LA SINISTRA

27-03-2024 -

Lo scorso anno è uscito libro di Vannino Chiti (Dare un’anima alla sinistra. Idee per un cambiamento profondo, Milano, Guerini e Associati). Non ne farò una recensione nel senso classico del termine, ma spero, con le mie considerazioni, di aprire un dibattito che serva a delineare un percorso per fa uscire la sinistra dalle secche in cui attualmente è impantanata.

Come accade, quasi sempre, prima di iniziare a leggere il libro l’ho girato e nella quarta di copertina ho trovato questa frase, che presumo sia dell’autore, che mi ha molto colpito: “L’essere umano è al primo posto rispetto all’economia, alle tecnologie, alle conquiste della scienza. È il criterio per valutare progressi o regressi della civiltà, la misura della nostra libertà”. Ho trovato in questa affermazione una grande sintonia con quanto affermava Rosselli, in tutt’altro contesto, “L’uomo è il fine. Non lo Stato” (Contro lo Stato in “Giustizia e Libertà”, a. I (1934), n. 19, 21 settembre, p. 1).

Quando una persona che è stato Sindaco di Pistoia, Segretario Regionale del PCI, Presidente della Regione Toscana, Sottosegretario di Stato, Parlamentare e Ministro della Repubblica scrive un libro con questo afflato si rimane piacevolmente sorpresi che ancora ci sia chi ritiene di mettere a disposizione della sinistra la propria esperienza.

La frase prima citata pone l’autore del libro in una posizione nuova, abbandona sia il comunismo sia il pensiero socialdemocratico viaggiando su un terreno diverso, non so quanto scientemente, quello del socialismo liberale. Questa posizione, mai pienamente espressa, risulta, perlomeno agli occhi dello scrivente, molto evidente. La parola socialismo non mi sembra che trovi molto spazio nelle pagine del libro, il massimo è condividere il pensiero di Colin Crouch sulla sua teoria della socialdemocrazia “assertiva”. Certo conosco l’obiezione che può essere eccepita, si parla del PD, che non ha nel suo orizzonte questa parola, e che il libro si occupa di problemi attuali.

Non si può mettere al centro del proprio agire l’uomo e poi non dire niente circa il sistema capitalistico che fa dell’individualismo metodologico il suo credo filosofico e dell’auri sacra fames il suo comportamento abituale.

Da socialista liberale che crede nelle riforme di struttura ritengo opportuno dare un ordine logico alle riforme che si vogliono adottare e a quelle che si vogliono mantenere.

Purtroppo, viviamo in un paese che non ha mai posseduto una “religione civile”, cioè un insieme di valori condivisi da tutti che costituiscano il perimetro entro il quale una nazione si muove. Questo processo è sempre fallito dall’Italia liberale alla dittatura fascista ed infine all’Italia Repubblicana.

Però esiste un punto di partenza notevole: la nostra Carta Costituzionale, nata dall’antifascismo, come giustamente ci ricorda l’autore. Certe dichiarazioni tese a superare l’antifascismo, anche da parte di esponenti della sinistra stanno mostrando tutta la loro debolezza. Non a caso assistiamo ad un suo attacco da parte di un governo di destra centro che approva una vergognosa proposta di modifica della Costituzione che ne stravolge completamente gli equilibri ed al contempo modifica la sostanza della Carta con la creazione di un paese diviso attraverso la cosiddetta “devoluzione”.

Il mantenimento della Carta è una condizione necessaria ma non sufficiente. Bisogna ricostruire i rapporti con i corpi intermedi della società che sono stati colpevolmente abbandonati. Bisogna ricreare quel tessuto connettivo sociale che è fondamentale per far funzionare correttamente una democrazia parlamentare.

Fatto questo occorre elaborare una proposta politica capace di unificare i ceti che il modello capitalistico dominante ha cercato di rompere attraverso la parcellizzazione delle figure lavorative.

Queste forze sociali, insieme agli operai sindacalizzati sono essenziali per l’inizio di un percorso di modifica dei rapporti di potere nella società. Se questa frantumazione non viene sanata l’affermazione delle spinte populiste e sovraniste porterà ad un ritorno di forme autoritarie e falsamente favorevoli agli oppressi. Bisogna offrire a tutti un orizzonte fatto di un welfare che consenta di accorciare le distanze, oramai siderali, fra chi ha tutto e chi ha poco o niente.

Per ingaggiare questa battaglia è necessario dotarsi di uno strumento che sia in grado di ricreare quel rapporto di circolazione di idee, indispensabile per la fisiologia di un sistema parlamentare, fra il “popolo” e le istituzioni: i partiti. Certo nessuno immagina di ricostruire un sistema come quello andato in frantumi negli ultimi decenni del secolo scorso, né tantomeno continuare con questi simulacri capaci di creare solo potere fine a sé stesso con un arco temporale va da un sondaggio demoscopico ad un altro. Abbiamo visto come l’introduzione delle primarie da parte del PD abbia prodotto solo una ulteriore confusione, questo sistema di scelta delle classi dirigenti produce soltanto ulteriore frantumazione. Poi sulla democraticità di questo strumento è sufficiente consultare la letteratura in materia che mette in mostra tutti i limiti di un simile strumento. Per cui niente ritorno alle smoking rooms che hanno esaurito il loro compito storico. Allo stesso tempo dobbiamo evitare le risposte binarie a problemi complessi la cui soluzione positiva richiede una capacità di sintesi che si può ottenere solo attraverso il confronto.

E’ opportuno sfatare l’affermazione di Jean Jacques Rousseau che, prendendo in giro gli inglesi affermava: “Il popolo inglese ritiene di esser libero: si sbaglia di molto; lo è soltanto durante l'elezione dei membri del parlamento. Appena questi sono eletti, esso è schiavo, non è nulla. Nei brevi momenti della sua libertà, l'uso che ne fa giustifica davvero che esso la perda.” (J. J. Rosseau, Il contratto sociale).

L’altro punto fondamentale riguarda il ruolo degli stati nazionali sempre meno capaci di controllare i processi economici che avvengono al loro interno e sempre sotto ricatto rispetto alla volontà delle multinazionali di spostarsi da un paese all’altro secondo le proprie convenienze. La strada della unità europea che porti finalmente ad uno stato federale va percorsa fino in fondo. Comunque, anche in questo caso bisogna cambiare radicalmente approccio. La politica liberista portata avanti dalla EU è miseramente fallita. Due esempi mi sembrano rendere evidente questa affermazione. Il primo riguarda la determinazione del prezzo del metano. Con una decisione che non tiene conto del prezzo reale con il quale si offre e si acquista la merce e si demanda la fissazione del prezzo al gioco di pochi speculatori.

Il secondo affida la transizione ecologica (sempre più urgente) al mercato. Al di là del fatto che il mercato in questo sistema capitalistico è quanto di più ingiusto si possa immaginare: si impone solo il più forte. Bisognerebbe spiegare com’è possibile che le imprese finanziarie, i cui portafogli sono pieni di azioni di società produttrici di energia “sporca” abbandonino, facendo harakiri, queste aziende a sé stesse.

L’altro tema che dobbiamo portare all’attenzione e che non può essere sottaciuto, pena la perdita di credibilità di tutte le proposte, è quello del finanziamento della politica.

La traversata del “deserto”, per la sinistra, sarà lunga e perigliosa, ma prima si inizi a lavorare per un cambiamento della società, prima sarà possibile riemergere, non solo in Italia, dal torpore in cui la sinistra è caduta.





Fonte: di Enno Ghiandelli