organizzare la produzione in modo tale che la fruizione non sia devastatrice dell'ambiente fisico e psichico”.
Se determinati fattori storici hanno imposto alle società post-rivoluzionarie di considerare prioritario lo sviluppo delle forze produttive, senza per questo giustificare la subordinazione a tale fine della trasformazione dei rapporti di produzione [76], oggi, sottolinea Lombardi, la società socialista va ripensata come “certamente più ricca” ma “diversamente più ricca”. Questo perché “fruirà di beni più veri, più necessari”, ma soprattutto della conversione della riduzione del tempo di lavoro socialmente necessario in tempo per il pieno sviluppo dell'individuo sociale [77].
Quanto tratteggiato non è un orizzonte a cui semplicemente aspirare bensì un nuovo sistema di relazioni sociali e produttive da conseguire attraverso un'attività di sperimentazione politica. Un proposito che riporta Lombardi alla riforma dei partiti che devono misurarsi con il diffondersi della critica al potere centralizzatore dello Stato e degli organi della società civile, con l “insorgenza [...] di movimenti, di iniziative con una forte tendenza, molte volte confusa, all'autoamministrazione e all'autogestione”. Ciò richiede di rimodellare la forma partito in modo da farne “punto di riferimento, di risonanza e di convogliamento delle molteplici esigenze” espresse tanto dalle strutture giuridicamente riconosciute quanto dall'insieme degli istituti di democrazia diretta presenti nei luoghi di lavoro, nelle scuole e nei territori.
La nuova sinistra, però, non può limitarsi ad essere un “veicolo istituzionale della spinta della base”, “deve essere capace di mescolarsi, di essere artefice” essa stessa “dei suggerimenti, degli impulsi, delle promozioni di cui poi si fa carico di tradurre in termini politici e di rappresentare” [78]. Deve farsi protagonista di una trasformazione sociale che per essere duratura, in un contesto di alternanza democratica, necessita della messa in “moto di un processo irreversibile di autoamministrazione e autogestione” [79], di una rinnovata “rivoluzione democratica” quale presupposto di un “socialismo nuovo” [80].



  1. R. Lombardi, Tre interventi per tre stagioni. Dall'azionismo al socialismo critico, con Introduzione e a cura di J. Perazzoli e G. Scirocco, Postfazione di Paolo Bagnoli, Milano, Biblion edizioni, 2024
  2. Id., Nasce dalla realtà la necessità dell'alternativa di sinistra, discorso pronunciato al convegno della sinistra socialista sul tema La crisi della Dc e i problemi dell'alternativa, Trento 15 febbraio 1975, ora in Id., Scritti politici 1963-1978. Dal centro-sinistra all'alternativa, a cura di S. Colarizi, Venezia, Marsilio Editori, 1978, p. 217
  3. Id., Il partito d'Azione. Cos'è e cosa vuole, Id., Tre interventi per tre stagioni. Dall'azionismo al socialismo critico, cit., pp. 33-34
  4. Il partito socialista era considerato in uno stato di crisi irreversibile e Lombardi auspicava la confluenza nel Partito d'Azione delle correnti socialiste “più spiccatamente consce della preminenza dei problemi della libertà, dell'autonomia, del decentramento”. Ciò avrebbe contribuito alla costituzione in Italia di un partito “analogo al Labour Party”, di una nuova formazione di orientamento socialista aliena da quelle “grettezze dottrinali e classiste” che avevano impedito al vecchio Psi di far fronte alla crisi del primo dopoguerra (cfr., ivi, p.43).
  5. Un' “economia nella quale sia il consumatore a controllare la politica di produzione e non il produttore (sia pure lo Stato-produttore) a imporre i suoi prodotti al consumatore, in una parola vogliamo un'“economia di mercato” (ivi, p. 40)
  6. Le nazionalizzazioni dovevano riguardare solo determinati settori, quelli in cui era “insufficiente e deficiente” l'iniziativa privata e andavano concepite “come prestazione di un servizio pubblico da parte dello Stato” (ivi, p. 51)
  7. R. Panzieri, Introduzione a Capitalismo contemporaneo e controllo operaio, in “Mondo operaio”, dicembre 1957, ora in M. Gaddi e L. Vinci, Il dibattito sul controllo operaio. Rivista “Mondo Operaio” (dicembre 1957-marzo 1959), Milano, Edizioni Punto Rosso, 2019, pp. 113-115
  8. L. Libertini e R. Panzieri, Sette tesi sul controllo operaio, in R. Panzieri, La pratica socialista. Scritti scelti, a cura di F.M.Iposi, Milano, Ronzani Editore, 2022, p. 31
  9. Cfr., ivi, p. 33
  10. Le “contraddizioni – scrivono Libertini e Panzieri – che lacerano acutamente la società italiana” (il “peso che i monopoli hanno assunto e sempre più tendono ad assumere; la contraddizione tra lo sviluppo tecnico e i rapporti capitalistici di produzione, la debolezza della borghesia come classe nazionale”) conducono “il movimento operaio ad affrontare insieme compiti di natura diversa; a lottare insieme per riforme che hanno un contenuto borghese e per riforme che hanno un contenuto socialista” ( L. Libertini, R. Panzieri, Sette tesi sul controllo operaio, in R. Panzieri, La pratica socialista. Scritti scelti, cit., p. 36)
  11. Ivi, pp. 36-37
  12. Ivi, p. 42
  13. Cfr., R. Panzieri, Rivendicazione del controllo operaio e il piano di sviluppo produttivo, in Id., Dopo Stalin. Una stagione della Sinistra 1956-1959, a cura di S. Merli, Marsilio editori, 1986, p. 96
  14. Cfr., Id., La concezione dello Stato, in ivi, pp. 115-116
  15. Cfr. Id., La costituzione e la lotta di classe, in “Mondo Operaio”, dicembre 1957, in ivi, pp. 172-173
  16. R. Lombardi, intervento al XXXIII Congresso del Psi, in XXXIII Congresso del Psi, Roma, ed. Avanti!, 1959, pp. 207-208
  17. “Il nodo del problema - precisa - non è nella fabbrica ma nella disposizione degli investimenti [...]. In Italia il problema capitale è quello di diminuire la disoccupazione. Senza diminuire la disoccupazione non si potrà mai impostare nessuna lotta. È il problema storico delle profonde differenze tra nord e sud”, è ciò che può consentire “una modificazione [...] dei rapporti di forza nel paese” (R. Lombardi, La nuova politica delle alleanze, discorso al XXXIII Congresso nazionale del PSI, Napoli 15-19 gennaio 1959, in Id., Scritti politici 1945-1963. Dalla Resistenza al centro-sinistra, vol. I, a cura di S. Colarizi, Venezia, Marsilio Editori, 1978, pp. 294-295).
  18. R. Lombardi, Sinistra italiana e tendenza del capitalismo, discorso pronunciato al Convegno dell'ACPOL, Milano, 26-28 settembre 1969, ora in Id., Scritti politici 1963-1978. Dal centro-sinistra all'alternativa, cit., pp. 132-133
  19. P. Bagnoli, Riccardo Lombardi e il socialismo nuovo, in R. Lombardi, Tre interventi per tre stagioni. Dall'azionismo al socialismo critico, cit., p. 127
  20. R. Lombardi, La conquista democratica dello Stato, discorso al XXXIV Congresso nazionale del Psi, Milano, 28-30 marzo 1961, in Id., Scritti politici 1945-1963. Dalla Resistenza al centro-sinistra, cit., pp. 340-341
  21. R. Lombardi, Primo bilancio del XXII Congresso del Pcus, discorso alla Sala Brancaccio, Roma, 21 novembre 1961, in ivi, p. 373
  22. Id., resoconto del discorso pronunciato al XXXIV Congresso nazionale del PSI, in “Avanti!”, 29 marzo 1961, p. 8
  23. R. Lombardi, La conquista democratica dello Stato, discorso al XXXIV Congresso nazionale del Psi, Milano, 28-30 marzo 1961, in Id., Scritti politici 1945-1963. Dalla Resistenza al centro-sinistra, cit., p. 347
  24. R. Lombardi, Le riforme di struttura come via democratica al socialismo, discorso al XXXV Congresso nazionale del Psi, Roma, 25-29 ottobre 1963, in ivi p. 396
  25. Ivi, p. 399
  26. Cfr., ivi, pp. 400-402
  27. R. Lombardi, Politica congiunturale e riforme di struttura, intervento al Comitato Centrale del Psi, 4 giugno 1964, in Id., Scritti politici, 1963- 1978. Dal centro-sinistra all'alternativa 1963- 1978, cit., p. 20
  28. Cfr., R. Lombardi, Programmazione economica, politica di piano e sindacato, discorso di Torino, febbraio 1965, in ivi, p. 34
  29. Cfr., Id., Politica congiunturale e riforme di struttura, intervento al Comitato Centrale del Psi, 4 giugno 1964, in ivi, p. 28
  30. Id., Programmazione economica, politica di piano e sindacato, discorso di Torino, febbraio 1965, in ivi, pp. 44-47
  31. Cfr., ivi, pp. 42-44
  32. R. Lombardi, Le riforme di struttura come via democratica al socialismo, discorso al XXXV Congresso nazionale del Psi, Roma, 25-29 ottobre 1963, in Id., Scritti politici 1945-1963. Dalla Resistenza al centro-sinistra, cit., p. 408
  33. Cfr., E. Bartocci, I riformismi del Psi nella stagione del centro-sinistra (1957-1968), in Id., (a cura di), I riformismi socialisti al tempo del centro-sinistra 1957-1976, Roma Viella, 2019, p. 217
  34. R. Lombardi, Lettera a Francesco De Martino, in Id., in Id., Scritti politici, 1963- 1978. Dal centro-sinistra all'alternativa 1963- 1978, cit., pp. 30-31
  35. R. Panzieri, Lotte operaie nello sviluppo capitalistico, in Id., La pratica socialista. Scritti scelti, cit., p. 141
  36. Cfr., ivi, p. 144
  37. Cfr., ivi, p. 145
  38. R. Panzieri, Sull'uso capitalistico delle macchine nel neocapitalismo,in Id., La pratica socialista. Scritti scelti, cit.,p. 49
  39. Per ciò che riguarda Panzieri, mi sia consentita una breve digressione a margine: la questione intorno a cui ruota la sua ultima riflessione è quella della crisi del movimento operaio. Ebbene, le difficoltà del sindacato di classe, l'arroccamento del Pci su posizioni politiche e culturali difensive, l'avvicinamento del Psi alla collaborazione di governo con la Dc e con i partiti centristi rendono evidente per Panzieri la necessità di un'opera di ricostruzione del movimento operaio. Non si trattava di dare vita ad un nuovo partito (il terreno scelto da Tronti, in verità per poco tempo, e che portò alla rottura del gruppo dei “Quaderni rossi”) ma di formare un'avanguardia interna alla classe, le cui tesi, anche se inizialmente minoritarie, avrebbero potuto conseguire il più vasto sostegno operaio (Cfr., R. Panzieri, Intervento alla riunione della redazione “Quaderni rossi. Cronache operaie”, in Id., La ripresa del marxismo leninismo in Italia, introduzione e note a cura di D. Lanzardo, Milano, Sapere edizione, 1972, pp. 301-303). Il “partito nuovo della classe operaia non poteva essere l'embrione di un partito preso in sé”, non poteva crescere “come disgregazione negativa delle organizzazioni esistenti” (Cfr. R. Panzieri, Cosa ci insegna la lotta dei metalmeccanici, in ivi, p. 277). Gli istituti unitari di democrazia operaia e la comprensione dei mutamenti in corso nel processo di produzione, attraverso un lavoro collettivo condotto da lavoratori e ricercatori in funzione dell'iniziativa di classe, avrebbero consentito alla classe operaia una nuova partenza, di portarsi al livello del capitale, per quindi svolgere un'opera di rinnovamento delle proprie strutture sindacali e politiche
  40. R. Lombardi, Per una società diversamente ricca, in Id., Tre interventi per tre stagioni. Dall'azionismo al socialismo critico, cit. pp. 68-69
  41. Ivi, pp. 75-77 Ma il “piano nazionale - sottolinea Lombardi durante il Comitato Centrale del 9-10 gennaio 1962 - non può essere in alcun modo la sommatoria di tanti piani regionali autonomi”. Le regioni elaborano i loro piani ma spetta al Parlamento renderli compatibili fra loro e con la pianificazione nazionale. In più le regioni, “una volta concretato e reso vincolante il piano nazionale, devono diventare gli organi autonomi di esecuzione in sede regionale di quella parte del piano nazionale che non ha specifico contenuto sovraregionale e insieme provvedere a quella […] pianificazione regionale (e più specificatamente comunale e locale) che non è di competenza nazionale, riguardante l'impiego di risorse e l'esecuzione di compiti di istituto degli enti locali” (R. Lombardi, Relazione al Comitato Centrale sul documento della Commissione economica del Psi, in “Avanti!”, 10 gennaio 1962, p. 8)
  42. Lombardi indicava quali provvedimenti necessari per una politica economica di svolta a sinistra la destinazione alla scuola pubblica di tutti i fondi per l'istruzione, l'emanazione di uno statuto dei diritti dei lavoratori, la nazionalizzazione dell'industria elettrica. Quindi la riforma urbanistica, il controllo del credito, la riforma fiscale, l'abolizione del segreto bancario, l'istituzione della cedolare d'acconto e dell'anagrafe tributaria. La creazione degli organi di pianificazione, il risanamento della finanza locale, l'attuazione dell'ordinamento regionale, la messa in opera degli impegni e delle clausole presenti nel trattato istitutivo del Mec a favore dello sviluppo delle regioni e dei settori depressi.
  43. R. Lombardi, Relazione al Comitato Centrale sul documento della Commissione economica del Psi, cit., p.8
  44. R. Lombardi, intervento alla tavola rotonda su Movimento operaio e crisi economica, in “Mondo operaio”, n.11, 1976, p. 15
  45. Resoconto dell'intervento svolto da R. Lombardi al Comitato Centrale del 28 luglio 1964, in “Avanti!”, 29 luglio 1964. Tre giorni prima Nenni aveva pubblicato sul quotidiano socialista l'articolo Uno spazio politico da difendere, in cui sosteneva che non vi era stata alternativa alla formazione del II governo Moro a meno di non mettere a rischio la tenuta delle istituzioni democratiche. Anche De Martino era intervenuto sull'argomento facendo riferimento ai “risvegliati e palesi propositi della destra miranti a una crisi di regime, alla fine della democrazia parlamentare e alla distruzione dei partiti” (F. De Martino, Valore di un accordo, in “Avanti!”, 21 luglio 1964)
  46. R. Lombardi, Dal “Popolo” all' “Unità”, in “Avanti!”, 19 aprile 1964, ora in Id., Scritti politici 1963 – 1978. Dal centro-sinistra all'alternativa, cit., p. 8. L'atteggiamento del PCI fu di “opposizione frontale e senza quartiere, con un carattere pregiudiziale appena dissimulato da una effimera fase di attesa sospettosa e insofferente, senza consentire né tregua né margine di manovra”
  47. Cfr., ivi, p. 77-79
  48. P. Bagnoli, Riccardo Lombardi e il socialismo nuovo, in R. Lombardi, Tre interventi per tre stagioni. Dall'azionismo al socialismo critico, cit., p. 124
  49. Cfr., R. Lombardi, Per un'alternativa politica, in “Mondo Operaio”, ottobre 1968, pp. 59-62
  50. Id., Il discorso di Piacenza, in Id., Tre interventi per tre stagioni. Dall'azionismo al socialismo critico, cit., p. 114
  51. Cfr., P. Bagnoli, Riccardo Lombardi e il socialismo nuovo, in R. Lombardi, Tre interventi per tre stagioni. Dall'azionismo al socialismo critico, cit., p.126
  52. R. Lombardi, Riforme e rivoluzione dopo la seconda guerra mondiale, (1974), in G. Quazza (a cura), Riforme e rivoluzione nella storia contemporanea, Torino, Einaudi, 1977, pp. 322- 323
  53. Cfr., R. Lombardi, Per un'alternativa politica, in “Mondo Operaio”, ottobre 1968, pp. 59-62
  54. R. Lombardi, Sinistra italiana e tendenza del capitalismo, discorso pronunciato al Convegno dell'ACPOL, Milano, 26-28 settembre 1969, ora in Id., Scritti politici 1963-1978. Dal centro-sinistra all'alternativa, cit., pp. 132-133
  55. V. Labor p. 57
  56. Cfr., R. Lombardi, Sinistra italiana e tendenza del capitalismo, discorso pronunciato al Convegno dell'ACPOL, Milano, 26-28 settembre 1969, in ivi, pp. 140-141
  57. Ivi, pp. 144-145
  58. Cfr., Id., Contestazione del '68 e ristrutturazione della sinistra, discorso al convegno della sinistra socialista, Ostia, 3-4 aprile 1971, ora in Id., Scritti politici 1963-1978. Dal centro-sinistra all'alternativa, cit., ivi, p. 167
  59. Cfr., Il marxismo non corre più il pericolo di morire di noia, “Giovane critica”, n. 28, inverno 1971, ivi, pp. 177-178
  60. Cfr., R. Lombardi, L'alternativa socialista, intervista di C. Vallauri, con saggio introduttivo di F. Bertinotti, Roma, Ediesse, 2009, p.. 85
  61. Id., Riforme e rivoluzione dopo la seconda guerra mondiale, cit., p. 324
  62. R. Lombardi, Rompere, cambiare le regole del gioco, durare, in “Il Manifesto”, 23 ottobre 1977, ora in Id., Scritti politici 1963-1978. Dal centro-sinistra all'alternativa, cit., pp. 273-274
  63. Cfr. R. Lombardi, La sinistra italiana e il patto sociale, discorso al convegno di “Fabbrica Aperta”, 10-11 settembre 1976, in ivi, pp. 262-263
  64. Cfr., Id., Rompere, cambiare le regole del gioco, durare, in “Il Manifesto”, 23 ottobre 1977, in ivi, pp. 273-274
  65. Cfr., R. Lombardi, L'alternativa socialista, cit., pp. 105-106
  66. Id., La transizione al socialismo, discorso pronunciato al Circolo Giuseppe Pescetti, Firenze, dicembre 1977, ora in Id., Scritti politici 1963-1978. Dal centro-sinistra all'alternativa, cit., pp.282-283
  67. R. Lombardi, intervento alla tavola rotonda su La sinistra italiana e il dissenso nei paesi dell'Est, in “Mondo Operaio”, n. 2, 1977, pp. 78-79
  68. Id., La transizione al socialismo, discorso al Circolo Giuseppe Pescetti, Firenze, dicembre 1977, ora in Id., Scritti politici 1963-1978. Dal centro-sinistra all'alternativa, cit., pp.282-283
  69. Id., L'alternativa socialista, cit., 23
  70. Cfr., ivi, p. 50
  71. Ivi, p. 58
  72. Cfr. Ivi, p. 51
  73. Resoconto dell'intervento di R. Lombardi al XL Congresso del PSI, in “Avanti!”, 5 marzo 1976, p. 4
  74. In proposito Lombardi sottolineava come non risultasse del tutto superata la concezione rigorosamente deterministica dell' “evoluzione storica verso la totale liberazione degli uomini, cioè verso la rivoluzione: destino e corso le cui chiavi di conoscenza e di interpretazione sono affidate al partito in quanto detentore appunto del ‘senso e della direzione della storia'”. In tale concezione è il “germe di un possibile totalitarismo vistosamente esemplificato sotto i nostri occhi; germe del resto comune a tutte le ortodossie militanti ivi compresa, […] quella professata dalla chiesa cattolica” (R. Lombardi, intervento alla tavola rotonda su I socialisti e la questione cattolica, in “Mondo Operaio”, n. 12, 1975, p. 34).
  75. Cfr., R. Lombardi, intervento alla tavola rotonda promossa da “ Mondo Operaio” su Crisi del capitalismo e alternative, in “Mondo Operaio”, maggio 1976, p. 81.
  76. Cfr. R. Lombardi, L'alternativa socialista, cit., pp. 105-106
  77. Cfr., ivi, p. 91
  78. Ivi, p. 116
  79. Resoconto dell'intervento di R. Lombardi al XL Congresso del PSI, in “Avanti!”, 5 marzo 1976, p. 4
  80. P. Bagnoli, Riccardo Lombardi e il socialismo nuovo, in R. Lombardi, Tre interventi per tre stagioni. Dall'azionismo al socialismo critico, cit., p. 125. È “nella formula che unificava il partito [d'azione], ossia la rivoluzione democratica - scrive Bagnoli -, [che] risiedono le radici della concezione” lombardiana “del socialismo”.



Fonte: di Vincenzo Orsomarso